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"SISTEMI CRIMINALI", l'indagine della DIA archiviata dalla Procura di Palermo

"SISTEMI CRIMINALI" ARCHIVIAZIONEUn progetto di divisione dell'Italia perseguito da un lato dalla LEGA NORD e dall'altro dal fronte COSA NOSTRA'NDRANGHETA e MASSONERIA.

Dall'obiettivo della secessione e dell'indipendenza, che ha visto protagonisti MIGLIO e BOSSI, ma anche GELLI ed ANDREOTTI, oltre a soggetti legati alle organizzazioni mafiose, si è poi arrivati alla “devolution” siglata (ed approvata poi) sotto il patto “LEGA – FORZA ITALIA” (e se questo "progetto" si arenò nella sua forma più "strutturale" di riforma dello Stato, il Governo di centrosinistra aprì la strada alle "ZONE FRANCHE", da realizzarsi in alcuni territori come "incentivo allo Sviluppo", sic).

E' questo "progetto" che emerge dall'indagine (con riscontri dettagliati) della DIA presentata alla DDA di Palermo che ha preso il nome di “SISTEMI CRIMINALI”... Un indagine archiviata su richiesta della Procura di Palermo nel 2001.

Un terreno che nonostante le risultanze del lavoro della DIA è stato lasciato perdere dalla Procura di Palermo che ha, invece, preferito, puntare le sue attenzioni sulle mistificazioni, bugie e raggiri del CIANCIMINO Massimo, arrivando a mettere sul banco degli imputati i servitori dello Stato quali i vertici dell'allora ROS, mentre i grandi affari delle mafie - grazie ai "patti" con certi uomini della politica, dell'economia e finananza, e delle stesse Istituzioni - sono proseguiti e proseguono.

Una storia, quella raccolta negli Atti dell'indagine “SISTEMI CRIMINALI” che segna il passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica. Una storia che smentisce alla radice il "teorema" della TRATTATIVA STATO-MAFIA che, negli ultimi anni, ha assunto l'ossessione della Procura di Palermo sfociando nel processo ora avviato a Palermo...


Mentre la LEGA NORD perseguiva la secessione al Nord, MASSONERIA e MAFIE la perseguivano da Sud, fondando movimenti “leghisti” e promuovendo la destabilizzazione dello Stato.

In questo contesto si inserisce la strategia che da un lato puntava a fomentare la rivolta sociale e dall'altro la pratica stragista per mano delle organizzazioni criminali e mafiose. Obiettivo: liquidare ed eliminare la “vecchia” classe politica (dimostratasi “traditrice”) e sostituirla con nuovi referenti, possibilmente con l'indipendenza delle regioni meridionali e sicuramente con l'ottenimento di vantaggi per le organizzazioni mafiose.

Mentre la LEGA NORD entra da protagonista in questo scacchiere, muovendo le sue mosse, ed incrociando faccendieri, massoni, uomini dei Servizi ed anche mafiosi, COSA NOSTRA, con MASSONI e 'NDRANGHETA studiano e realizzano una nuova vera e propria “strategia della tensione”. Se le LEGHE fondate sulla spinta di mafiosi e massoni (con contiguità nell'ambito di apparati dei Servizi e dell'estrema destra eversiva) perseguono inizialmente lo stesso obiettivo della LEGA NORD, MIGLIO, il fondatore ed ideologo del movimento con a capo BOSSI, arriva a proporre la “costituzionalazione” delle mafie (“Io sono per il mantenimento anche della mafia e della 'ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulle personalità del comando. Che cos'è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un'assurdità. C'è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”).

Ad un certo punto le LEGHE meridionali si fecero da parte e sullo scacchiere politico comparve FORZA ITALIA che, ad esempio, in Sicilia vedrà uomini di COSA NOSTRA (e dei movimenti indipendentisti da questa spinti, come SICILIA LIBERA) lavorare per la sua affermazione. Un affermazione politica ed elettorale che avrà come punto fondante proprio l'alleanza con la LEGA NORD, ed un programma tra secessionismo e federalismo che sfocerà a partire dal 2002 nel progetto di “devolution”.

Luca Tescaroli, pubblico ministero titolare delle inchieste di Caltanissetta sui mandanti a volto coperto delle Stragi terroristico-mafiose, nel libro “Perché fu ucciso Giovanni Falcone” (Ed. Rubbettino – 2001), descrivendo le confessioni di Giovanni BRUSCA, scriveva:

“Dopo la strage di Capaci, incontrandosi con Salvatore RIINA, gli chiedeva notizie: “Come va? Che si dice? Che notizie abbiamo? Reazioni?”, con riferimento alla campagna stragista i atto. In una prima occasione (circa 10-15 giorni dopo la strage), il RIINA gli rappresentava che volevano “portare questo BOSSI”, persona che il RIINA considerava un pazzo e che non gli interessava; in una seconda (che ha collocato circa una settimana quindici giorni prima della strage di via Mariano D'Amelio), gli poneva in rilievo che “si sono fatti sotto”. A distanza di tre-quattro mesi, tramite BIONDINO, gli comunicava che ne aveva la possibilità, che “si sono fermati, ci vuole un altro colpetto”, nel senso che occorreva colpire un ulteriore obiettivo. A seguito della sollecitazione, si era attivato per perpetrare un attentato in pregiudizio del dott. Pietro Grasso...”.

Ma ora entriamo nel conoscere questi “frammenti” degli Atti dell'indagine “SISTEMI CRIMINALI” [Leggi qui il testo integrale in formato .pdf] , che, a differenza del cosiddetto procedimento sulla fantomatica “Trattativa Stato-Mafia”, ha riscontri certi (e che non è un caso siano sono stati più di recente confermati dalle nuove contiguità di esponenti di vertice della LEGA NORD con gli uomini della 'Ndrangheta).

 

Origini tra massoneria, estrema destra e mafie

Contestualizziamo quel tempo ed il contesto in cui maturano le indagini della DIA (Direzione Investigativa Antimafia). Negli atti della DDA della Procura della Repubblica di Palermo si legge:

Il presente procedimento trae origine dalla complessa e approfondita attività investigativa svolta in questi anni su COSA NOSTRA da questo Ufficio in stretto coordinamento e collegamento con le investigazioni delle Procure Distrettuali Antimafia di Caltanissetta e Firenze sulla “strategia della tensione” sviluppatasi in Sicilia ed in Italia fra il 1992 ed il 1993.

Ed infatti in quel biennio, mentre era in corso una delicata fase di transizione politico-istituzionale dalla prima alla seconda Repubblica, l’Italia veniva scossa da una serrata sequenza di c.d. “omicidi eccellenti”, di stragi, di attentati e di altri inquietanti eventi, che sembrava rievocare lo stesso clima dello stragismo terroristico degli anni settanta.

Questa l’escalation degli eventi criminosi di quegli anni:

· Il 12 marzo 1992, alla vigilia delle elezioni politiche, viene assassinato a Palermo l’onorevole Salvo LIMA, eurodeputato democristiano e capo della corrente andreottiana in Sicilia.

· Il 23 maggio a Palermo viene portata ad esecuzione la STRAGE DI CAPACI nella quale perdono la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta.

· Il 19 luglio viene eseguita la STRAGE DI VIA D'AMELIO nella quale vengono uccisi il Procuratore Aggiunto presso la Procura di Palermo, Paolo Borsellino, e gli agenti della sua scorta.

· Il 17 settembre viene assassinato da un commando di killer Ignazio SALVO, tradizionale interfaccia di COSA NOSTRA con il mondo della politica, in particolare con l’on. Salvo LIMA, già ucciso sei prima.

· Il 14 maggio 1993 si apre una nuova STAGIONE DI ATTENTATI. A Roma, in via Fauro, ai Parioli, esplode un’autobomba destinata a colpire il conduttore televisivo Maurizio Costanzo.

· Il 27 dello stesso mese, a Firenze, un furgoncino imbottito di esplosivo salta in aria in VIA DEI GEORGOFILI: cinque morti, 29 feriti e danni alla celebre Galleria degli Uffizi.

· A due mesi esatti di distanza, a Milano, un’altra autobomba, in via Palestro, miete cinque vittime e pochi minuti dopo, in una giornata di fuoco, a mezzanotte, altre due autobombe esplodono a Roma, in Piazza San Giovanni in Laterano, sede del Vicariato cattolico, e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro: dieci feriti.

Per avere un quadro globale della gravità della situazione che si era venuta a determinare per l’ordine pubblico e democratico, occorre prendere in considerazione anche alcuni eventi criminosi - dei quali si è avuta cognizione solo successivamente in esito alle indagini - che erano stati progettati e che poi non furono portati ad esecuzione solo per fortuite circostanze o per fatti sopravvenuti:

· Nel settembre 1992, dopo la strage di via D’Amelio, COSA NOSTRA aveva progettato di uccidere il magistrato Piero Grasso, già giudice a latere della Corte d’assise che emise la sentenza di condanna di primo grado del maxiprocesso.

· Nel medesimo periodo, COSA NOSTRA aveva deciso di uccidere anche Claudio Martelli, allora Ministro di Grazia e Giustizia, così come altri uomini politici (fra cui l’on. Calogero Mannino, l’on. Carlo Vizzini, l’on. Claudio Fava) e funzionari di polizia (fra i quali il dr. Arnaldo La Barbera e il dr. Calogero Germanà, il quale soltanto grazie alla sua pronta reazione sfuggì all’agguato mafioso effettivamente tesogli il 14 settembre 1992 a Mazara del Vallo).

· Al culmine della strategia stragista del ’93, intorno al mese di settembre, e quindi in epoca immediatamente successiva agli altri attentati posti in essere nel continente (Roma, Firenze e Milano), era stata organizzata una strage di proporzioni immani facendo saltare in aria alcuni pullman dei carabinieri in servizio a Roma allo stadio Olimpico in una delle tante domeniche “calcistiche” particolarmente affollate, attentato fallito soltanto per un guasto tecnico al telecomando che avrebbe dovuto innescare l’ordigno.

Tutto ciò avveniva mentre, per effetto di eventi macropolitici di carattere internazionale (crollo del muro di Berlino e fine del c.d. bipolarismo internazionale) e di altri fattori, quali le numerose inchieste concernenti la c.d. “tangentopoli”, il quadro politico preesistente si dissolveva e si veniva a creare un vuoto di potere che segnava la transizione verso un nuovo, allora difficilmente prevedibile, assetto generale.

E’ in questo contesto che il presente procedimento penale veniva aperto sulla base di una informativa della D.I.A del 4 marzo 1994 concernente “un'ipotesi investigativa in ordine ad una connessione tra le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio, con gli attentati di Firenze, Roma e Milano per la realizzazione di un unico disegno criminoso che ha visto interagire la criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare "COSA NOSTRA" siciliana, con altri gruppi criminali in corso di identificazione”, che venne poi seguita poi da altre informative di approfondimento.

In quella prima informativa veniva formulata la seguente inedita ipotesi investigativa che qui si riassume in estrema sintesi:

· La responsabilità delle stragi del 1992 e del 1993 andava attribuita a COSA NOSTRA.

· L'organizzazione siciliana, in base alle risultanze di numerose indagini, andava ormai considerata l'asse portante di un autentico "SISTEMA CRIMINALE" in cui venivano a convergere le altre più pericolose consorterie di stampo mafioso e non. Si ipotizzava, cioè, che numerose organizzazioni criminali di diversa origine, legate reciprocamente a causa della sempre più frequente comunanza di interessi, si fossero raccolte – sul piano tattico - in una sorta di "sistema criminale" in grado di agire in tutte le direzioni e all'interno di tutti gli ambienti, che poteva anche essersi espresso sul piano strategico.

· La “tempistica” degli attentati, il tipo e la localizzazione degli obiettivi aveva rafforzato negli investigatori la convinzione che il nuovo indirizzo stragistico perseguisse in realtà obiettivi che andavano al di là degli interessi esclusivi di COSA NOSTRA o, per lo meno, tendesse al conseguimento di obiettivi comuni o convergenti con altri gruppi criminali di diversa estrazione legati alla mafia. Si osservava, insomma, che la “atipicità” degli attentati (soprattutto quelli del ’93) rispetto a quelli tradizionali di COSA NOSTRA, specialmente sotto taluni aspetti, primo fra tutti la scelta degli obiettivi, potesse risultare funzionale non solo alle finalità "terroristiche" della mafia, ma anche agli scopi di entità criminali diverse, che avessero operato in sintonia con quest'ultima nel perseguimento di obiettivi comuni o convergenti, gruppi criminali in grado di elaborare i sofisticati progetti necessari al conseguimento di finalità di più ampia portata.

· La storia criminale di alcuni mafiosi coinvolti nelle stragi confermavano la plausibilità di questa ipotesi investigativa. Per esemplificare, si segnalava che Rampulla Pietro, esponente della famiglia catanese SANTAPAOLA, l'artificiere della strage di Capaci, aveva fatto parte di ORDINE NUOVO ed era risultato essere stato in contatto con l'ordinovista CATTAFI Rosario, indagato dall'A.G. di Messina per traffico internazionale di armi e tratto in arresto per i suoi legami con COSA NOSTRA nell'ambito dell’indagine della DDA di Firenze sull'autoparco milanese Salesi.

· Si evidenziava, inoltre, la concomitanza di un singolare fermento politico manifestato negli ultimi tempi da Licio GELLI - in costante contatto con elementi di raccordo tra imprenditoria commerciale e cosche mafiose riconducibili a COSA NOSTRA - e da noti esponenti della destra eversiva (in particolare Stefano DELLE CHIAIE), attorno a progetti di tipo LEGHISTA, specie nell'Italia centro meridionale: progetti che sembravano “poter coniugare perfettamente le molteplici aspirazioni provenienti da quel composito mondo nel quale gruppi criminali con finalità politico-eversive si affiancano a lobbies affaristiche e mafiose”. E si passavano in rassegna le risultanze processuali, emerse in passato, circa la presenza di Licio GELLI accanto a forze eversive di estrema destra e, contemporaneamente, a gruppi di matrice mafiosa.

· Si concludeva rassegnando alle Procure competenti il quadro globale delle risultanze convergenti verso tale ipotesi ricostruttiva del contesto in cui poteva essere maturata la strategia stragista.

Ed ancora:

Come si esporrà analiticamente nel prosieguo, le risultanze probatorie acquisite consentono di configurare il seguente quadro.
Fra il 1990 ed il 1991, alcuni vertici di COSA NOSTRA, unitamente ad altri soggetti esterni, mettono a punto un progetto di destabilizzazione politica finalizzato, in ultima analisi, a ripristinare nuove e diverse “relazioni” con il mondo della politica, ritenute più vantaggiose per l’associazione criminale.
Il progetto subisce una brusca accelerazione alla fine del 1991 - in prossimità della decisione della Corte di Cassazione sul maxiprocesso – e trova il suo incipit nel 1992 subito dopo l’emanazione della sentenza il 30 gennaio di quell’anno.
Tale progetto muoveva dalla seguente diagnosi, verosimilmente prospettata ai capi di COSA NOSTRA da intermediari di soggetti (aventi interessi politico-criminali in parte diversi, ma tuttavia convergenti) provenienti da ambienti della massoneria deviata e della destra eversiva:

1) I referenti politici di COSA NOSTRA avevano dimostrato di non prendersi più cura (o di non essere più in grado di prendersi cura) degli interessi dell’organizzazione, così come delle altre macro-organizzazioni mafiose.

2) Appariva, dunque, necessario disarticolare il vecchio quadro politico istituzionale e dare vita ad un nuovo assetto globale dei rapporti con la politica mediante una strategia complessa consistente, per un verso, nella perpetrazione di una serie di atti violenti volti a creare un clima di terrore con finalità destabilizzanti e, per altro verso, nella contemporanea creazione di nuovi soggetti politici, espressione organica del sistema criminale e dei suoi nuovi referenti esterni.

3) Punto di approdo di tale strategia doveva essere la trasformazione dello Stato unitario in una nuova “forma Stato” che contemplava la rottura dell’unità nazionale, la divisione dell’Italia in più stati o macroregioni e, comunque, la secessione della Sicilia.

I nuovi soggetti politici, consistenti in varie leghe meridionali da aggregarsi poi in un’unica LEGA MERIDIONALE, avrebbero dovuto agire in sinergia con la LEGA NORD, movimento allora emergente e in grande crescita, che perseguiva da anni un autonomo progetto politico accentuatosi in quella fase storica in direzione del secessionismo di alcune regioni del settentrione.

La creazione di uno Stato autonomo nel Sud con prerogative di sovranità avrebbe consentito di monopolizzare la gestione politica degli interessi economici leciti e illeciti, trasformando questa parte del paese in una sorta di zona franca, governata da soggetti espressione del sistema criminale.

Per utilizzare le parole di uno dei collaboratori, venuto a conoscenza di parti significative di tale progetto, sono anni in cui COSA NOSTRA e i suoi referenti progettano di “farsi Stato”, ritirando la delega per la tutela dei propri interessi a settori del mondo politico rivelatisi inaffidabili, con l’intenzione di gestirli direttamente, tramite proprie creature politiche.

Si trattava a ben vedere, come risulta dalle acquisizioni probatorie di vari procedimenti penali, tra cui il maxiprocesso, di una riedizione attualizzata dell’antica tentazione secessionistico-golpistica di COSA NOSTRA, coltivata sin dal dopoguerra in fasi storiche di crisi politica, emersa nel 1970 in occasione del c.d. “golpe Borghese”, poi nel 1974, ed infine nel 1979 in occasione del viaggio segreto di Michele Sindona in Sicilia, organizzato da COSA NOSTRA e da elementi della MASSONERIA deviata. Non a caso proprio il 1979 segnò l’inizio di una stagione di sangue senza precedenti, che portò nell’arco di pochi anni ad un’impressionante sequenza di omicidi di magistrati, di esponenti delle forze dell’ordine, alla decapitazione di alcuni vertici politici e istituzionali mediante gli omicidi di Michele Reina, segretario provinciale della D.C., dell’on. Pio La Torre, segretario regionale del P.C.I, dell’on. Piersanti Mattarella, Presidente della Regione Siciliana, e del Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa. Una stagione di sangue e di terrore, che pose fine in modo cruento ad una fase storica, in cui stavano germogliando i semi di un rinnovamento politico-istituzionale all’insegna della moralizzazione della vita pubblica e della recisione dei legami collusivi con COSA NOSTRA.

Tale progetto, messo a punto nel 1991, ha subìto nel corso del 1992 e del 1993 – secondo quanto emerge dalle risultanze acquisite - alcune battute di arresto ed alcune deviazioni di percorso in relazione ad eventi imprevedibili quali, ad esempio, l’arresto di Salvatore RIINA, capo di COSA NOSTRA, il 15 gennaio 1993, arresto che ha determinato la frammentazione degli assetti di potere interni all’organizzazione e lo scompaginamento di una direzione unitaria. Nella fase successiva, infatti, si avverte una certa disomogeneità d’azione e si verifica il progressivo disinvestimento di risorse dal progetto separatista (rilevatosi, peraltro, di difficile attuazione anche per il mancato decollo politico delle varie leghe meridionali) ed il loro progressivo dirottamento verso direzioni diverse. Il progetto di dar vita ad un aggregato di LEGHE MERIDINALI viveva la parabola finale nei primi mesi del 1994, declinandosi sul piano regionale soprattutto per iniziativa di Leoluca BAGARELLA, del suo entourage e della famiglia mafiosa di Catania.

Il progetto tuttavia non veniva abbandonato completamente, ma si convertiva in un disegno da coltivare nel lungo periodo all’interno di strategie globali di più ampio respiro compatibili con l’evoluzione del nuovo quadro politico generale.

Buona parte di questo lavoro di indagine, con tutte le risultanze acquisite da un minuzioso lavoro della DIA per verificare e riscontrare le dichiarazioni dei diversi collaboratori di giustizia, è ampiamente noto ed è, leggendo antentamente, antitetico al "teorema" della "TRATTATIVA". Eversione dello Stato non è "TRATTATIVA" con lo Stato... I protagonisti sono diversi da quelli che la Procura di Palermo, dopo l'archiviazione di questa indagine, ha posto sul banco degli imputati.

Entrando nei particoli dell'indagine della DIA si ci rende conto che racconta di una rete di relazioni, interessi e quindi di "patti" stretti tra i vari soggetti (non con lo "STATO"). Emerge un intersecarsi di protagonisti che punta, in un modo o nell'altro, ad un "progetto politico-eversivo" contro lo Stato. Evidenzia quindi un attacco allo Stato, e non quindi una resa o trattativa dello Stato con le mafie ed il "sistema criminale".

Quella dell'indagine “SISTEMI CRIMINALI”, anche lasciando da parte gli aspetti penali e giudiziari che la Procura di Palermo non ha ritenuto di dover perseguire, non si è voluta analizzare e valutare nemmeno politicamente. E' stata dimenticata. Archiviata in ogni senso ed ambito.

 

Dai Collaboratori una univoca e convergente risultanza

A differenza della più dibattuta indagine della Procura di Palermo sulla c.d. “Trattativa Stato-Mafia”, in cui unico elemento di prova dell'accusa ai vertici del ROS sono le dichiarazioni del “mafioso figlio d'arte” CIANCIMINO Massimo, con le sue conclamate menzogne e illazioni prive di riscontro (come confermato dalla recente Sentenza di assoluzione di MORI e OBINU - leggi qui integralmente Volume 1 - Volume 2 in formato .pdf), nell'indagine abbandonata sui “SISTEMI CRIMINALI” vi è non solo un lavoro di ricerca meticolosa di riscontri e prove da parte della DIA, ma anche una convergenza ed univocità delle dichiarazioni di molteplici collaboratori di giustizia. Ed è proprio su queste che ora ci addentriamo...

La DDA di Palermo in merito alle dichiarazioni del MESSINA scrive:

Vanno innanzitutto illustrate le dichiarazioni di Leonardo MESSINA, il primo collaboratore ad esporre in modo organico il progetto politico-eversivo oggetto del presente procedimento
Va fin da subito evidenziata la speciale attendibilità intrinseca delle dichiarazioni di Leonardo MESSINA in considerazione del fatto che egli rivelò l’esistenza di tale progetto eversivo in epoca non sospetta, e cioè nel dicembre 1992, nella prima fase della sua collaborazione (che ebbe inizio nel giugno 1992 [Va, anzi, segnalato che Messina fece cenno alla riunione di Enna, seppur senza riferire del progetto eversivo, già nel primo interrogatorio in cui manifestò la sua intenzione di collaborare con la giustizia, reso in data 30.6.1992 al Procuratore Aggiunto di Palermo dr. Paolo Borsellino]), prima ancora che avvenissero alcuni “eventi politici” che – come si evidenzierà in seguito – MESSINA anticipò.
Tali dichiarazioni furono rese da Messina alla Commissione Parlamentare Antimafia il 4 dicembre 1992. Di seguito si riportano alcuni passi della sua audizione, relativi alla riunione dei vertici di COSA NOSTRA, svoltasi alla fine del 1991 nelle campagne di Enna, in cui si sarebbe parlato del progetto eversivo:

LEONARDO MESSINA. La riunione è stata l'atto finale. Erano lì da circa tre mesi ...

PRESIDENTE. Lì dove?

LEONARDO MESSINA. Nella provincia di Enna. Avevano fatto la nuova strategia e avevano deciso i nuovi agganci politici, perchè si stanno spogliando anche di quelli vecchi.

PRESIDENTE. Può spiegare meglio questo passaggio di alleanze?

LEONARDO MESSINA. Cosa nostra sta rinnovando il sogno di diventare indipendente, di diventare padrona di un’ala dell’Italia, uno Stato loro, nostro.

PRESIDENTE. L'obiettivo è quello di rendere indipendente la Sicilia rispetto al resto d'Italia?

LEONARDO MESSINA. Si. In tutto questo Cosa nostra non è sola, ma è aiutata dalla massoneria.

PRESIDENTE. Ci sono forze nuove alle quali si stanno rivolgendo?

LEONARDO MESSINA. Si, ci sono forze nuove, si stanno rivolgendo.

PRESIDENTE. Può dire alla Commissione di quali forze si tratta?

LEONARDO MESSINA. Non vorrei creare qua situazioni ...

PRESIDENTE. Va bene. Si tratta di formazioni tradizionali o di formazioni nuove?

LEONARDO MESSINA. Sono formazioni nuove.

PRESIDENTE. Non tradizionali.

LEONARDO MESSINA. No, non tradizionali.

PRESIDENTE. In Sicilia sono forti o sono deboli?

LEONARDO MESSINA. Non vengono dalla Sicilia.

[...]

PRESIDENTE. Lei ha fatto più volte riferimento alla massoneria. Vuole spiegare questo rapporto?

LEONARDO MESSINA. Molti degli uomini d’onore, cioè quelli che riescono a diventare dei capi, appartengono alla massoneria. Questo non deve sfuggire alla Commissione, perché è nella massoneria che si possono avere i contatti totali con gli imprenditori, con le istituzioni, con gli uomini che amministrano il potere diverso di quello punitivo che ha Cosa nostra.

PRESIDENTE. Ed è nella massoneria che sta sorgendo questa idea del separatismo?

LEONARDO MESSINA. Si. Desidero precisare che tutto quello che dico non è fonte di deduzioni o di interpretazioni personali, ma è quello che so.

PRESIDENTE. Queste cose le sa per conoscenza diretta?

LEONARDO MESSINA. Si, le so per conoscenza diretta.

[...]

PRESIDENTE. Può spiegare l'ipotesi separatista? Lei ha detto che la Sicilia è troppo piccola ormai per gli affari di Cosa nostra; poi però ha aggiunto che a Cosa nostra e ai massoni insieme ora interesserebbe il separatismo siciliano. Può spiegare questi due concetti che sembrano apparentemente in contraddizione?

LEONARDO MESSINA. "Massone” è una parola che poi racchiude tantissimi tipi di persone. Cosa nostra non può più rimanere succube dello Stato, sottostare alle sue leggi, Cosa nostra si vuole impadronire ed avere il suo Stato.

[...]

PRESIDENTE. Le spinte separatiste vengono da fuori o sono dentro i confini nazionali?

LEONARDO MESSINA. Penso che vengono da fuori dei confini nazionali. Posso parlare del programma della regione mafiosa; sarebbe assurdo che sapessi che cosa decide la massoneria. So che cosa ha deciso Cosa nostra.

PRESIDENTE. E la regione ha deciso, come lei ci spiegava, di orientarsi verso l'indipendentismo, verso un nuovo separatismo?

LEONARDO MESSINA. Si.

PRESIDENTE. Questo separatismo sarebbe in collegamento con forze - lei dice - non nazionali o anche con forze nazionali?

LEONARDO MESSINA. Anche con forze nazionali.

PRESIDENTE. Quindi con forze nazionali e non nazionali?

LEONARDO MESSINA. Si.

PRESIDENTE. Le forze nazionali sono politiche o no ?

LEONARDO MESSINA. Anche politiche.

PRESIDENTE. Politiche e non, quindi?

LEONARDO MESSINA. Politiche ed imprenditrici.

PRESIDENTE. Non istituzionali?

LEONARDO MESSINA. Anche.

PRESIDENTE. Quindi ci sono settori. per così dire, delle istituzioni, dell’imprenditoria e della politica che sosterrebbero questo progetto?

LEONARDO MESSINA. Si.

PRESIDENTE. Questo per quanto riguarda l'Italia. Per quanto riguarda l'estero, che lei sappia?

LEONARDO MESSINA. Dell’estero e non so. So quello che hanno deciso là.

PRESIDENTE. Quindi sa che c'è un sostegno anche dall’estero, ma non sa da che parte venga. E così?

LEONARDO MESSINA. Si. Consideri che vengo a conoscenza solo dei fatti che decide Cosa nostra; posso parlare dei passaggi di cui sono a conoscenza, non posso fare deduzioni sull’estero.

PRESIDENTE. Non c'è dubbio. La teoria separatista vuoi dire colpo di Stato o vuoi dire ...

LEONARDO MESSINA. In precedenza Cosa nostra si adoperava per fare colpi di Stato.

PRESIDENTE. Nel passato si, così come ha spiegato ...

LEONARDO MESSINA. Oggi possono arrivare al potere senza fare un colpo di Stato.

[…]

PRESIDENTE. Lei ha accennato più volte alla questione del separatismo ed ha spiegato il tipo di intese che vi possono essere dietro, nonché la ragione e lo scopo del separatismo. Vi sono o meno forze politiche siciliane d’accordo su questo progetto del separatismo?

LEONARDO MESSINA. Loro appoggeranno una forza politica a distanza di qualche anno che partirà dal sud. Ora la manovra non viene dal sud.

PRESIDENTE. La manovra viene da altre parti, però Cosa nostra appoggerà una forza politica siciliana. E’ questo che sta dicendo?

LEONARDO MESSINA. Si.

PRESIDENTE. Una forza politica nuova o tradizionale?

LEONARDO MESSINA. Nuova, con un nome nuovo.

[...]

PRESIDENTE. RIINA è il capo di questa strategia tendente a separare la Sicilia dal resto d’Italia?

LEONARDO MESSINA. Si, è uno dei capi.

PRESIDENTE. E gli altri capi chi sono?

LEONARDO MESSINA. I capi della provincia che voi chiamate corleonesi, che sono i rappresentanti provinciali.

[...]

PRESIDENTE. Lei comprende che questa questione interessa particolarmente la nostra Commissione perchè riguarda la struttura dello Stato. Quindi, in merito alla strategia separatista, se ha gli clementi per farlo, può spiegare più approfonditamente alla Commissione cosa vuol dire?

LEONARDO MESSINA. In pratica, devono appoggiare nuovi partiti che tentano...

PRESIDENTE. Che tentano di separare la Sicilia dal resto d’Italia?

LEONARDO MESSINA. Si.

PRESIDENTE. Lei ha detto prima che questi gruppi non vogliono più dipendere dallo Stato nazionale.

LEONARDO MESSINA. In un certo senso. Finora hanno controllato lo Stato. Adesso vogliono diventare Stato.

ROMANO FERRAUTO. Solo la Sicilia interessa questo movimento separatista?

LEONARDO MESSINA. No. Io parlo di Cosa nostra, che è la stessa in Calabria come in Sicilia.

PRESIDENTE. Il tipo di separatismo di cui lei ha sentito parlare, di cui si decideva ad Enna, riguardava soltanto la Sicilia o anche altre parti d’Italia?

LEONARDO MESSINA. Riguardava l'organizzazione di Cosa nostra. Non si parlava della Sicilia ma dell’organizzazione, quindi delle regioni dove c'è Cosa nostra.

PRESIDENTE. Quindi, la separazione dovrebbe riguardare non solo la Sicilia.

LEONARDO MESSINA. Sicilia, Campania, Calabria, Puglia.

PRESIDENTE. Questo è il tipo di questione che è stato affrontato ad Enna?

LEONARDO MESSINA. Si.

CARLO D'AMATO. Anche la Lombardia si doveva separare?

LEONARDO MESSINA. Dipende.

PRESIDENTE. Quindi, il problema era di disporre di aree sulle quali esercitare un controllo davvero totale, pel divenire stabile. Non doveva trattarsi di un controllo di altri ma dell’impossessamento totale.

[...]

PRESIDENTE. Tornando al tema del separatismo, vorrei chiederle se in Sicilia oggi ci sono alleati politici favorevoli e questo progetto.

LEONARDO MESSINA. Li stanno creando.

[...]

PRESIDENTE. Ora che il tentativo di un nuovo compromesso, oppure si è deciso di non avere più compromessi?

LEONARDO MESSINA. Ci sarà un nuovo compromesso con chi rappresenterà il nuovo Stato, se ce la faranno.

PRESIDENTE. Pero, se c’è un progetto separatista, si tratta di una cosa distinta: un compromesso vuole dire che si resta comunque all’interno dello Stato unitario, oppure no?

LEONARDO MESSINA. Sì, ma loro hanno interesse ad arrivare al potere con i propri uomini, che sono la loro espressione: non saranno più sudditi di nessuno.

PRESIDENTE. Quindi, possono essere strade diverse per raggiungere lo stesso tipo di obiettivo?

LEONARDO MESSINA. Loro devono raggiungere un fine: che sia la massoneria, che sia la Chiesa, che sia un’altra cosa, devono raggiungere l’obiettivo. Cosa nostra deve raggiungere l’obiettivo, qualsiasi sia la strada. 

E nell’interrogatorio reso a questo Ufficio il 4 febbraio 1993 Leonardo MESSINA precisava più dettagliatamente quanto aveva appreso da esponenti di vertice delle famiglie nissene circa il crescente interesse di COSA NOSTRA nei confronti del MOVIMENTO LEGHISTA:

Una delle tante volte in cui io mi trovai a conversare con il MICCICHE', il Potente ed il Monachino, il discorso cadde sull’on. BOSSI della LEGA NORD, che poco tempo prima era andato a Catania.Io, che allora consideravo BOSSI un “nemico della Sicilia”, dissi: “Perché un’altra volta che viene qua non l’ammazziamo?”. Al che il MICCICHE' Borino esclamò: “Ma che sei pazzo? BOSSI è giusto”.
Il MICCICHE' spiegò quindi che la LEGA NORD, e all’interno di essa non tanto BOSSI, che era un “pupo”, quanto il senatore MIGLIO, era l’espressione di una parte della DEMOCRAZIA CRISTIANA e della MASSONERIA che faceva capo all’On. ANDREOTTI e a Licio GELLI.Il MICCICHE' spiegò ancora che dopo la LEGA NORD sarebbe nata una LEGA DEL SUD, in maniera tale da non apparire espressione di COSA NOSTRA, ma in effetti al servizio di COSA NOSTRA; ed in questo modo “noi saremmo divenuti Stato”.
Queste cose il MICCICHE' disse di averle sapute proprio da RIINA Salvatore e da altri componenti della “regione”.

Leonardo MESSINA, nell’interrogatorio reso a questo Ufficio in data 3 giugno 1996, ha confermato e precisato quanto da lui appreso sul “progetto politico-eversivo” discusso dai vertici di COSA NOSTRA nel corso della riunione di Enna, fornendo altresì un racconto assai minuzioso e ricco di dettagli che ha consentito di svolgere una puntuale attività di riscontro.
In particolare, secondo MESSINA, la riunione di Enna del febbraio ‘92 era “l’atto finale”, in cui si era deciso di uccidere Giovanni Falcone (così gli venne detto da Liborio MICCICHE', massone e rappresentante della famiglia mafiosa di Pietraperzia e consigliere della “Provincia” di Enna) ed era stata definitivamente deliberata la “strategia” del ‘92, all’interno di un ben più ampio disegno finalizzato alla “creazione di uno Stato indipendente del Sud all’interno della separazione dell’Italia in tre stati”; “in tal modo, COSA NOSTRA si sarebbe fatta Stato”. Secondo MESSINA, il progetto, per finanziare il quale sarebbe stata stanziata la somma di mille miliardi, fu concepito dalla massoneria con l’appoggio di potenze straniere e coinvolgeva non solo uomini della criminalità organizzata e della massoneria, ma anche esponenti della politica, delle istituzioni e forze imprenditoriali. Più in particolare, “il progetto consisteva nella futura creazione di un nuovo soggetto politico, la LEGA SUD o LEGA MERIDIONALE, che doveva essere una sorta di “risposta naturale” del Sud alla LEGA NORD”, ma che in realtà era “al servizio di COSA NOSTRA”. Uno dei protagonisti dell’operazione sarebbe stato Gianfranco MIGLIO, vero artefice dell’operazione politica “LEGA NORD”, dietro il quale vi sarebbero stati GELLI, ANDREOTTI e non meglio precisate forze imprenditoriali del nord interessate alla separazione dell’Italia in più stati.
Si riportano alcuni passi salienti dell’interrogatorio:

Nell’agosto del 1991 il MICCICHE' mi disse che nella zona di Enna, in un posto che non specificò, si trovavano riuniti Salvatore RIINA, Bernardo PROVENZANO, Giuseppe MADONIA e Benedetto SANTAPAOLA.
Costoro, come ebbe a riferirmi lo stesso MICCICHE' successivamente, si trattennero nella zona di Enna sino al febbraio del ’92, data in cui si svolse una riunione formale della Commissione Regionale, alla quale parteciparono anche Angelo BARBERO, Salvatore SAITTA ed altri rappresentanti provinciali, dei quali non mi fece i nomi.
PROVENZANO, RIINA, MADONIA e SANTAPAOLA, dall’agosto ’91 sino agli inizi del ’92, si trattennero nella zona di Enna per discutere di un progetto politico finalizzato alla creazione di uno Stato indipendente del Sud all’interno di una separazione dell’Italia in tre stati: uno del Nord, uno del Centro e uno del Sud. In tal modo, COSA NOSTRA si sarebbe fatta Stato.
Il progetto era stato concepito dalla MASSONERIA. A tal riguardo, intendo chiarire che COSA NOSTRA e la MASSONERIA, o almeno una parte della massoneria, sono stati sin dagli anni ’70 un’unica realtà criminale integrata.
Il progetto aveva anche l’appoggio di potenze straniere.
Era stata stanziata la somma di mille miliardi per finanziare il progetto. Coinvolti in tale progetto erano non solo esponenti della criminalità mafiosa e della massoneria, ma anche esponenti della politica, delle istituzioni e forze imprenditoriali.
Il progetto consisteva nella futura creazione di un nuovo soggetto politico, la LEGA SUD o LEGA MERIDIONALE – che doveva essere una sorta di “risposta naturale” del sud alla LEGA NORD.
A proposito della LEGA NORD, quando io proposi al MICCICHE' di uccidere BOSSI in occasione di un suo viaggio a Catania nel settembre – ottobre ‘91, questi mi spiegò che BOSSI era in realtà un “pupo” e che il vero artefice del progetto politico della LEGA NORD era MIGLIO, dietro il quale c’erano GELLi e ANDREOTTI. Mi disse anche che la LEGA NORD era finanziata da forze imprenditoriali del nord, non meglio precisate, che avevano interesse alla suddivisione dell’Italia in tre stati separati.
Quando MICCICHE', che aveva appreso quanto sopra poiché era lui ad ospitare RIINA e gli altri nel suo territorio, mi fece tale discorso, era presente pure Giovanni MONACHINO, “uomo d’onore” della famiglia di Pietraperzia, il quale faceva da vivandiere a RIINA e agli altri.
Durante la permanenza di RIINA e gli altri nella zona di Enna, io incaricai Remigio AUGELLO, figlio di una persona che ha un negozio di carte di parati a S. Cataldo, di predisporre e collocare nella zona ove RIINA e gli altri si riunivano, un’apparecchiatura che serviva ad intercettare sia i telefonini sia le radio della Polizia per garantire la sicurezza dei vertici di Cosa Nostra. Io non dissi all’AUGELLO a quale scopo serviva l’apparecchiatura, né che in quella zona si trovavano RIINA e gli altri. L’AUGELLO fu costretto ad acquistare a Catania un’antenna più potente di quella originariamente installata.
L’AUGELLO fu portato sul luogo, che io non conosco, dal MONACHINO e da POTENTE Mario (cugino di Borino MICCICHE' e altro “uomo d’onore” della famiglia di Pietraperzia).
L’AUGELLO non è uomo d’onore. E’ una persona alla quale io avevo fatto dei favori.
In particolare, avevamo simulato il furto di una sua Lancia integrale di colore bianco del valore di circa 50 milioni di lire (furto denunciato a Catania). L’autovettura fu venduta all’officina Giambra di S. Cataldo per 9 milioni di lire. L’AUGELLO lucrò dall’assicurazione la somma di circa 50 milioni di lire. Ciò avvenne nel 1991.
Inoltre, gli feci consegnare della droga da SESSA Michele, trafficante di Napoli, regalandogli del denaro. Il SESSA alloggiava all’hotel Elios di S. Cataldo, luogo dove doveva avvenire la consegna nel 1991. Senonchè, io venni a sapere che l’albergo era sorvegliato dalla polizia, sicché feci alloggiare il SESSA nell’abitazione dell’AUGELLO, che si trova in una parallela di Piazza degli Eroi. La consegna di 200 grammi di eroina avvenne davanti il ristorante “La flambè” di S. Cataldo.
[...]
Le riunioni che si svolsero dall’agosto in poi furono preparatorie della riunione allargata tenutasi nel febbraio ’92. Dopo tale ultima riunione, il MICCICHE' mi disse che era stato deciso di uccidere Falcone. Non mi parlò degli altri argomenti che erano stati discussi.

Dalla diretta lettura delle dichiarazioni di Leonardo MESSINA emerge con evidenza la trama del progetto politico-criminale esposto in premessa. Qui occorre evidenziare, a riprova dell’attendibilità di tali rivelazioni, non soltanto lo spessore dei personaggi mafiosi chiamati in causa (e cioè i vertici di COSA NOSTRA dell’isola), ma il valore delle “anticipazioni” di Leonardo MESSINA.
Quando – ad esempio – egli dichiarò, già nella sua audizione davanti alla Commissione Parlamentare Antimafia del dicembre ‘92, che il movimento politico separatista, pur interessando direttamente COSA NOSTRA, sarebbe approdato in Sicilia in un momento successivo rispetto al resto d’Italia, egli fece un’affermazione che sul momento apparve poco comprensibile. Eppure, meno di un anno dopo, e cioè l’8 ottobre 1993, il movimento “SICILIA LIBERA” venne costituito a Palermo su input diretto di Leoluca BAGARELLA, mentre nel resto del meridione erano state già costituite formazioni come “CALABRIA LIBERA” (già costituita fin dal 19 settembre 1991), “LEGA LUCANA” (già “MOVIMENTO LUCANO”, costituita il 25 gennaio 1993), e tantissimi altri movimenti analoghi (“CAMPANIA LIBERA”, “ABRUZZO LIBERO”, etc.).
Ed ancora, apparve a prima vista poco verosimile l’affermazione di MESSINA, secondo la quale il vero artefice del progetto politico della LEGA NORD era il professor Gianfranco MIGLIO dietro il quale vi erano personaggi come Licio GELLI e Giulio ANDREOTTI.
Sennonché, le successive investigazioni, ed in particolare quelle svolte dalla Procura della Repubblica di Aosta su un ambiguo personaggio chiave della genesi del movimento leghista, il faccendiere Gianmario FERRAMONTI, ha evidenziato come quest’ultimo, strettamente legato al professor MIGLIO, fosse a sua volta al centro di una fitta rete di relazioni con personaggi di spicco della massoneria (italiana ed internazionale) e con insospettabili “entrature istituzionali”.
E lo stesso professor MIGLIO, seppur soltanto nel 1999, ha rivelato in una sua intervista i suoi rapporti con ANDREOTTI, intensificatisi proprio nel 1992, quando egli trattò personalmente e segretamente col senatore a vita un appoggio della LEGA NORD alla sua candidatura alla Presidenza della Repubblica in cambio di una politica favorevole al progetto federalista della LEGA NORD. Nell’intervista pubblicata su “Il Giornale” del 20/3/1999, acquisita in atti, il professor Miglio ha infatti dichiarato in merito: “Con ANDREOTTI ci trovammo a trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendici di Monte Mario, davanti a un camino spento”, subito dopo rammentando di non avere ottenuto la nomina a senatore a vita per l’opposizione di COSSIGA “nonostante ANDREOTTI insistesse tanto”. E colpisce non poco che in quella stessa intervista il professor MIGLIO dichiari, fra l’altro: “Io sono per il mantenimento anche della mafia e della ‘ndrangheta. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale, spinto fino al delitto. Io non voglio ridurre il Meridione al modello europeo, sarebbe un’assurdità. C’è anche un clientelismo buono che determina crescita economica. Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate”.
E si ricordi che in altre interviste lo stesso professor MIGLIO teorizzò in più occasioni che la selezione di una nuova classe dirigente non potesse passare che attraverso una guerra civile, in esito alla quale sarebbero prevalsi finalmente i migliori.
Insomma, quelle dichiarazioni di Leonardo MESSINA, dapprima apparse quasi “fantasiose”, si sono andate rivelando quanto mai attendibili, una volta inserite nel contesto delle risultanze successivamente acquisite e dei puntuali riscontri in atti.

E quanto dichiarato da MESSINA trova ampi riscontri. La DDA di Palermo li elenca per poi dare spazio alle attività di riscontro dell'indagine DIA:

Per limitarsi ad elencare i numerosi elementi di conferma ed integrazione delle dichiarazioni di MESSINA, che saranno diffusamente illustrati nel prosieguo, vanno fin da subito segnalati:

1) Le dichiarazioni di numerosi collaboranti siciliani, in particolare catanesi, relative alle riunioni “strategiche” di COSA NOSTRA svoltesi nella zona centrale della Sicilia prima delle stragi del ’92 (MESSINa parla della zona di Enna), anche con specifico riferimento all’approvazione in quella sede di una strategia di tipo stragistico-eversivo avente come obiettivo quello di creare le condizioni più idonee per la nascita di un nuovo movimento politico: si vedano in particolare le dichiarazioni di AVOLA Maurizio, di MALVAGNA Filippo e di PATTARINO Francesco (...);

2) Le dichiarazioni di collaboranti calabresi circa gli accordi stipulati nel medesimo periodo fra COSA NOSTRA siciliana e la ‘NDRANGHETA calabrese, aventi ad oggetto un’analoga strategia aventi obiettivi destabilizzanti al fine di realizzare la secessione della Sicilia e del Meridione dal resto d’Italia (si vedano le dichiarazioni di Filippo BARRECA e Pasquale NUCERA...);

3) Le dichiarazioni di collaboratori pugliesi, già appartenenti alla SACRA CORONA UNITA, circa i rapporti nel ‘90-’91 fra leghe meridionali, criminalità organizzata pugliese e massoneria “deviata” nell’ambito di un progetto di tipo eversivo in cui sarebbero stati, a vario titolo, coinvolti Licio GELLI e Aldo ANGHESSA (si vedano le dichiarazioni di Gianfranco MODEO e Marino PULITO...);

4) Le dichiarazioni di Tullio CANNELLA circa le confidenze apprese da Leoluca BAGARELLA in ordine alla strategia eversiva, adottata da COSA NOSTRA con l’omicidio LIMA e le stragi del ‘92-’93, finalizzata al sovvertimento istituzionale del paese creando le condizioni per la secessione della Sicilia dal resto d’Italia, nonché le dichiarazioni dello stesso CANNELLA circa il progetto di tipo secessionista che ispirava la costituzione del movimento “SICILIA LIBERA” per volontà di Leoluca BAGARELLA (...);

5) Le dichiarazioni di Gioacchino PENNINO circa i rapporti fra MAFIA, ‘NDRANGHETA e MASSONERIA anche in relazione a progetti secessionisti e la riunione di Lamezia Terme dei movimenti autonomisti del meridione d’Italia, cui presero parte i rappresentanti di SICILIA LIBERA (...);

6) Le dichiarazioni di Antonino GALLIANO circa la riunione che si sarebbe svolta fuori dalla Sicilia nel ‘90-’91 avente ad oggetto un progetto di secessione della Sicilia, cui avrebbero partecipato, fra gli altri, appartenenti di spicco di COSA NOSTRA (in particolare Stefano GANCI) e uomini di vari ambienti anche istituzionali (perfino “Ministri in carica”...);

7) Le dichiarazioni di Vincenzo SINACORI circa l’interesse di Leoluca BAGARELLA, manifestato in epoca successiva all’arresto di RIINA, ad ottenere – tramite COSA NOSTRA americana – l’appoggio “americano” ad un progetto separatista della Sicilia, con conseguente annessione agli U.S.A. (...);

8) Le dichiarazioni di Salvatore CANCEMI, secondo il quale RIINA, prima della stagione stragista, si sarebbe incontrato con persone importanti (...);

9) Le dichiarazioni di Massimo PIZZA in ordine al progetto della MASSONERIA italiana ed internazionale, nel medesimo periodo, di realizzare, in accordo con la criminalità organizzata non solo siciliana, un’azione di “destabilizzazione” finalizzata a creare le condizioni propizie per la divisione dell’Italia in più Stati, progetto nel quale avrebbero avuto un ruolo trainante COSA NOSTRA, Licio GELLI, Stefano DELLE CHIAIE ed altri personaggi di spicco degli ambienti della massoneria, della criminalità organizzata e dell’eversione nera (...);

10) Il contenuto delle lettere inviate da Elio CIOLINI all’A.G. di Bologna, già in epoca antecedente all’omicidio LIMA, circa un progetto destabilizzante da realizzare mediante atti delittuosi fra cui l’eliminazione di uomini politici di spicco dei due principali partiti allora al potere, e cioè D.C. e P.S.I. (...);

11) Le risultanze investigative dell’indagine “PHONEY MONEY”, già svolta della Procura della Repubblica di Aosta, in ordine alle profonde infiltrazioni della MASSONERIA italiana (specie meridionale) ed internazionale nella LEGA NORD con speciale riferimento a personaggi legati a Gianfranco MIGLIO (...);

12) L’esito delle investigazioni della D.I.A. sui MOVIMENTI LEGHISTI meridionali e settentrionali, che hanno confermato i rapporti di molti di questi con ambienti massonici, dell’eversione nera e della criminalità organizzata, con riferimento al “protagonismo politico” in questo ambito, nei primi anni ’90, di Licio GELLI, Stefano DELLE CHIAIE e personaggi a loro legati (...);

13) Le indagini sul movimento “SICILIA LIBERA”, che hanno confermato la stretta connessione fra la nascita di questo movimento politico e alcuni protagonisti della stagione stragista del ’93, quali Leoluca BAGARELLA, i fratelli GRAVIANO e Giovanni BRUSCA (...).

Anche dalle indagini DIA, come anticipato, giungono i riscontri alle dichiarazioni di MESSINA. Così, ad esempio, sulla riunione di Enna, ma anche sulla discesa di BOSSI a Catania:

Sulla base delle dichiarazioni di Leonardo MESSINA, in data 22 luglio 1996, è stata delegata alla D.I.A. attività investigativa di riscontro, nell’ambito del quale sono stati acquisiti significativi elementi di conferma. Ad esempio, sul conto di Liborio MICCICHE', principale fonte di MESSINA, è risultato accertato il suo elevato “spessore”, non solo in quanto consigliere provinciale e capo della famiglia mafiosa di Pietraperzia, ma anche come figlioccio di cresima e di affiliazione del noto MADONIA Giuseppe detto “Piddu”, ed inoltre come ex consigliere e assessore ai lavori pubblici al Comune di Pietraperzia, legato all’avv. Raffaele BEVILACQUA, politico andreottiano di spicco della provincia di Enna, anch’egli imputato di associazione mafiosa.
A parte le risultanze sui singoli appartenenti a COSA NOSTRA chiamati in causa da MESSINA, per le cui schede si rinvia alla lettura delle relative informative della D.I.A., appaiono particolarmente significativi i riscontri acquisiti sul conto di AUGELLO Remigio, indicato da MESSINA come colui al quale egli si era rivolto per predisporre e collocare, nella zona delle riunioni di Enna, un’apparecchiatura radio che servisse per intercettare le radio della polizia, al fine di garantire la “sicurezza” del vertice mafioso.
Dalla nota della D.I.A. n. 3313 del 25.11.1996, alla cui lettura si rinvia per alcuni specifici riscontri obiettivi relativi a vicende personali dell’AUGELLO3, risulta che l’AUGELLOè in effetti un “appassionato cultore dell’elettronica ed acceso radiomatore”, e che egli, in data 19.3.1990, è stato sorpreso dai CC. di S. Cataldo con il suo apparato radio sintonizzato sulla frequenza della centrale operativa del Comando Provinciale CC. di Caltanissetta. Egli risulta inoltre essere stato effettivamente assuntore di sostanze stupefacenti.
Ma la più significativa conferma deriva senz’altro dalle dichiarazioni rese alla Polizia Giudiziaria dallo stesso AUGELLO, il quale nel 1993 ha ammesso di essersi recato, su ordine di Leonardo MESSINA, in una casa nei pressi di Aidone (un paesino in provincia di Enna) per installarvi apparecchiature idonee a ricevere le comunicazioni delle forze di polizia e che, nell’occasione, aveva avuto modo di vedere diverse persone, alcune delle quali latitanti, fra cui riteneva di avere riconosciuto Salvatore RIINA.
Probatoriamente ancor più significativa è la circostanza che l’AUGELLO ha condotto la P.G. nel luogo della riunione (dove confermava di essere stato accompagnato da Potente Mario), che veniva pertanto individuato all’interno dell’azienda agricola di CASTORO Luigi, ex vice-sindaco socialista di Valguarnera, “compare” di MICCICHE' Liborio e indicato dallo stesso Leonardo MESSINA e da altri collaboranti come “uomo d’onore”. Ed ulteriore importante conferma deriva anche dalle dichiarazioni di CONTI Mammanica Sebastiano (genero del CASTORO Luigi), il quale ha ammesso che il suocero dava a volte ospitalità, presso la sua tenuta, a dei “cacciatori”, tra i quali indicava proprio MICCICHE' Liborio.
Puntuali si sono rivelati anche i riscontri obiettivi acquisiti a seguito degli accertamenti disposti sui luoghi e sugli eventi indicati da MESSINA (si veda, ad esempio, la riscontrata presenza alberghiera del trafficante napoletano Michele SESSA nel 1991 presso l’hotel Elios di San Cataldo).
E’ inoltre risultato che l’on. BOSSI si è recato effettivamente per una manifestazione politica a Catania proprio nel periodo indicato da MESSINA, e cioè il 13 giugno 1991 (MESSINA aveva dichiarato di averne parlato con Liborio MICCICHE' nel settembre-ottobre 1991) [Si riporta la nota ANSA che diede notizia della manifestazione elettorale: - CATANIA, 13 GIU - Il sen. Umberto Bossi, presidente della lega Nord, a Catania per una manifestazione elettorale organizzata dalla lega sud Sicilia, e' stato contestato da un gruppo di appartenenti al Fronte della Gioventù, guidato dal segretario nazionale Gianni Alemanno, entrato nella saletta dove il leader delle leghe avrebbe dovuto parlare. Fuori dall'albergo altri appartenenti al Msi-Dn hanno cominciato a scandire slogan definendo Bossi ''razzista'' e hanno distribuito volantini. Bossi, commentando la protesta con i giornalisti, ha detto:''Era prevedibile da un partito come il Msi che, d' altra parte, ha chiuso il suo ciclo. Ma se la lega passa per un movimento razzista è perché i partiti, che secondo me sono i veri fautori del separatismo, hanno interesse a lanciarci queste accuse per tenere ancora separati il sud sottosviluppato, a cui si applicano logiche al massimo clientelari e assistenziali, e il nord dove trovano ancora qualcuno che li vota''. ''La manifestazione - ha detto da parte sua Alemanno - è stata pacifica, e si è conclusa senza incidenti quando Bossi e i suoi si sono decisi ad abbandonare l'albergo. Ma era una provocazione inaccettabile che Bossi venisse in Sicilia per prepararsi a raccogliere qualche resto elettorale per le nazionali dopo che sul pregiudizio antimeridionale ha costruito le sue prime fortune'']

Altre conferme a quanto dichiarato dal MESSINA ed alle risultanze delle indagini della DIA, sulla piena attività, in quegli anni, dell'asse massonico-mafioso, arriva anche da altri collaboratori, sempre ritenuti attendibili. Anche queste tutte raccolte, una dopo l'altra, nell'indagine “SISTEMI CRIMINALI”, sono state completamente abbandonate – con l'archiviazione - dalla Procura.


I collaboranti catanesi

L’unicità della strategia di “attacco allo Stato” concepita prima della stagione stragista del ’92-‘93 e la natura “politico-eversiva” di tale strategia emerge anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboranti di spicco della mafia catanese.
 

1. Le dichiarazioni di Filippo MALVAGNA

Filippo MALVAGNA nipote del noto Giuseppe PULVIRENTI detto “’u malpassotu”, già nell’interrogatorio del 9 maggio 1994, confermava la riunione “strategica” di Enna della fine del 1991, di cui aveva riferito Leonardo MESSINA:

Girolamo RANNESI mi riferì della disponibilità offerta da Santo MAZZEI a partecipare ad attentati da eseguire in Toscana e a Torino. Questi attentati rientravano in un grande programma di “guerra allo Stato” che cosa nostra per volontà di Totò RIINA stava ponendo in essere.
[…]
A D.R. Come ho già dichiarato io ero bene a conoscenza dell’esistenza di una strategia di COSA NOSTRA volta a colpire lo Stato sia in Sicilia che fuori dall’isola. Infatti, ritengo nei primi mesi del 1992, di aver saputo da Giuseppe PULVIRENTI che qualche tempo prima e ritengo pertanto verso la fine del 1991 si era svolta in provincia di Enna, in una località che non mi venne indicata, una riunione voluta da Salvatore RIINA alla quale avevano partecipato rappresentanti ad alto livello di COSA NOSTRA provenienti da varie zone della Sicilia. Per Catania vi aveva partecipato Benedetto SANTAPAOLA che aveva poi riferito ogni particolare dell’incontro al PULVIRENTI. Il PULVIRENTI non mi raccontò chi fossero gli altri partecipanti alla riunione alla quale comunque era presente Salvatore RIINA in persona. Ricordo che mi spiegò che la provincia di Enna veniva scelta di frequente per questi incontri perché era una zona non molto presidiata dalle forze dell’ordine. Ciò su cui il PULVIRENTI fu più preciso riguardò l’oggetto della riunione. Il RIINA aveva fatto presente che la pressione dello Stato contro COSA NOSTRA si era fatta più rilevante e che comunque vi erano dei precisi segnali del fatto che alcune tradizionali alleanze con i pezzi dello Stato non funzionavano più. In pratica erano “saltati” i referenti politici di COSA NOSTRA i quali, per qualche motivo, avevano lasciato l’organizzazione senza le sue tradizionali coperture.
[…]
A D.R. Quanto alle ragioni dell’attacco allo Stato voluto da RIINA e su cui si erano trovati pienamente d’accordo SANTAPAOLA e gli altri partecipanti alla riunione in provincia di Enna, il MALPASSOTU mi riferì solo una frase che sarebbe stata pronunciata da RIINA: “Si fa la guerra per poi fare la pace”. Successivamente ebbi modo di discutere ancora con il PULVIRENTI riguardo alle finalità di questa strategia di COSA NOSTRA. Secondo il MALPASSOTU, ora che molti accordi con il potere politico erano venuti meno bisognava fare pressione sulle Stato per altre vie sia allo scopo di indurre gli apparati dello Stato anche a delle trattative con la mafia sia, quanto meno, per allentare la pressione degli organi dello Stato su COSA NOSTRA e sulla Sicilia.
Non posso essere più preciso su ciò, ma ricordo che il MALPASSOTU mi raccontò che si era deciso che tutte le future azioni terroristiche di COSA NOSTRA venissero rivendicate con la sigla “FALANGE ARMATA”.
A D.R. Per quanto mi riferì il MALPASSOTU la decisione di intraprendere una vera e propria guerra allo Stato era stata presa da tutti coloro che avevano partecipato alla riunione nella provincia di Enna. Questa unanimità di vedute si era mantenuta anche dopo le stragi in danno del dr. Falcone e del dr. Borsellino. 

Nel corso della sua deposizione nel processo per la strage di Capaci il MALVAGNA ha ribadito che, nel corso della riunione tenutasi nella provincia di Enna tra gli ultimi mesi del 1991 ed i primi giorni del 1992, cui erano intervenuti gli esponenti di vertice di tutte le province siciliane, e tra questi il SANTAPAOLA e lo stesso RIINA, si era deliberata, su proposta di quest’ultimo e con l’approvazione di tutti, una strategia con la quale - preso atto che avevano perso consistenza i pregressi rapporti dell’organizzazione con appartenenti al mondo politico-istituzionale - si abbandonava ogni remora e si muoveva un attacco deciso contro l’apparato statale per destabilizzarlo e crearsi nuovi spazi di trattativa. MALVAGNA ha aggiunto che si era anche concordato che l’attuazione della strategia avrebbe richiesto il contributo di tutte le province e che doveva consistere, fra l’altro, nel porre in essere attentati ed intimidazioni nei confronti di chi, nell’ambito di ogni provincia, mostrava di volere più seriamente opporsi a COSA NOSTRA, tanto che egli aveva ben compreso che l’attentato al giudice Falcone faceva parte di un “progetto ancora più espansivo” (Giuseppe PLVIRENTI, dopo la strage di Capaci, gli aveva detto: “devono succedere altre cose”). Ed il MALVAGNA ha evidenziato che nel catanese vennero ideati ed in parte posti in essere, nel quadro della stessa strategia, atti intimidatori nei confronti del sindaco pro-tempore di Misterbianco Antonio Di Guardo, del giornalista Claudio Fava, dell’avv. Guarnera e perfino un attentato avente come obiettivo il Palazzo di Giustizia di Catania, nonché di aver appreso successivamente che appartenenti alla consorteria catanese si erano attivati per raccogliere informazioni al fine di realizzare attentati anche in Toscana e a Torino.
Poneva, altresì, in rilievo di aver appreso da Marcello D’AGATA (consigliere della provincia catanese) durante la comune detenzione presso il carcere di Bicocca, tra la fine del dicembre 1993 e gli inizi del 1994, che “gli amici di Palermo” avevano mandato a dire che, tra un paio d’anni, “le cose si sarebbero sistemate di nuovo”, nel senso che sarebbe stato abolito il 41 bis e si sarebbero recuperati gli antichi privilegi.
Dichiarava, ancora, di aver dedotto dalle parole del D’AGATA che la strategia di attacco allo Stato aveva dato i suoi frutti, in quanto si erano creati “nuovi agganci con pezzi delle istituzioni e della politica”.


2. Le dichiarazioni di Francesco PATTARINO

Altro collaboratore catanese di spicco, Francesco PATTARINO, figlio del boss Francesco MANGION, nell’interrogatorio reso alla Procura della Repubblica di Palermo il 4 febbraio 1998, ha confermato sia la riunione di Enna della fine del 1991, sia l’interesse della famiglia catanese per la prospettiva separatista:

A D R. Dopo le stragi all’interno delle carceri le lamentele più frequenti riguardavano il fatto che chi era rimasto fuori non sfruttava a sufficienza gli strumenti a nostra disposizione per colpire i collaboratori di giustizia. In quest’ambito si inserì il discorso che mi fece il CILONA in particolare sulla circostanza che aveva messo “nelle mani” di chi era fuori alcune sue importanti amicizie, tra cui quella di DELL'UTRI Marcello. Sempre in carcere ricordo che una volta Natale DI RAIMONDO (responsabile della zona di Monte Po’ e vicino ad Ercolano) - di fronte alla situazione politica venutasi a creare – disse testualmente che sarebbe stato il caso di far separare la Sicilia dal resto d’Italia. Il CILONA, che era presente alla discussione, disse che era d’accordo e che su questa strada “si poteva ottenere tanto”. Il CILONA del resto diceva che “il politico lo dovevamo creare noi”, così come del resto sosteneva lo stesso ERCOLANO Aldo.
Quella separatista era solo una delle ipotesi che si facevano all’interno di COSA NOSTRA catanese nel 1992 – 1993.
Infatti, si discuteva anche di far pesare la forza economica di COSA NOSTRA nel catanese provocando la chiusura di tutte le attività a noi in qualche modo riferibili e creando malcontento nel confronto dello stato nella popolazione.
Tutte queste possibilità vennero vagliate da Aldo ERCOLANO con “i palermitani” con cui l’associazione catanese aveva anche a mezzo di Eugenio GALEA contatti frequenti.
Una riunione cui partecipai io stesso avvenne nei pressi di Belpasso in una tenuta nella cui vicinanza passava la latitanza il PULVIRENTI (detto “il malpassotu”).
Alla riunione partecipava COSA NOSTRA di Palermo e di Messina (non ricordo chi fosse presente per Palermo, mentre per Messina era presente SPARACIO Luigi) e di Catania (erano presenti il PULVIRENTI, mio padre, mio zio Pippo MANGION e mio cognato Aldo ERCOLANO). In quell’occasione ERCOLANO propose che per le strategie estorsive e per contatti con i politici cosa nostra divenisse “ una voce sola” in modo tale da ottenere risultati importanti con il minimo dispendio di energie e di mezzi, nonché in modo tale da fare apparire più forte l’organizzazione.
A D R. Sono in effetti a conoscenza di riunioni di mafia svoltesi tra il 1991 e i primi del 1992 fra la provincia di Enna e di Caltanissetta.
Ricordo in particolare di avere appreso sia da mio padre che da Aldo ERCOLANO sia da Nello NARDO che gli stessi si erano recati in quel periodo a più riunioni svoltesi in quella zona cui avevano preso parte anche i massimi rappresentanti delle altre famiglie mafiose della Sicilia.
Il NARDO, in particolare, mi disse di essere meravigliato del fatto che tanti capi mafia si riunissero tutti insieme in uno stesso luogo, così rischiando di incappare in una retata per noi estremamente dannosa qualora qualcuno ne avesse informato le forze dell’ordine. Ricordo che, in una di queste riunioni, la permanenza dei mafiosi nelle località sopraddette si protrasse per circa quattro giorni. Debbo però dire che non ho mai saputo quale sia stato l’oggetto di quelle riunioni.

Dichiarazioni, queste, che appaiono in perfetta sintonia con le rivelazioni di Leonardo MESSINA.
 
3. Le dichiarazioni di Maurizio Avola

Ancor più significative sono le dichiarazioni di Maurizio AVOLA, il quale fin dall’interrogatorio alla Procura di Catania del 17 marzo 1994, ha riferito di una riunione “strategica” di COSA NOSTRA svoltasi nel settembre ‘92, al ritorno dalla quale Eugenio GALEA, all’epoca vice-rappresentante provinciale, riferì ad Aldo ERCOLANO due cose: RIINA “intendeva attaccare lo Stato” (“bombe per colpire obiettivi dello Stato”, bombe su strade ferrate e tralicci ENEL anche per colpire camion di militari e traghetti sullo Stretto di Messina) e che “voleva creare un nuovo partito politico nel quale inserire uomini di COSA NOSTRA incensurati, che avrebbero così potuto curare direttamente gli interessi di COSA NOSTRA”.
Nell’interrogatorio reso il 24 marzo 1995 alla Procura della Repubblica di Caltanissetta, AVOLA ha dichiarato:

“...perché potesse affermarsi il nuovo partito era necessario che si instaurasse un clima di attacco allo Stato. Ad attaccare lo Stato era stata delegata COSA NOSTRA già dall’inizio del 1992. ...Si trattava in definitiva di una strategia della tensione e del terrore che COSA NOSTRA avrebbe dovuto portare avanti colpendo anche obiettivi che non rientravano tra i tradizionali obiettivi della mafia e per i quali, sulle prime, sarebbe sembrato difficile individuare un risultato positivo per COSA NOSTRA. Questo risultato positivo sarebbe certamente venuto però in un secondo momento quando con questa strategia il vecchio sistema avrebbe avuto la spallata definitiva perché il popolo esasperato sarebbe stato propenso ad appoggiare gli uomini che sarebbero scesi tempestivamente in campo, sbandierando a parole programmi di rinnovamento e di rigore. Con questi uomini nuovi evidentemente dovevano essere intercorsi già accordi che garantivano per il futuro una legislazione favorevole a COSA NOSTRA.
Quanto agli obiettivi da colpire, si trattava, come ho detto, di azioni di tipo terroristico anche tradizionalmente estranee al modo di operare e alle finalità di COSA NOSTRA.
Queste azioni secondo una prassi che era in atto già da tempo dovevano essere rivendicate con la sigla FALANGE ARMATA”.

Scendendo ancor più nello specifico, AVOLA, nell’interrogatorio reso alla Procura di Palermo il 12 settembre 1996, ha precisato che della nuova strategia politico-eversiva di COSA NOSTRA aveva già avuto notizia nel 1990 e che egli aveva saputo anche di un certo interesse verso un’ipotesi di separatismo:

Preciso al riguardo che, come ho in precedenza riferito, avevo già notizia della strategia stragista dei corleonesi, che aveva come obiettivo ultimo quello di dare una “spallata” al vecchio sistema politico e creare le condizioni idonee perché si affermasse quella nascente forza politica, di cui GALEA aveva appreso nel corso di quella riunione.Infatti, fin dagli inizi del 1990 avevo appreso da Marcello D’AGATA e da Aldo ERCOLANO, rispettivamente consigliere e vice rappresentante della famiglia di Catania, che i corleonesi avevano in progetto attentati per “colpire lo Stato”.
[…]
La ragione per la quale “COSA NOSTRA” aveva in animo di compiere attentati contro obiettivi indiscriminati era quella di determinare una situazione di instabilità delle istituzioni statali e di reazione popolare contro lo Stato non in grado di assicurare l’ordine e la sicurezza pubblica. Tutto ciò avrebbe favorito un nuovo ”patto” fra COSA NOSTRA e i suoi nuovi referenti politici: da una parte, sarebbero stati eliminati politicamente i vecchi “punti di riferimento” che non garantivano più COSA NOSTRA; dall’altra parte, si sarebbe agevolata l’affermazione dei nuovi “referenti”.
[…]
I corleonesi erano certi che, tramite questo movimento politico, COSA NOSTRA avrebbe ricavato degli importanti benefici, compresa la modifica delle leggi antimafia in modo favorevole a COSA NOSTRA stessa. Nei discorsi successivi alle stragi del ‘92 si faceva soprattutto riferimento alla necessità che venisse abolito il 41-bis e venisse rivista la legge sui collaboratori di giustizia.
[…]
A.D.R. Ho anche appreso che COSA NOSTRA fin dal ‘90 aveva intenzione di eseguire attentati anche fuori della Sicilia celandosi dietro false rivendicazioni con la sigla “FALANGE ARMATA”.
[…]
A.D.R. Poiché la S.V. mi chiede se io sia a conoscenza di interessi di COSA NOSTRA verso movimenti politici separatisti o comunque aventi come obiettivo l’indipendenza della Sicilia dal resto di Italia, posso riferire soltanto un accenno che mi fece Marcello D'AGATA intorno al 1991.
Il D’AGATA mi disse: “noi non abbiamo bisogno dell’Italia, la Sicilia potrebbe restare benissimo indipendente”.

[…]


I collaboranti palermitani

1. Le dichiarazioni di Antonino GALLIANO
Antonino GALLIANO, uomo d’onore della famiglia della Noce, è stato particolarmente vicino a Mimmo GANCI, ritenuto la “mente politica” della famiglia, che – va ricordato – è sempre stata particolarmente vicina a Totò RIINA.
Ed è proprio da Mimmo GANCI che GALLIANO ha dichiarato di avere appreso dell’esistenza, proprio nel 1991, di un piano secessionista che interessava la Sicilia e COSA NOSTRA. Lo stesso GANCI si sarebbe spostato per partecipare ad una riunione fuori dalla Sicilia, ove se ne era discusso ed alla quale avrebbero preso parte anche elementi esterni all’organizzazione, uomini politici e delle istituzioni, perfino “Ministri in carica”.
Si riporta un brano dell’interrogatorio del 9 settembre 1996: 

GALLIANO: Mimmo GANCI una volta mi riferì che lui era stato fuori ad una certa riunione. Siccome io, ogni tanto, lo andavo a trovare al negozio, ci vedevamo così... mi accorsi che, per diversi giorni, lui al negozio non c'era e che non c'era a Palermo. Dopo circa una settimana o 10 giorni, giù di lì, lo incontrai e gli chiesi il perché di questa sua mancanza e lui mi raccontò che era stato fuori Palermo, però non mi disse il luogo di preciso dov'era andato

P.M.: Fuori Palermo ma in Sicilia, o fuori Palermo e dalla Sicilia?

GALLIANO: Fuori Palermo però presumo fuori la Sicilia, perché era mancato diversi giorni, quindi... non mancò poco

P.M.: Ma per diversi giorni, lei cosa intende? Due giorni, una settimana, più di una settimana?

GALLIANO: Una settimana abbondante lui mancò dal negozio

P.M.: Ho capito, si

GALLIANO: E mi raccontò che era stato ad una riunione, però non mi disse che persone c'erano, però mi disse che c'erano ministri in carica in quel periodo... siamo, diciamo, nel periodo ultimo, nel periodo finale della Prima Repubblica

P.M.: Della Prima Repubblica

GALLIANO: E, quindi, siamo in un periodo antecedente anche al risultato della Cassazione del Maxi Processo

P.M.: Cioè prima della sentenza del Maxi Processo?

GALLIANO: Si, siamo prima perché il fine era quello, di aggiustare la sentenza in Cassazione del Maxi Processo

P.M.: Questo glielo disse Mimmo GANCI?

GALLIANO: Si. Il... diciamo, il punto cardine di questa riunione era l'aggiustamento di questa sentenza

P.M.: Così le disse Mimmo GANCI?

GALLIANO: Si, Mimmo GANCI così mi disse. E che nel contempo stavano, diciamo, mettendo in atto qualche cosa che dovesse destabilizzare lo Stato; cioè loro dice che volevano, a quanto pare, mettere in pratica il progetto che volevano mettere in pratica nel dopoguerra, cioè staccare la Sicilia dal resto dell'Italia

P.M.: Ed il discorso con Mimmo GANCI di quand'è... il suo discorso di Mimmo GANCI?

GALLIANO: Siamo tra l'ottobre ed il novembre del '91

P.M.: Ho capito. E questo discorso è di molto tempo distante da questo viaggio che fa Mimmo GANCI?

GALLIANO: No, no, lui era venuto da poco da questo... da questo viaggio

P.M.: Ho capito. Questo viaggio se ho capito bene, dovrebbe essere stato fatto in continente, diciamo così

GALLIANO: Si, fuori dalla Sicilia, secondo me

P.M.: Ho capito. E vi fu una riunione... vuole ripetere?

GALLIANO: Con grossi personaggi politici e lui mi disse, mi sottolineò, dice: "Con uomini di una certa importanza, figurati - mi disse - che ci sono, nel mezzo, anche "ministri in carica"."

P.M.: Così disse: ministri?

GALLIANO: "Ministri in carica"

P.M.: Nel '91

GALLIANO: "Ministri in carica"

P.M.: Ed è sicuro di questa sua affermazione?

GALLIANO: Si, si

P.M.: Così le disse Mimmo GANCI?

GALLIANO: Si

P.M.: Ed oltre a questi "ministri in carica"...

GALLIANO: Cioè per farmi capire la valenza e l'importanza della riunione, mi sottolineò che c'erano "ministri in carica"

P.M.: Ed oltre questo discorso su "ministri in carica", c'è... altri esponenti?

GALLIANO: Che c'erano...

P.M.: Per capire che tipo di riunione era

GALLIANO: Si, c'erano grossi esponenti delle istituzioni dello Stato. Mi disse che c'erano: giudici, prefetti, gente di... diciamo del mondo economico, di tutte le svariate... tipi di persone

P.M.: Ho capito

GALLIANO: Diciamo per farmi capire, diciamo, l'importanza mi sottolineò il fatto dei ministri... cioè per farmi capire che non era, diciamo, una fesseria, ma che era qualche cosa di serio

P.M.: Ho capito. E le disse dove si era tenuta questa riunione?

GALLIANO: No, no, questo non me lo disse

P.M.: Le disse quanto durò questa riunione, se era una riunione di un giorno, di due giorni

GALLIANO: No, no, non siamo... cioè perché lui era un tipo che non parlava molto, cioè uno doveva capire nelle poche parole che lui riusciva ad esprimere

P.M.: Ho capito. Senta una cosa: e quindi mi vuole ripetere i contenuti di questo incontro per come glieli disse Mimmo GANCI?

GALLIANO: Lui mi disse che questa riunione la... diciamo la... il punto cardine era la questione della sentenza del Maxi Processo alla Cassazione

P.M.: Si ricorda, con le parole di GANCI, che cosa le disse GANCI? Anche in dialetto

GALLIANO: Che dovevano aggiustare o, quantomeno rigettare la sentenza... cioè rigettare, diciamo, la sentenza; quindi cercare di fare uscire tutte queste persone dal carcere, per aiutare queste persone che erano detenute

P.M.: E poi? Cera un altro obiettivo

GALLIANO: Che l'obiettivo era quello, diciamo, di destabilizzare lo Stato, cioè diceva che volevano creare... staccare la Sicilia dal resto dell'Italia.

E’ facilmente intuibile il valore probatorio delle dichiarazioni di GALLIANO, avuto riguardo alla convergenza con le dichiarazioni dei collaboranti finora riportate e con le altre risultanze del procedimento, già accennate, in ordine alla operatività già nel ’91 dell’associazione eversiva oggetto del presente procedimento, nella quale erano confluite, in vista dell’obiettivo secessionista, componenti di diversa provenienza, compresi soggetti inseriti in ambienti istituzionali.

 

2. Le dichiarazioni di Tullio CANNELLA

Ancor più ampie ed articolate, e nondimeno convergenti, sono le dichiarazioni rese da Tullio CANNELLA, soggetto che – come è noto – ha operato per anni a fianco di Leoluca BAGARELLA, per di più nel periodo cruciale della stagione stragista del ’93, della quale BAGARELLA è stato assoluto protagonista. Peraltro, CANNELLA è stato tra i fautori, sempre con il BAGARELLA, dell’esperienza politica del neonato movimento “SICILIA LIBERA”, che costituì proprio una delle manifestazioni del più recente progetto secessionista di COSA NOSTRA. In riferimento a quell’esperienza, CANNELLA ha precisato che la genesi di “SICILIA LIBERA”, fondata nel 1993, in realtà affondava le proprie radici in un ben più ampio piano strategico, il cui contenuto egli apprese personalmente da BAGARELLA e da altri uomini d’onore (Filippo GRAVIANO, Iano LOMBARDO, Vincenzo INCERILLO, Cesare LUPO).
Si riportano alcuni brani dell’interrogatorio del 28 maggio 1997:

CIANCIMINO mi disse che il progetto di “SICILIA LIBERA” costituiva una attuazione di una strategia politica che lui tramite l’appoggio e l’apporto ideativo di PROVENZANO negli anni precedenti tramite la “LEGA MERIDIONALE” o qualcosa di simile (non ricordo bene il nome del movimento politico indicato da CIANCIMINO).Aggiunse che a questo progetto aveva collaborato fortemente la ‘NDRANGHETA calabrese. Specificò al riguardo: “devi sapere che la vera MASSONERIA è in Calabria e che in Calabria hanno appoggi a livello di SERVIZI SEGRETI”.
Queste dichiarazioni di CIANCIMINO mi fecero comprendere meglio perché si era tenuta a Lamezia Terme la riunione di cui ho riferito in precedenti interrogatori, e alla quale partecipai personalmente tra esponenti di “SICILIA LIBERA” e di altri MOVIMENTI LEGHISTI o separatisti meridionali, riunione alla quale erano presenti anche diversi esponenti della LEGA NORD.
Ricordo che alla riunione in questione erano presenti, fra l’altro, esponenti di un movimento indipendentista della Campania, di “BASILICATA LIBERA”, della “LEGA ITALIANA”, di “CALABRIA LIBERA” e di altri analoghi movimenti.
In questa riunione presero, fra gli altri, la parola un esponente della LEGA NORD, di cui in questo momento non ricordo il nome, un giovane sui 33-34 anni, alto, di corporatura media, di capelli castano chiari; questa persona faceva parte del direttivo della LEGA NORD e mi pare di ricordare che aveva una carica pubblica; egli si trovava a Lamezia già da due giorni (non so se avesse pernottato in albergo o in una casa privata).
Costui disse che gli interessi della LEGA NORD e quelli dei movimenti del meridione coincidevano. Si doveva dare all’esterno una sensazione dell’antagonismo fra la LEGA NORD e i movimenti del sud, ma in realtà si doveva agire di concerto per realizzare la divisione politica dell’Italia tra Nord e Sud.
In esito a questa riunione si decise che tutti i movimenti del sud si dovevano unificare in un’unica lega: la “LEGA MEDITERRANEA”.
[…]
Il movimento "SICILIA LIBERA" era solo uno dei momenti di una complessa strategia politica e criminale della quale sono stato messo al corrente da BAGARELLA nel periodo in cui ho avuto occasione di frequentarlo, proprio perché mi associò a questo progetto.
[…]
A D.R. Ho appreso nel 1993 da altri esponenti di COSA NOSTRA, e tramite i miei rapporti con esponenti politici di alto livello, che vi era stata una grande preoccupazione nell’ambiente politico e nell’ambiente imprenditoriale ad alto livello, per ciò Giovanni Falcone e Paolo Borsellino avevano appreso nel corso delle loro indagini. Vi era stato il timore che ex esponenti della Procura palermitana arrivassero ai vertici delle istituzioni.
In particolare, che l’On. Giuseppe Ayala arrivasse al Ministero degli Interni, che il dott. Giovanni Falcone fosse nominato Procuratore alla Procura Nazionale Antimafia e il dott. Paolo Borsellino in un ruolo di vertice nella Procura della Repubblica di Palermo.
Questo temuto progetto si riteneva possibile perché alcuni esponenti politici di vertice erano considerati “nelle mani” di Giovanni Falcone, il quale era a conoscenza dell’accordo che in passato MARTELLI aveva stretto con COSA NOSTRA.
Le stragi di Capaci e di Via D’Amelio si inserivano in una strategia più complessa, che poi proseguì nel 1993 con le stragi al Nord, e con l’attività di costituzione di MOVIMENTI LEGHISTI. Le stragi al Nord erano finalizzate a distrarre l’attenzione dal problema di COSA NOSTRA in Sicilia, e a creare un clima propizio per addivenire in quel momento in tempi più brevi alla separazione dell’Italia fra Nord e Sud.
[…]
A D.R. Per quanto riguarda i MOVIMENTI LEGHISTI e indipendentisti, la posizione all’interno di COSA NOSTRA era articolata. Alcuni come BAGARELLA erano tutti proiettati, in un primo momento, sul progetto separatista. Altri, come i GRAVIANO e PROVENZANO, pur coltivando lo stesso progetto, ritenevano tuttavia che si trattasse di un progetto che richiedeva tempi lunghi di attuazione e che quindi, pur non abbandonando il progetto, bisognasse nell’immediato trovare una soluzione politica che, in attesa del maturare delle condizioni per l’attuazione della strategia separatista, desse risposta alle esigenze più impellenti e immediate di COSA NOSTRA, e cioè i processi, i magistrati, i pentiti e il carcere.
Per questo motivo, i GRAVIANO e PROVENZANO, pur continuando a coltivare il progetto separatista, si impegnarono e profusero le loro energie per favorire ed appoggiare l’affermarsi di un nuovo partito politico e cioè FORZA ITALIA.
Anche BAGARELLA in un secondo momento, dopo essersi impegnato esclusivamente per “SICILIA LIBERA” si rese conto che si trattava di un progetto di lungo periodo e che nell’immediato invece bisognava appoggiare FORZA ITALIA e candidati del POLO da noi contattati i quali dovevano assumere impegni ben precisi.
Ribadisco tuttavia che l’appoggio a FORZA ITALIA non determinò l’abbandono della strategia separatista che continuò ad essere coltivata perché questa strategia costituiva il punto di arrivo e la soluzione finale dei problemi di COSA NOSTRA e dei suoi alleati esterni.
Lo stesso BAGARELLA si rese conto, anche a seguito dei miei consigli, che la soluzione politica immediata di favorire l’affermazione di FORZA ITALIA avrebbe consentito in forza degli impegni che erano stati assunti di risolvere i problemi carcerari di molti uomini d’onore, i quali sarebbero tornati sul territorio rinforzando le fila dell’organizzazione e potendo così profondere loro energie per l’attuazione della strategia separatista.
La soluzione politica immediata, inoltre, avrebbe consentito di frenare il fenomeno dei collaboratori e avrebbe agevolato le comunicazioni fra gli uomini d’onore in carcere e l’esterno.

Ed il 23 luglio 1997, interrogato dai Pubblici Ministeri di Palermo, Firenze e Caltanissetta, CANNELLA precisava:

“Sin dal 1990/91 c’era un interesse di “COSA NOSTRA” a creare movimenti separatisti; erano sorti in tutto il Sud movimenti con varie denominazioni ma tutti con ispirazioni e finalità separatiste. Questi movimenti avevano una contrapposizione “di facciata” con la LEGA NORD, ma nella sostanza ne condividevano gli obiettivi. Successivamente, sorgono a Catania “SICILIA LIBERA” e in altri luoghi del Sud movimenti analoghi. Tutte queste iniziative nascevano dalla volontà di “COSA NOSTRA” di “punire i politici una volta amici”, preparando il terreno a movimenti politici che prevedessero il coinvolgimento diretto di uomini della criminalità organizzata o, meglio, legati alla criminalità, ma “presentabili”.
Nel corso dell’evoluzione di queste iniziative di tipo autonomistico - separatista, erano venute maturando, inoltre, le premesse per la creazione di un movimento politico unitario che ci avrebbe assicurato gli stessi obiettivi che avevamo iniziato a perseguire con i movimenti separatisti. Come ho dichiarato nel precedente interrogatorio, pertanto, quando nell’ottobre 1993, su incarico di BAGARELLA, costituii a Palermo il movimento “SICILIA LIBERA”, le due strategie già coesistevano, e lo stesso BAGARELLA sapeva della prossima “discesa in campo” di Silvio BERLUSCONI. BAGARELLA, tuttavia, non intendeva rinunciare al programma separatista, perché non voleva ripetere “l’errore” di suo cognato, cioè dare troppa fiducia ai politici e voleva, quindi, conservarsi la carta di un movimento politico in cui “COSA NOSTRA” fosse presente in prima persona. Inoltre, va detto che vi era un’ampia convergenza tra i progetti, per come si andavano delineando, del nuovo movimento politico capeggiato da BERLUSCONI e quelli dei movimenti separatisti.
Si pensi al progetto di fare della Sicilia un porto franco, che era un impegno dei movimenti separatisti ed un impegno dei siciliani aderenti a “FORZA ITALIA”. Si pensi ancora che, all’inizio del 1994, da esponenti della LEGA NORD (TEMPESTA, MARCHIONI ed il principe ORSINI), con i quali avevo avuto diretti contatti, ero stato notiziato dell’esistenza di trattative fra BOSSI e BERLUSCONI per un apparentamento elettorale e per un futuro accordo di governo che prevedeva, fra l’altro, il federalismo tra gli obiettivi primari da perseguire. MARCHIONI mi aveva riferito che un parlamentare della LEGA NORD, questore del Senato, aveva confermato che il futuro movimento, che avrebbe poi preso il nome di “FORZA ITALIA”, aveva sposato in pieno la tesi federalista. Questo era per noi un primo obiettivo immediato di non scarsa rilevanza nell’ambito del nostro progetto separatista.”

E ha poi aggiunto:

“Verso la fine del 1993, nel corso di un incontro con Filippo GRAVIANO, questi, facendo riferimento al movimento “SICILIA LIBERA” di cui ero notoriamente promotore, mi disse testualmente: ‘Ti sei messo in politica, ma perché non lasci stare, visto che c’è chi si cura i politici ..... , ci sono io che ho rapporti ad alti livelli e ben presto verranno risolti i problemi che ci danno i pentiti ...’ ”.

Dalle dichiarazioni di CANNELLA emerge dunque un’ulteriore conferma della ben precisa strategia di COSA NOSTRA, messa a punto nella stagione in cui, entrato in crisi il rapporto con i vecchi referenti politici, l’organizzazione criminale aveva stabilito di recidere definitivamente tali legami, punendo questi “referenti” per rinnovare il proprio rapporto con la politica.

La strategia avrebbe subìto nel tempo una graduale accelerazione. In una prima fase, COSA NOSTRA si sarebbe limitata ad osservare con l’interesse di sempre la nascita di movimenti filo-separatisti nel Mezzogiorno; avrebbe in seguito cominciato a dialogare con la LEGA MERIDIONALE e poi deciso di scendere direttamente in campo costituendo SICILIA LIBERA. Il progetto mafioso - sostiene CANNELLA - fu appoggiato anche dalla ‘NDRANGHETA e MASSONERIA.

Anche le stragi del ’92 e del ’93 – secondo CANNELLA - avrebbero fatto parte di questo piano di “assalto” al mondo politico; in seguito, la strategia stragista e separatista avrebbe lasciato il passo, non senza suscitare dissensi all’interno della stessa organizzazione criminale, ad altra strategia non più fondata sulla logica della contrapposizione e delle bombe, ma sulle intese con un nuovo referente politico.

Ai fini, comunque, del presente procedimento, è particolarmente rilevante soprattutto la parte in cui CANNELLA riferisce quanto egli apprese direttamente da personaggi di primo piano di quegli anni, da Leoluca BAGARELLA a CIANCIMINO ai GRAVIANO, circa il comune orientamento, formatosi in una certa fase storica all’interno di COSA NOSTRA, di sostegno del progetto neo-secessionista. Così come sono probatoriamente rilevanti le dichiarazioni di CANNELLA relative all’esperienza da lui vissuta come protagonista della vicenda di SICILIA LIBERA, sulla quale si tornerà più avanti, di grande utilità per comprendere la genesi e la parabola di quella strategia.

 

3. Le dichiarazioni di Gioacchino PENNINO

Conferme del quadro probatorio finora delineato sono emerse anche dalle dichiarazioni di Gioacchino PENNINO, uomo d’onore ben “introdotto” nella città anche in quanto medico e uomo politico della D.C.
Egli, nella sua doppia qualità di uomo d’onore e massone, ha ampiamente parlato, per conoscenza diretta, del rapporto COSA NOSTRA - MASSONERIA, evidenziando altresì il profondo radicamento di quest’ultima all’interno della società e delle istituzioni siciliane e la stabilità delle relazioni fra criminalità siciliana e calabrese proprio per il tramite della massoneria. Ed in tale contesto egli ha ricostruito in numerosi interrogatori la lunga storia degli intensi rapporti fra settori deviati della MASSONERIA e COSA NOSTRA, anche in relazione a progetti di tipo golpistico-separatista.
Il PENNINO ha in proposito precisato che l'idea autonomista è stata sempre coltivata da COSA NOSTRA in periodi congiunturali, caratterizzati da uno stato di crisi del rapporto con i detentori del potere politico, rievocando in particolare la vicenda del “GOLPE BORGHESE” nel 1970, del golpe separatista progettato nel 1978/79 da Michele SINDONA, del progetto separatista coltivato dalla massoneria di cui gli parlò nel 1980 Stefano BONTADE, e di un interessamento manifestato, fin dalla metà degli anni ‘80, dal gruppo di Vito CIANCIMINO e da ambienti massonici per una nascente “LEGA MERIDIONALE”.
PENNINO ha spiegato che il riaffiorare di siffatte istanze separatiste in seno a COSA NOSTRA ed agli ambienti ad essa contigui, in momenti di crisi del rapporto con la politica, è stato spesso determinato dalla necessità di lanciare dei forti “segnali”. Minacciare la separazione della Sicilia, o comunque il disimpegno rispetto ai referenti politici nazionali, può anche servire, insomma, per ricontrattare i rapporti di forza.
PENNINO ha inoltre confermato le dichiarazioni di Tullio CANNELLA relative alla riunione di Lamezia Terme del 1993, ed all’esperienza di “SICILIA LIBERA”, nonché al progressivo venir meno nel 1994 dell’interesse per il progetto di tipo indipendentista in favore di altre formazioni politiche più tradizionali.


4. Le dichiarazioni di Giovanni BRUSCA

Di rilievo sono anche le dichiarazioni di Giovanni BRUSCA, che – come è noto – è stato uno dei protagonisti (ed artefici sotto il profilo operativo-militare) della strategia stragista del ‘92-’93.
Una prima conferma del quadro probatorio finora delineato deriva dalle dichiarazioni di Giovanni BRUSCA sull’omicidio dell’on. Salvo LIMA, che venne ucciso – secondo BRUSCA, così come secondo la convergente ricostruzione dei collaboratori di giustizia – perché principale rappresentante siciliano di quella componente politica che, dopo avere attuato per molti anni un rapporto di pacifica convivenza e di scambio di favori con COSA NOSTRA, che riversava su di questa i propri voti, non sembrava più orientata a tutelare gli interessi dell'associazione mafiosa, mostrando - anzi – di voler proseguire in una politica contraria.
BRUSCA nell’interrogatorio dell’11 settembre 1996 ha spiegato:

Non si trattava solamente di eliminare LIMA e quindi di chiudere il conto con lui ma anche, in questo modo, di colpire ANDREOTTI e spiego in che termini, specificando che quanto ora dico mi proviene dai discorsi che faceva RIINA. Secondo RIINA, ANDREOTTI era sempre stato appoggiato dalla Sicilia nel senso che la mafia aveva alimentato il consenso della DC in Sicilia ed in particolare della DC di ANDREOTTI; ciò non pertanto ANDREOTTI non si era in alcun modo attivato perchè il maxi avesse un esito diverso e al contempo coltivava aspirazioni politiche elevatissime e, in primo luogo, la prospettiva di essere designato Presidente della Repubblica.
Pertanto l’omicidio di LIMA guardava anche verso ANDREOTTI che RIINA voleva indebolire.

Al di là, comunque, delle motivazioni dell’omicidio, riferibili ad una lettura del tutto interna all’ottica di COSA NOSTRA, non possono esservi dubbi sugli effetti “destabilizzanti” dell’omicidio di un personaggio della caratura dell’on. LIMA alla vigilia delle consultazioni elettorali nazionali del ’92. Il colpo inferto al sen. ANDREOTTI fu notevole, specie se si considera che era già avviata la “corsa” alla Presidenza della Repubblica rispetto alla quale ANDREOTTI era ritenuto favorito. Insomma, le dichiarazioni di BRUSCA costituiscono evidente conferma delle dichiarazioni finora esaminate circa il primo obiettivo della strategia violenta dei primi anni ’90, e cioè l’azzeramento dei vecchi “referenti politici”.

BRUSCA, uno degli autori della strage di Capaci, ha dichiarato anche in più di un interrogatorio di avere appreso personalmente da Totò RIINA, che con quella strage gli obiettivi perseguiti erano molteplici:
* in primo luogo, eliminare un nemico storico di COSA NOSTRA che aveva dimostrato di poter danneggiare l’organizzazione mafiosa, non soltanto da magistrato inquirente, ma anche ricoprendo un incarico ministeriale;
* in secondo luogo, lanciare un “segnale” al Ministro MARTELLI, uno dei politici che aveva “voltato le spalle” all’organizzazione mafiosa; 
* in terzo luogo, bloccare la candidatura alla Presidenza della Repubblica di ANDREOTTI, candidatura rimasta forte nonostante l’ostacolo frappostole con l’omicidio LIMA.

Quanto, poi, alla natura secessionista del piano destabilizzante, BRUSCA ne ha dato una, seppur parziale, conferma quando ha riferito di una confidenza fattagli da Totò RIINA, il quale gli disse:

“Mi vogliono portare questo BOSSI per fare la LEGA DEL SUD o la LEGA DELLA SICILIA”, intendendo con ciò dire che era stato chiesto il suo appoggio per un’iniziativa di questo genere, ma lui aveva rifiutato questo contatto, dicendo “ma come si può avere a che fare con uno di questi”, riferendosi alle stravaganze del BOSSI.

E nell’interrogatorio del 6 luglio 1999 BRUSCA ha in proposito precisato:

“Confermo le dichiarazioni già rese circa lo scarso entusiasmo manifestato da Salvatore RIINA verso un possibile “aggancio” con la LEGA NORD che gli era stato prospettato da qualcuno che egli non mi precisò. Ciò accadde nel 1992 fra le stragi di Capaci e di via D’Amelio. Voglio precisare, però, che io l’ho appresi soltanto nel 1992, ma il modo in cui me lo disse RIINA presupponeva che Salvatore RIINA aveva a lungo valutato tale prospettiva, sottoposta, quindi, a lui già da tempo”.

[…]

 

5. Le dichiarazioni di Salvatore CANCEMI

Anche dalle dichiarazioni di CANCEMI sono emersi alcuni significativi elementi di conferma, con particolare riferimento all’influenza di input esterni sulla strategia stragista di COSA NOSTRA.

Fin dall’interrogatorio reso in data 1 novembre 1993 al P.M. di Caltanissetta, egli ha infatti riferito di avere appreso da Raffaele GANCI che la decisione di uccidere il dott. Falcone fu assunta dopo che RIINA aveva avuto un incontro con “persone molto importanti”, estranee a COSA NOSTRA:

“GANCI mi disse queste parole, più o meno testuali per quanto io possa ricordare: “u zu’ Toto’ (alludendo a RIINA Totò) ha avuto un incontro con persone molto importanti, e hanno deciso che devono mettere una bomba a Falcone. Queste persone importanti hanno promesso allo zu’ Toto’ che devono rifare il processo nel quale lui è stato condannato all’ergastolo”. Non aggiunse altro né io, come mia abitudine, gli feci domande.”

Più recentemente interrogato sugli intendimenti perseguiti da RIINA con le stragi del 1992, CANCEMI ha dichiarato (cfr. l’interrogatorio alle Procure di Caltanissetta e Firenze del 23 aprile 1998):

“Vengono poste a questo punto domande per dar modo a CANCEMI di chiarire quali fossero gli intendimenti perseguiti da RIINA attraverso le azioni di strage del 1992. CANCEMI spiega che RIINA, attraverso queste azioni, voleva “sfiduciare” coloro che all’epoca erano al potere: RIINA adoprava l’espressione “quelli che sono in sella”.

Dunque, anche CANCEMI conferma che il primario scopo di RIINA non era tanto quello di vendicarsi di suoi “nemici storici” (come Falcone e Borsellino) o di “amici” che non avevano rispettato i patti (come Salvo LIMA e Ignazio SALVO, e quindi – indirettamente - ANDREOTTI), bensì quello di mettere in campo un’azione politico-criminale indirizzata a mettere in seria difficoltà, “sfiduciare” quelli che “erano al potere”.


6. Le dichiarazioni di Angelo SIINO

Anche dalle dichiarazioni di Angelo SIINO sono emerse numerose conferme del quadro probatorio finora delineato. Il SIINO, massone e vicino a uomini di vertice di COSA NOSTRA (in particolare, a Stefano BONTADE prima, e a Giovanni BRUSCA poi), ha riferito ampiamente degli stretti rapporti risalenti nel tempo fra COSA NOSTRA e la MASSONERIA.
In relazione alla strategia messa in atto con le stragi del ’92 e del ’93, il SIINO ha, in primo luogo, confermato l’intenzione di COSA NOSTRA di colpire alcuni politici, ritenuti “traditori” dall’organizzazione mafiosa (in particolare Salvo LIMA, quale tramite del senatore Giulio ANDREOTTI, e Claudio MARTELLIartelli): “C’era una precisa volontà, da quello che ho saputo da tutti, di chiudere con il passato, cioè ad un certo punto a fare scopa nuova...” (...).
In secondo luogo, con specifico riferimento alla strategia stragista del 1993, ha dichiarato di avere appreso da Antonino GIOE' (uomo d’onore della famiglia di Altofonte, poi suicidatosi in carcere) che fra le finalità della strategia destabilizzante delle “bombe” vi era anche quella di indirizzare la situazione siciliana verso una prospettiva indipendentista.

 

7. Le dichiarazioni di Giuseppe MARCHESE

Anche Giuseppe MARCHESE, il primo dello schieramento “corleonese” che nel pieno della strategia stragista iniziò a collaborare con la giustizia, ha fornito delle conferme alle dichiarazioni di Leonardo Messina, con particolare riferimento ai contatti stabiliti prima dell’attuazione di quella strategia ed al ruolo che vi rivestì Giuseppe MADONIA. Il MARCHESE ha infatti riferito di avere appreso nell’agosto 1992 da BENENATI Simone che il MADONIA Giuseppe, parlando dell'omicidio LIMA e, in generale, della commissione di delitti particolarmente eclatanti, gli aveva spiegato che “loro” (il MADONIA ed il RIINA) non nutrivano eccessive preoccupazioni sulle conseguenti reazioni dello Stato, poiché in questi casi curavano prima di assicurarsi una “base forte” a livello di politici, intendendo così fare riferimento ad appoggi di quella natura che potessero “metterli al riparo” dalle possibili conseguenze.

 

8. Le dichiarazioni di Vincenzo SINACORI

In sintonia con le dichiarazioni dei collaboranti palermitani sono le rivelazioni di uno dei collaboratori di maggiore spessore del trapanese, SINACORI Vincenzo, già reggente del mandamento di Mazara del Vallo, uomo di fiducia di AGATE Mariano (punto di riferimento “storico” dello schieramento corleonese nella provincia di Trapani) e dello stesso Totò RIINA, e proprio perciò uno dei protagonisti della stagione stragista del ‘92-’93.
In relazione allo specifico oggetto del presente procedimento, il SINACORI ha rivelato che nel 1993 BAGARELLA aveva manifestato interesse ad ottenere, tramite COSA NOSTRA americana, appoggi ad un progetto separatista della Sicilia, con conseguente annessione agli U.S.A. Si riporta quanto da lui dichiarato in proposito il 17 gennaio 1997:
Nel 1993, tra il gennaio ed il 1° aprile, venne a trovarmi Matteo MESSINA DENARO, il quale - a nome di BAGARELLA - mi chiese di rivolgermi a NAIMO Rosario, allora latitante di Mazara del Vallo e uomo d’onore della famiglia di S. Lorenzo, nonché personaggio di COSA NOSTRA americana, affinché sondassi la possibilità di un appoggio “americano” ad un progetto separatista della Sicilia, con conseguente annessione agli U.S.A. Così io feci, e NAIMO però mi disse che il progetto era assolutamente “fuori tempo” perché, dopo la fine della guerra fredda, gli americani non avevano più interesse per la Sicilia. L’esito negativo del colloquio fu da me riferito al MESSINA DENARO Matteo e non ne ho saputo più nulla.
Con riferimento agli obiettivi perseguiti con le stragi del ’92 e del ‘93, il SINACORI, nell’interrogatorio del 14 febbraio 1997, ha dichiarato:
A D.R.: L’individuazione del patrimonio artistico come obiettivo della nostra strategia era motivata dal fatto che in tal modo si veniva a colpire una delle principali risorse dello Stato italiano e pertanto Stato sarebbe venuto a patti con “COSA NOSTRA”. D’altra parte tale strategia di attacco si rendeva necessaria per contrastare l’azione dello Stato che con il 41 bis, i pentiti e gli arresti, stava “massacrando cosa nostra”.
[…]
A D.R: Le strategie degli attentati del 1992 e segnatamente quelli da compiersi a Roma è diversa dalla strategia degli attentati del 1993.
Devo precisare a questo proposito che dopo la sentenza del maxiprocesso RIINA impazzisce: praticamente lui dà il via libera perchè ciascuno possa “togliersi i sassolini dalle scarpe”.
I primi veri obiettivi sono costituiti da Falcone e Martelli; mentre i giornalisti sono degli obiettivi secondari; a livello locale poi ciascuna famiglia poteva “togliersi i sassolini dalle scarpe”, noi per esempio a Mazara dovevamo occuparci di Germana’. A Palermo non so se anche LIMA rientrava in questa strategia ma penso di sì; mentre sono certo che lo fosse Ignazio SALVO.
[…]
A D.R.: La strategia degli attentati del 1993 era finalizzata a far scendere a patti lo Stato, ma non so dire se fossero state intavolate trattative di alcun genere. So soltanto che Matteo si rendeva perfettamente conto che non vi era futuro e che erano stati trascinati in una sorta di vicolo cieco da RIINA.
Inoltre SINACORI, sempre nell’interrogatorio del 14 febbraio 1997, ha riferito di una nuova organizzazione interna di COSA NOSTRA soprattutto di tipo operativo, la c.d. “SUPERCOSA”:
Dette riunioni si tennero a Palermo verso la fine del 1991. In uno di questi incontri si parlò della “SUPERCOSA”. Ricordo infatti che in quel periodo si parlava della SUPERCOSA e RIINA, in contrapposizione alla nuova istituzione, disse che era necessario che anche “COSA NOSTRA” si riorganizzasse in una struttura che prevedeva la costituzione di gruppi molto ristretti i cui componenti non avevano alcun obbligo di informare delle loro azioni i rispettivi rappresentanti e capi mandamento: in sintesi, come preciso ora in sede di verbalizzazione riassuntiva, la “SUPERCOSA” dipendeva esclusivamente da Totò RIINA. In effetti per quello che mi consta furono costituiti questi gruppi ristretti: Matteo “si portò” GERACI Francesco, mentre i fratelli GRAVIANO, Lorenzo TINNIRELLO e Fifetto CANNELLA. Questi gruppi erano talmente riservati che credo che gli stessi GERACI, CANNELLA e TINNIRELLO, non sapessero della loro stessa appartenenza alla “SUPERCOSA”.
Totò RIINA, quindi, proprio alla fine del 1991, nel periodo cioè in cui maturò il progetto di “ristrutturazione violenta” dei rapporti con il mondo della politica, decise di avviare anche una “riorganizzazione” di COSA NOSTRA in senso più spiccatamente verticistico e con l’adozione di nuove modalità operative ed accorgimenti per “blindare” più rigorosamente la circolazione delle notizie e delle informazioni all’interno dell’associazione mafiosa, specialmente su questioni di particolare delicatezza. Il che può fornire un’ulteriore spiegazione dei motivi per i quali del piano eversivo, paradossalmente, si sia saputo meno nelle famiglie mafiose palermitane che in quelle di altre zone della Sicilia e nelle altre organizzazioni ed ambienti coinvolti nel progetto.

 

9. Valenza probatoria e riscontri

Benché i collaboranti palermitani abbiano riferito soltanto frammenti del c.d. “piano eversivo”, dal complesso delle loro dichiarazioni sono emerse - come si vede - varie conferme del quadro probatorio delineato in premessa.
Fra questi, Tullio CANNELLA è stato il collaborante palermitano che ha fornito informazioni più complete, soprattutto in virtù dei suoi stretti rapporti con Leoluca BAGARELLA, creatore del movimento SICILIA LIBERA, e della sua diretta esperienza all’interno della nuova formazione politica. CANNELLA ha infatti inquadrato la vicenda di SICILIA LIBERA all’interno di una ben precisa strategia che mirava alla secessione della Sicilia, rivelando altresì di avere appreso in carcere da Vito CIANCIMINO che analogo progetto era già stato coltivato dall’ex Sindaco di Palermo, in sintonia con Bernardo PROVENZANO con un movimento denominato LEGA MERIDIONALE.
Ebbene, come si esporrà in seguito, dalle indagini espletate è emerso che la LEGA MERIDIONALE è stato effettivamente il movimento meridionalista più attivo proprio nel 1990-91 (e cioè nel periodo in cui nasceva il piano eversivo-secessionista), protagonista di un’intensa attività politica che lo portò ad entrare in contatto anche con Vito CIANCIMINO e con Licio GELLI.
CIANCIMINO, interrogato in merito ai suoi rapporti con la formazione politica denominata LEGA MERIDIONALE, ha ammesso di aver partecipato ad una manifestazione di quel movimento e che dopo qualche tempo gli era stato proposto di candidarsi all’interno del movimento per la Camera dei deputati o per il Senato, ma è apparso reticente circa la genesi di quel rapporto, dichiarando di non essere in grado di stabilire nemmeno chi lo avesse invitato a quel convegno. Quanto all’interesse di COSA NOSTRA verso progetti politici di tipo secessionista, si è limitato a riferire che negli ambienti mafiosi e in alcuni ambienti imprenditoriali aveva sempre sentito parlare dell’idea di trasformare la Sicilia in un stato indipendente.
E’ risultata confermata anche la ricostruzione della strategia dei rapporti fra movimenti meridionalisti e LEGA NORD, fornita da CANNELLA sulla base delle notizie apprese alla riunione di Lamezia Terme, essendo emerso anche dalle dichiarazioni di altri protagonisti di quella stagione (in particolare da quelle di Antonio D’ANDREA, uno degli organizzatori della LEGA MERIDIONALE) che era preciso scopo delle nuove formazioni meridionaliste creare artificiosamente la sensazione di una forte contrapposizione con la LEGA NORD, in realtà inesistente.

 

Conferme arrivano non solo dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia provenienti da COSA NOSTRA, ma anche da quelli della 'NDRANGHETA. Ed è un nuovo capitolo dell'indagine della DIA, raccolto negli Atti della DDA di Palermo.

 

I collaboranti calabresi

Di estremo rilievo sono le dichiarazioni dei due collaboranti calabresi Filippo BARRECA e Pasquale NUCERA, non solo per il loro spessore criminale all’interno della ‘NDRANGHETA, ma soprattutto perché hanno pienamente confermato le altre risultanze sul piano eversivo elaborato nel ‘90-’91 e sul ruolo che la criminalità calabrese vi rivestì.
 

1. Le dichiarazioni di Filippo BARRECA
Filippo BARRECA, collaboratore la cui attendibilità è stata consacrata in numerose sentenze per vicende criminali calabresi, fin dall’interrogatorio reso alla D.D.A. Di Reggio Calabria in data 5 maggio 1993, ha indicato nell’avv. Paolo ROMEO una figura centrale del panorama criminale calabrese, “l’anello di congiunzione tra la struttura mafiosa e la politica” per la Calabria, nonché l’elemento di collegamento fra COSA NOSTRA siciliana e la ‘NDRANGHETA reggina.
E’ personalmente dall’avv. ROMEO, indicato altresì dal BARRECA come massone, appartenente alla struttura GLADIO e collegato con i servizi segreti, che il collaborante ha riferito di avere appreso che nel 1990-91 egli “era interessato ad un progetto politico che puntava alla separazione delle regioni meridionali dal resto del Paese”.
Ed il BARRECA, sul punto, ha aggiunto: “tale progetto era già di mia conoscenza e mi fu confermato da ROSMINI Diego in carcere nel periodo in cui eravamo insieme nel carcere di Palmi. Anche ROSMINI riferiva tale progetto all’avv. ROMEO”. Il BARRECA ha inoltre affermato che la regia di tale disegno era da ricercarsi a Milano dove era avvenuto un incontro tra i clan calabresi facenti capo ai PAPALIA ed esponenti di COSA NOSTRA siciliana.


2. Le dichiarazioni di Pasquale NUCERA
Anche il collaboratore Pasquale NUCERA ha riferito di un “piano politicocriminale” elaborato dalla criminalità organizzata nel 1991. In particolare, ha dichiarato che il 28 settembre 1991, in occasione della riunione annuale della ‘NDRANGHETA che si tiene presso il santuario di Polsi, cui egli partecipò quale rappresentante della famiglia IAMONTE, avevano partecipato, oltre ai vari capi della ‘ndrangheta, anche alcuni rappresentanti di famiglie napoletane, esponenti mafiosi calabresi provenienti da varie parti del mondo (Canada, Australia, Francia), tale Rocco ZITO, in rappresentanza di “COSA NOSTRA” americana e un personaggio di Milano, definito come “un colletto bianco” legato alla mafia siciliana e calabrese. Quest’ultimo, in particolare, dopo aver affermato che in Italia ci sarebbero stati degli “sconvolgimenti” (non meglio specificati), aveva rappresentato la necessità di una “pacificazione” fra le cosche calabresi, perché i siciliani delle famiglie americane ci tenevano molto per poter meglio realizzare un progetto politico, consistente nella costituzione di un movimento politico di “COSA NOSTRA” definito “partito degli amici”. Nel corso della stessa riunione, secondo il racconto di NUCERA, il boss calabrese Francesco NIRTA avrebbe poi spiegato che si trattava di conquistare il potere politico, abbandonando i vecchi politici collusi che non garantivano più gli interessi mafiosi, e facendo ricorso ad uomini nuovi per formare un partito che fosse espressione diretta della criminalità mafiosa da portare al successo elettorale attraverso una campagna terroristica. Tale “campagna” si sarebbe realizzata in due fasi: nella prima sarebbero stati eliminati alcuni esponenti dello Stato molto importanti perché impedivano alla mafia di incrementare il proprio potere; nella seconda si sarebbe passato a destabilizzare, mediante la strategia del terrore, “il vecchio potere esistente”, allo scopo di raggiungere il fine politico prefissato. I nominativi dei possibili obiettivi degli attentati ad esponenti delle istituzioni non vennero però esplicitati in quell’incontro, trattandosi di questioni che venivano decise in riunioni più ristrette.
Il NUCERA ha spiegato che la riunione annuale al santuario di Polsi corrispondeva alla riunione delle gerarchie tradizionali della ‘NDRANGHETA. Sopra di queste esisteva un vertice gerarchico molto più ristretto nel cui ambito si prendevano le decisioni strategiche che poi, a Polsi, venivano discusse solo per un rispetto della forma ed al fine di mettere al corrente tutti gli affiliati di quanto, in realtà, veniva deciso altrove.
Dalle dichiarazioni di NUCERA è emersa altresì una specifica conferma delle dichiarazioni di Filippo BARRECA, ma anche di alcuni collaboranti palermitani (in particolare di Gioacchino PENNINO): al più alto e ristretto livello della gerarchia della ‘NDRANGHETA appartengono anche elementi della massoneria deviata e – ha aggiunto NUCERA – anche dei “SERVIZI DEVIATI”. Una commistione, che – sempre secondo le dichiarazioni di NUCERA - sarebbe conseguenza di una iniziativa di Licio GELLI che, per controllare i vertici della ‘NDRANGHETA, aveva fatto in modo che ogni componente della “santa”, ovvero la struttura di vertice dell’organizzazione criminale, venisse inserito automaticamente nella MASSONERIA deviata.
In ordine all’identificazione del “colletto bianco”, che aveva esposto il piano politico-criminale alla riunione di Polsi, NUCERA ha precisato che egli parlava in italiano con cadenze meridionali ma con accento anche anglo-americano, aveva interessi in Jugoslavia e si chiamava Giuseppe o Giovanni DI STEFANO.
Successivamente, nell’interrogatorio del 23 agosto 1996 al P.M. di Palermo ha aggiunto ulteriori particolari su tale personaggio che ne ha consentito l’identificazione nell’indagato Giovanni DI STEFANO:

A.D.R. Nei miei precedenti interrogatori ho riferito di una riunione che si svolse tra l’agosto e il settembre 1991 nel Santuario di Polsi nel comune di San Luca. Ho già parlato dell’oggetto di questa riunione nel corso della quale si parlò di un progetto politico da me esposto. Il colletto bianco che aveva una parlata italiana con accenti inglesi o americani si chiama Giovanni DI STEFANO. E’ un italiano, amico di Milosevic, leader militare della Serbia. E’ un personaggio molto importante che gestisce il traffico di scorie radioattive e la fornitura di armi militari a paesi sottoposti ad embargo, principalmente la Libia. DI STEFANO disse che bisognava appoggiare il nuovo “partito degli uomini” che doveva sostituire la D.C. in quanto questo ultimo partito non garantiva gli appoggi e le protezioni del passato. Alla predetta riunione erano presenti tutti i vari esponenti dei locali della “’NDRANGHETA”. Tra gli altri erano presenti Pasquale e Giovanni TEGANO, Santo ARANITI, uno dei MAZZAFERRO di Taurianova e uno dei MAZZAFERRO di Gioiosa Ionica, che abitava vicino il cimitero, Marcello PESCE, uno dei VERSACE di Polistena, uno dei VERSACE di Africo, parente di un certo Giulio VERSACE, Antonino MOLE', il cui cugino fa lo spazzino, due dei PIROMALLI, Antonino MAMMOLITI ed altri.
Era presente, seppure defilato, MATACENA junior “il pelato”, appartato con Antonino MAMMOLITI di Castellace.

Le dichiarazioni di NUCERA appaiono certamente di grande portata, visto che dalla stessa emergono numerosi elementi che confermano il quadro probatorio finora illustrato. Ed in particolare:

1) L’esistenza di un comune progetto politico-criminale fra COSA NOSTRA, altre organizzazioni di tipo mafioso (in particolare la ‘NDRANGHETA) e ambienti della MASSONERIA deviata;

2) La collocazione temporale della nascita di tale progetto: il 1991;

3) Il contenuto criminale di tale progetto: una strategia del terrore attraverso l’eliminazione di alti esponenti delle istituzioni ed altri attentati con finalità destabilizzanti;

4) L’obiettivo politico di tale strategia del terrore: eliminare i vecchi referenti politici, dimostratisi “inaffidabili” per le organizzazioni mafiose, e propiziare le condizioni per la nascita di un nuovo “soggetto politico” che fosse diretta emanazione degli interessi mafiosi;

5) L’esistenza di interessi non solo nazionali, ma anche internazionali per la realizzazione di tale progetto.


3. Valenza probatoria e riscontri

La rilevanza delle dichiarazioni di BARRECA e NUCERA nel presente procedimento è evidente, avendo confermato Leonardo MESSINA e tutti gli altri collaboranti che hanno fatto rivelazioni sul piano eversivo-criminale in oggetto. In proposito, va segnalato che nelle dichiarazioni di BARRECA si evidenzia specificamente l’obiettivo secessionista perseguito e in quelle di NUCERA vi è un più generico riferimento ad un “nuovo soggetto politico” che avrebbe dovuto prendere il posto dei vecchi referenti per la tutela degli interessi illeciti non soltanto di COSA NOSTRA, ma di quello che si è definito in premessa come il “sistema criminale”.

In ordine all’attendibilità di tali dichiarazioni, va evidenziato – in primo luogo – il riscontro costituito dalla convergenza reciproca e con quelle degli altri collaboranti finora presi in considerazione: il medesimo periodo storico di riferimento (fra il 1990 ed il 1991), il piano stragista-destabilizzante, il duplice obiettivo politico criminale di eliminazione dei vecchi referenti politici per sostituirli con un nuovo soggetto politico, il ruolo dell’alleanza fra COSA NOSTRA e i CLAN CALABRESI [Ne aveva riferito Gioacchino Pennino, mentre Tullio Cannella aveva fatto riferimento ad una riunione svoltasi in Calabria, a Lamezia Terme, per coordinare le iniziative politico-secessioniste siciliane e calabresi, riunione alla quale avevano partecipato vari soggetti legati alla criminalità mafiosa].
Quanto all’attendibilità intrinseca, va innanzitutto considerato l’indiscutibile spessore mafioso dei soggetti indicati dai collaboranti come loro fonti di conoscenza.
Nel caso, poi, di NUCERA va considerata l’elevata attendibilità intrinseca, derivante dal fatto che egli non ha riferito esclusivamente cose apprese da altri, avendo personalmente partecipato alla riunione di Polsi del 1991.
Numerosi sono, poi, i riscontri obiettivi alle dichiarazioni di BARRECA e NUCERA, nelle parti in cui è stato possibile svolgere una concreta attività di verifica.
Appaiono, in particolare, significative le acquisizioni relative agli indagati Paolo ROMERO, Giovanni DI STEFANO e Licio GELLI.
Dagli accertamenti svolti dalla D.I.A. è emerso che Paolo ROMEO è stato esponente dell'estrema destra sin dagli anni '70 (allorché militava in AVANGUARDIA NAZIONALE), anello di congiunzione tra la mafia reggina e la politica, massone, ritenuto anche legato a settori dei Servizi Segreti. Nel 1980 venne arrestato su mandato di cattura del G.I. di Catanzaro in quanto imputato di favoreggiamento in favore di Franco FREDA. ROMEO era accusato di averlo aiutato nel 1979 quando FREDA, imputato della strage di Piazza Fontana, fuggì dal carcere di Catanzaro. ROMEO, infatti, gli procurò diversi nascondigli, fra i quali la casa dello stesso collaboratore BARRECA Filippo, ove il FREDA venne accompagnato dal ROMEO e rimase per circa quattro mesi [Il procedimento confluì poi in una più ampia istruttoria, definita con sentenza della Corte di Assise di Roma del 22/4/1980, che dichiarò il reato ascritto al Romeo estinto per prescrizione].
Da altre risultanze, comprese le dichiarazioni del collaboratore di giustizia calabrese Giacomo LAURO, è emerso:
· che il ROMEO, nell'ambito della sanguinosa guerra di mafia tra i DE STEFANO-TEGANO-LIBRI e gli IMERTI-CONDELLO-SERRAINO, restò saldamente schierato con i DE STEFANO, occupando all'interno della cosca ruoli sempre di maggior rilievo, sino a diventarne il numero uno, dopo l'arresto del suo leader, l’avv. Giorgio DE STEFANO;
· che il suo ruolo era di offrire alle cosche calabresi, dalle quali riceveva forti appoggi elettorali, protezione politica e giudiziaria, favorendo anche mafiosi latitanti, grazie alle sue “entrature”;
· che egli entrò in contatto con i clan mafiosi catanesi allorquando si trasferì da Reggio Calabria a Catania, ove allacciò rapporti con i FERRERA e SANTAPAOLA;
· che la sua opera di intermediazione fu decisiva per la pacificazione tra gli schieramenti contrapposti dei clan calabresi;
· che egli, proveniente dalle file dell’eversione nera (da studente militò in AVANGUARDIA NAZIONALE, prendendo parte attiva all'insurrezione di Reggio Calabria), nel 1970 si fece promotore dell'incontro tra il golpista Junio Valerio BORGHESE ed il gruppo mafioso dei DE STEFANO, facendo in tale contesto da tramite per le richieste di appoggio ai progetti eversivi, avanzate dalla destra extraparlamentare e proprio da Junio Valerio BORGHESE alle organizzazioni mafiose [Secondo il collaboratore Lauro, “Più volte la ndrangheta fu richiesta di aiutare disegni eversivi portati avanti da ambienti della destra extraparlamentare tra cui Junio Valerio Borghese; il tramite di queste proposte era sempre l'avv. Paolo Romeo sostenuto da Carmelo Dominici, da Natale Iannò e Domenico Martino, che appartenevano al clan opposto a quello destefaniano, e cioè a quello dei tripodiani.......”].

Specifico riscontro alle dichiarazioni di BARRECA circa il ruolo di ROMEO nel piano eversivo-secessionista deriva anche dall’accertamento dei suoi stretti rapporti con l’avv. Giuseppe SCHIRINZI (anch’egli in passato militante di AVANGUARDIA NAZIONALE), Presidente della LEGA SUD ITALIA costituita nel 1990 a Reggio Calabria.
Secondo le concordi dichiarazioni di BARRECA e LAURO, l’avv. ROMEO farebbe anche parte della MASSONERIA. In particolare, BARRECA, il quale nell’interrogatorio del 5 maggio 1993 al P.M. di Reggio Calabria aveva dichiarato di avere appreso da varie fonti che l’avv. ROMEO era MASSONE ed appartenente alla struttura “GLADIO”, nonché legato ai “SERVIZI SERGRETI”, nell’interrogatorio reso in data 8 novembre 1994 al P.M. di Reggio Calabria dichiarava:

"Ho partecipato ad alcuni degli incontri avvenuti a casa mia tra FREDA, Paolo ROMEO e Giorgio DE STEFANO. Tali discorsi riguardavano la costituzione di una loggia super segreta, nella quale dovevano confluire personaggi di 'ndrangheta e della destra eversiva e precisamente lo stesso FREDA, l'avv. Paolo ROMEO, l'avv. Giorgio DE STEFANO, Paolo DE STEFANO, Peppe PIROMALLI, Antonio NIRTA, Fefè ZERBI. Altra loggia dalle stesse caratteristiche era stata costituita nello stesso periodo a Catania.”

Anche sulla base di tutte tali risultanze il ROMEO, in data 12 ottobre 2000, è stato condannato dalla Corte d’Assise di Reggio Calabria alla pena di cinque anni di reclusione per il reato di cui all’art. 416 bis c.p.
Le dichiarazioni di NUCERA sull’integrazione fra MASSONERIA e ‘NDRANGHETA convergono con quelle di Leonardo MESSINA, il quale ha rivelato che tutti i vertici di COSA NOSTRA sono inseriti nella MASSONERIA deviata a far data dalla fine degli anni ‘70. Ed anche il collaboratore Maurizio AVOLA ha riferito di avere appreso da Marcello D’AGATA, consigliere della famiglia di Catania, che i vertici di COSA NOSTRA sono inseriti nelle logge segrete della MASSONERIA e che, in particolare, Benedetto SANTAPAOLA in virtù del suo inserimento nella massoneria segreta era stato presentato a personaggi autorevoli del mondo accademico e delle istituzioni di Catania [Vanno tenute in considerazione anche le dichiarazioni di Gioacchino Pennino sulla storia dei rapporti fra Cosa Nostra, la ‘ndrangheta e la massoneria. È noto, del resto, che l’inserimento di alcuni esponenti di Cosa Nostra nella massoneria è provata anche documentalmente].

Con particolare riferimento, poi, ai rapporti di Licio GELLI - indagato nel presente procedimento - con la ‘ndrangheta vanno segnalate le dichiarazioni di Bruno VILLONE che saranno riportate oltre (...).
Significativi, infine, sono i riscontri acquisiti dalla D.I.A. in relazione alle dichiarazioni di NUCERA sull’indagato Giovanni DI STEFANO. Come risulta, infatti, dalla nota della D.I.A. del 30/5/2000, il DI STEFANO è effettivamente risultato legato a finanzieri serbi e ad esponenti politici vicini all’ex Presidente serbo Milosevic, nonché amico del criminale di guerra Zeljiko Razjatovic, meglio conosciuto come Comandante ARKAN (ucciso a Belgrado in un misterioso agguato il 15 gennaio 2000 e già destinatario di numerosi provvedimenti restrittivi di autorità giudiziarie di vari paesi europei: Olanda e Svezia per rapina a mano armata e Croazia per genocidio).
Dalla medesima nota della D.I.A. risulta inoltre che il DI STEFANO ha anche numerosi precedenti. Arrestato, da ultimo, il 24 novembre 1999 in territorio italiano in esecuzione di un mandato di cattura emesso in data 8 luglio 1994 dalla magistratura britannica per associazione criminale a scopo di frode e commercio fraudolento, è stato arrestato anche in Serbia (ma rilasciato dopo pochi giorni) con l’accusa di traffico illegale e falsificazione di valuta. Egli risulta essere rientrato in Italia nel 1995, allorquando si stabilì a Termoli, ove partecipò, con scarso successo, alle elezioni politiche del 1996 costituendo la formazione “LEGA SUD”. In tale contesto egli rilasciò una dichiarazione dicendosi “pronto a difendere l’unità nazionale contro la LEGA NORD di BOSSI con oltre 11.000 uomini messi a disposizione dal Comandante ARKAN”. Da una nota della Questura di Campobasso dell’8 maggio 1996 risulta, altresì che il DI STEFANO avrebbe manifestato l’intenzione di candidarsi nella città di Palermo ed avrebbe reso noto che il Comandante ARKAN aveva deciso di sovvenzionare l'iniziativa.

Parziale conferma alle dichiarazioni di NUCERA è desumibile anche dalle dichiarazioni di Rade CUKIC, già Ufficiale dei Servizi di Sicurezza della ex-Jugoslavia e divenuto collaboratore di giustizia a seguito del suo coinvolgimento in un’indagine per traffico d’armi e stupefacenti della Procura di Napoli. Il CUKIC, sentito da questo Ufficio in data 19 maggio 1999, dichiarava infatti di avere conosciuto il DI STEFANO, che ha indicato come “stretto collaboratore” di ARKAN, e di essere a conoscenza dei rapporti illeciti del DI STEFANO e di ARKAN con la criminalità organizzata internazionale e italiana, specialmente nel settore dei traffici di armi e di droga. In particolare, CUKIC dichiarava di avere appreso, intorno al 1994, da un uomo di fiducia di ARKAN che questi aveva fatto avere alla mafia siciliana in quel periodo un cospicuo quantitativo di armi pesanti (in particolare, lancia missili terra-aria portatili, che dovevano servire per abbattere elicotteri, kalashnikov ed altro). Ed aggiungeva ancora di aver saputo che ARKAN aveva finanziato un movimento politico italiano denominato “LEGA SUD” con somme ingenti di denaro (un milione di dollari all’incirca).
 

Dichiarazioni convergenti che confermano quanto già visto, dichiarato dai collaboratori di giustizia di COSA NOSTRA e della 'NDRANGHETA, riscontrato dalle indagini della DIA, arriva anche dai collaboratori di giustizia pugliesi.


I collaboranti pugliesi


1. Le dichiarazioni di Gianfranco MODEO

Gianfranco MODEO, già esponente di spicco della criminalità organizzata pugliese, nell’interrogatorio al P.M. di Palermo del 13 novembre 1997, ha dichiarato che, ben prima della stagione stragista del ’92-‘93, il fratello Claudio (anch’esso elemento di spicco della locale criminalità organizzata) era stato avvicinato dal noto faccendiere Aldo ANGHESSA, il quale aveva cercato di indurlo ad impegnare anche la sua organizzazione nella strategia stragista già programmata, dicendogli: “o accelerate i tempi o ne sarete coinvolti tutti”. Secondo MODEO, analoghi “messaggi” erano pervenuti ai capi di COSA NOSTRA che avevano aderito a tali sollecitazioni.
Risentito più dettagliatamente il 18 settembre 1998, dichiarava che già nel 1984 i “catanesi” avrebbero voluto attuare una strategia di attentati per reagire all’irrigidimento carcerario, ma che il “veto” dei palermitani ne impedì l’esecuzione.
Analoga strategia venne proposta al fratello Claudio nel 1991 da Aldo ANGHESSA, nella quarta sezione del carcere di Bari. ANGHESSA disse a Claudio MODEO “che la situazione si stava mettendo male; che bisognava reagire; che stava crollando tutto il vecchio sistema anche politico che aveva agevolato la criminalità organizzata; che per salvare questa situazione occorreva mettere in atto una strategia di attentati indiscriminata; che i palermitani avevano già accettato questa proposta che gli era stata fatta da Licio GELLI il quale era appositamente andato a Palermo”.
Il MODEO ha dichiarato però di non avere aderito alla proposta, tanto che fece sapere al fratello che bisognava lasciare perdere l’ANGHESSA. Egli ha comunque aggiunto che successivamente ebbe conferma da Nino MADONIA (con lui detenuto nel carcere di Cuneo) della proposta di ANGHESSA e di avere poi saputo che Aldo ANGHESSA aveva cercato di contattare altri esponenti della criminalità organizzata pugliese e che analoga richiesta era stata fatta anche ai “calabresi”.

 

2. Le dichiarazioni di Marino PULITO

Risalgono al medesimo periodo (in particolare al 1991) l’intensificazione di rapporti di Licio GELLI con personaggi aderenti o vicini alla SACRA CORONA UNITA, di cui ha riferito il collaboratore pugliese Marino PULITO. Egli ha infatti dichiarato che GELLI aveva interesse ad irrobustire tali rapporti (rendendosi anche disponibile per l’aggiustamento di processi in cassazione) al fine di ottenere appoggi per l’esperienza politica dei movimenti leghisti meridionali (in particolare per la LEGA MERIDIONALE di Egidio LANARI, sulla quale si tornerà oltre...).
Dalle dichiarazioni di Marino PULITO e da altre risultanze è invero emerso che, sempre nello stesso periodo, Licio GELLI si incontrò con esponenti della SACRA CORONA UNITA e della ‘NDRANGHETA al fine di ottenere il sostegno elettorale per i MOVIMENTI LEGHISTI meridionali da lui fondati. In particolare, nell’interrogatorio del 15 febbraio 1993 ha, fra l’altro, dichiarato:

"Confermo che vi é stato un rapporto tra me Licio GELLI e SERRAINO per un interessamento del GELLI per la revisione del processo a carico dei fratelli MODEO Riccardo e Gianfranco....(SERRAINO, ndr) mi disse che faceva parte della LEGA MERIDIONALE e .... mi chiese se potevo procurargli dei voti nella provincia di Taranto. Ci siamo incontrati (con GELLI, ndr) a Roma in un albergo di Via Veneto....d'altra parte io mantenni la promessa di occuparmi di recuperare voti al GELLI in Calabria."

Dalla deposizione del collaboratore ANNACONDIA Salvatore si evince che il PULITO, nell’estate del 1992, durante un periodo di codetenzione nell’istituto penitenziario di Ascoli Piceno, gli riferì di essersi interessato della revisione della condanna alla pena di 22 anni di reclusione inflitta ai fratelli Riccardo e Gianfranco MODEO per l'omicidio Marotta, di avere incontrato in un albergo a Roma il GELLI, e di avergli chiesto di intervenire per assicurare un esito favorevole del procedimento di revisione. E a questo punto GELLI gli aveva detto “che non vi erano problemi”, ma che in cambio occorreva sostenere politicamente la LEGA MERIDIONALE.
Tale circostanza è stata confermata anche dal collaboratore messinese COSTA Gaetano, codetenuto con Riccardo MODEO fra il 1991 ed il 1992.
Ulteriori specifici riscontri alle dichiarazioni di PULITO sono emersi dalle intercettazioni ambientali, eseguite nel gennaio 1991 all’interno del deposito di carni di PULITO, prima che questi venisse arrestato ed iniziasse a collaborare. Nel corso delle conversazioni intercettate si parlò esplicitamente proprio di tali contatti con Licio GELLI e dei suoi rapporti con l’avv. LANARI, indicato come “l’avvocato della P2” che stava “difendendo” CIANCIMINO. E gli incontri di GELLI con i personaggi e nei periodi indicati da Marino PULITO sono risultati confermati anche dalle agende di Licio GELLI e dai controlli sulle visite a Villa Wanda.
In ordine, infine, ai rapporti di Licio GELLI con la LEGA MERIDIONALE si rinvia a quanto evidenziato..., ove si evidenzia anche il ruolo che SERRAINO ebbe effettivamente all’interno del movimento fondato dall’avv. Egidio LANARI, dal quale poi si distaccò per seguire Licio GELLI [I rapporti fra Gelli e Serraino sono ampiamente riscontrati dalle annotazioni relative al Serraino rinvenute sulle agende sequestrate a Licio Gelli ed acquisite in copia agli atti del presente procedimento].


3. Valenza probatoria e riscontri

Le dichiarazioni di Gianfranco MODEO appaiono di speciale rilevanza, perché costituiscono ulteriore riprova dell’esistenza nel 1991 di un progetto criminale, che aveva come contenuto la realizzazione di attentati indiscriminati, e un obiettivo politico: la sostituzione dei vecchi referenti politici della criminalità organizzata, ritenuti non più affidabili. E’ chiaro che il MODEO non sa attraverso quali fasi intermedie e mediante quali strumenti sarebbe stato possibile realizzare un siffatto obiettivo politico, in quanto evidentemente ANGHESSA si era limitato a fare cenno ad una stagione di attentati senza entrare nei particolari. Ad ogni modo, tali dichiarazioni confermano l’ambiziosità del progetto criminale, che mirava a coinvolgere tutte le più pericolose organizzazione di tipo mafioso operanti in Italia: non solo COSA NOSTRA e la ‘NDRANGHETA, ma anche la pugliese SACRA CORONA UNITA. Ed è inoltre emersa un’ulteriore risultanza in linea con l’ipotesi oggetto del presente procedimento: e cioè che personaggi “esterni” alla criminalità organizzata erano coinvolti nel piano, se non nella qualità di veri e propri “ispiratori” (come, per la verità, sembrerebbe proporsi ANGHESSA per il tipo di prospettazioni fatte a Claudio MODEO), quanto meno come soggetti “interessati” alla sua realizzazione.
Va, in proposito, rilevato che Aldo ANGHESSA è personaggio noto per i suoi trascorsi rapporti con ambienti della MASSONERIA e dei SERVIZI SEGRETI, ma che è risultato essere in contatto anche con elementi pugliesi della criminalità organizzata.
Dall’informativa D.I.A. del 16/11/1998, risulta che ANGHESSA, già in contatto con i SERVIZI SEGRETI ai quali si è spesso proposto anche come informatore, è stato oggetto di indagine in vari procedimenti penali anche per traffico di armi, nonché per i suoi collegamenti con esponenti proprio della criminalità organizzata pugliese.
Positive anche le verifiche sui periodi di codetenzione dei soggetti protagonisti delle vicende riferite da MODEO: in particolare, è risultato che MODEO Claudio, fratello di Gianfranco, è stato effettivamente codetenuto con Aldo ANGHESSA nel carcere di Bari a cavallo fra il 1990 ed il 1991.
Si rinvia, inoltre, alla lettura delle schede redatte dalla D.I.A. sui fratelli MODEO e sugli altri soggetti indicati nelle dichiarazioni di Gianfranco MODEO, per verificare il loro indiscutibile spessore criminale all’interno della SACRA CORONA UNITA.
Quanto alle dichiarazioni di Marino PULITO, esse costituiscono un’ulteriore conferma dei rapporti mantenuti negli anni da Licio GELLI con la criminalità organizzata, in questo caso con quella pugliese. Ciò che connota di speciale rilievo nel presente procedimento dette dichiarazioni è il fatto che esse evidenziano che proprio nel 1991, quando - cioè – si avviava il progetto eversivo secessionista, ed ANGHESSA proponeva alla S.C.U. di aderire al piano criminale di destabilizzazione, GELLI irrobustiva i suoi rapporti con personaggi aderenti o vicini alla SACRA CORONA UNITA (rendendosi anche disponibile per l’aggiustamento proprio dei processi di interesse per i fratelli MODEO, ai quali ANGHESSA contestualmente avanzava la proposta di compartecipazione al piano eversivo) e contemporaneamente ricercava, presso i medesimi ambienti criminali pugliesi, appoggi per i MOVIMENTI LEGHISTI meridionali da lui costituiti in quel periodo.

 

La DDA di Palermo conclude l'analisi delle risultanze delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia e di quelle dell'attività di verifica e riscontro effettuate dalla DIA:

Dal panorama delle dichiarazioni dei collaboranti finora esposte emergono con evidenza i contorni del piano eversivo oggetto del presente procedimento, originariamente delineato nelle dichiarazioni di Leonardo MESSINA. Le rivelazioni dei collaboranti trapanesi, catanesi, calabresi e pugliesi hanno consentito di individuare il coinvolgimento nel “piano” delle altre “mafie” italiane. Tutte dichiarazioni, peraltro, risultate puntualmente riscontrate in ogni parte suscettibile di concreta verifica. E di seguito si evidenzieranno numerose altre risultanze investigative che costituiscono ulteriori e specifiche conferme del quadro probatorio finora illustrato.

Va segnalato comunque che non sono state riportate nella presente richiesta, seppur acquisite agli atti, le dichiarazioni di numerosi altri collaboratori, palermitani e non, che hanno riferito quanto da loro rispettivamente appreso all’interno di COSA NOSTRA in ordine agli obiettivi perseguiti con le stragi del ’92 e del ’93.

Si tratta di dichiarazioni che in prevalenza convergono nell’individuare la causale dei fatti stragisti del ’92 nella reazione di COSA NOSTRA all’esito, infausto per l’organizzazione, del maxiprocesso in cassazione. Nell’ambito di tale ricostruzione, l’omicidio dell’on. Salvo LIMA come quello di Ignazio SALVO sarebbero state vendette di COSA NOSTRA nei confronti dei tradizionali “referenti” che non avevano mantenuto gli impegni assunti, dimostrando di non essere in grado di garantire l’impunità ai capi dell’organizzazione; e le stragi di Capaci e di via D’Amelio sarebbero state la reazione contro due nemici storici di COSA NOSTRA, che avevano legato la propria storia professionale proprio al maxiprocesso.

Con riferimento – invece - alla stagione stragista del ’93, la maggior parte dei collaboranti l’ha attribuita alla reazione di COSA NOSTRA alla stretta repressiva dello Stato dopo le stragi del ’92, culminata nell’applicazione del regime carcerario duro emblematicamente rappresentato dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario. Molte di tali dichiarazioni sono anch’esse acquisite agli atti del presente procedimento (cfr., fra gli altri, gli interrogatori di Gioacchino LA BARBERA, Santino DI MATTEO, Emanuele e Pasquale DE FILIPPO). Se ne omette tuttavia la specifica citazione, trattandosi di dichiarazioni che attengono direttamente ai fatti stragisti di competenza delle Autorità Giudiziarie di Firenze e Caltanissetta.

E’ appena il caso, tuttavia, di rilevare che dette dichiarazioni non appaiono in alcun modo costituire una smentita del quadro probatorio finora illustrato per vari ordini di motivi.

In primo luogo, tali moventi non sembrano per nulla incompatibili col progetto eversivo del ’90-’91, ben potendo trattarsi di moventi specifici ed ulteriori che venivano ad innestarsi in un piano criminale a più ampio respiro. Anzi, è plausibile che l’esito del maxiprocesso, infausto per l’organizzazione nonostante gli impegni assunti dai tradizionali referenti politici, abbia costituito l’ultimo episodio, l’ultima conferma per COSA NOSTRA dell’inaffidabilità, dal suo punto di vista, di quella classe politica e quindi della necessità di “rinnovare” i propri referenti politici, regolando i conti con i vecchi “garanti”. E che, nello stesso contesto, obiettivi come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino nel ’92, e quelli individuati per gli attentati del ’93 siano stati ritenuti, in quel frangente, i più idonei – per una pluralità di motivi anche eterogenei – per la realizzazione del progetto eversivo.

Del resto, l’ipotesi di un movente ulteriore ed occulto delle stragi, convergente con quello “tradizionale” di COSA NOSTRA, venne già avanzata dalla D.I.A. nella citata nota n. 4222/94 del 4 marzo 1994, prendendo le mosse da “talune anomalie rispetto agli schemi comportamentali tradizionali di COSA NOSTRA”. All’ipotesi “che si fossero inserite nell'azione mafiosa patologie estranee”, la D.I.A. infatti perveniva, con speciale riferimento alla strage di via D’Amelio, sulla base di un dato storico incontrovertibile: la strage venne eseguita pochi giorni prima che si concludesse in Parlamento la discussione sulla conversione in legge del D.L. 8/6/1992, poi convertito nella legge 7/8/1992, ed il dibattito parlamentare aveva evidenziato resistenze da parte di varie forze politiche alla conversione di alcune norme, sicché appariva poco consono alla tradizionale prudenza di COSA NOSTRA avere impresso una accelerazione all’esecuzione della strage, così finendo per agevolare la rapida conversione in legge del decreto con una serie di significativi inasprimenti [Nella citata informativa della D.I.A., in particolare, si evidenziava : “In un momento così delicato, a soli due mesi di distanza dalla strage di Capaci, l'esecuzione di un secondo gravissimo omicidio, per cui non esisteva alcuna apparente motivazione di urgenza, non sembra sia da ricondurre esclusivamente agli interessi immediati di "cosa nostra". L'organizzazione mafiosa, adusa a ponderare con cura le proprie mosse, non poteva non considerare che l'impatto sull'opinione pubblica sarebbe stato fortissimo e che altrettanto forte sarebbe stata la richiesta di adozione di severe misure di contrasto alla criminalità. Difatti con l'omicidio Borsellino cadde ogni perplessità nei confronti del provvedimento governativo che venne addirittura inasprito. L'apparente incongruenza della decisione presa da "cosa nostra" non può quindi trovare giustificazione se non interpretando la sua condotta come espressione della volontà di perseguire fini diversi da quelli logicamente ad essa attribuibili, quali quello di provocare il rinvio di un processo o impedire ad un magistrato di proseguire in una inchiesta capace di arrecare gravi danni all'organizzazione o semplicemente eseguire una vendetta.”].
Né è sostenibile che i capi di COSA NOSTRA non fossero consapevoli dell’effetto controproducente che sarebbe derivato all’organizzazione dall’esecuzione della strage di via d’Amelio, come dimostrano le rivelazioni del collaboratore Pasquale GALASSO circa l’attenzione con la quale i boss mafiosi seguivano l’evolversi della vicenda della conversione in legge del decreto Martelli del giugno 1992 [Pasquale Galasso, nell’interrogatorio reso al P.M. di Roma il 3 febbraio 1994, dichiarava: “ADR - nel luglio del 1992 a seguito dell’applicazione del decreto Martelli e più in particolare dell’art. 41 bis di detto decreto fui trasferito con urgenza a Spoleto, se non ricordo male intorno al 20-25 di quel mese, lì al secondo piano (seconda sezione) ho avuto modo di incontrarmi con diversi capo-clan fra cui D’Alessandro Michele, Gionta e tale “Ceccio” di “Rione Traiano”, i Mariano, ed un po’ tutta la criminalità campana.ADR - c’era anche Catapano Raffaele anche se poi di lì a poco fu trasferito all’Asinara. In quei giorni di trasferimenti, eravamo tutti sconvolti ancora dai provvedimenti che lo Stato aveva preso e prendeva ancora nei nostri confronti, specie durante i passeggi parlavamo in continuazione della necessità di reagire a quella situazione di emergenza che si era creata dal momento che venivamo trattati come carne da macello: ricordo che in quel carcere all’epoca c’erano Calò, Gionta, Brusca Giovanni, che faceva l’invalido. C’era chi affermava che era necessario ammazzare le guardie carcerarie o il direttore del carcere di Spoleto oppure questo o quel magistrato napoletano o investigatore napoletano, che particolarmente si era distinto nell’incriminare diversi di noi.……...ADR - non sentii parlare di attentati nei confronti di musei in modo specifico, ma sentii parlare di progetti di attentati da farsi in tutta Italia, ripeto che le persone che vedevo intorno erano tutte esasperate da quello che stava succedendo. Tramite Gionta, che da sempre era notorio essere referente di Calò della Campania, seppi che Pippo Calò ci invitava a stare tutti calmi per attendere se effettivamente il 7 agosto il decreto Martelli fosse stato ratificato dal Parlamento, ognuno dopo sarebbe stato libero di prendere le iniziative che voleva contro lo Stato. Il Calò voleva in concreto che si pianificassero i dissidi tra i vari clan proprio per far fronte comune nei confronti dello Stato. ADR - questo di cui sto riferendo è accaduto in quei 10 - 15 giorni che seguirono l’applicazione di quel decreto, infatti di lì a poco Pippo Calò fu trasferito all’Asinara, così pure il Catapano ed altri detenuti”].
Va inoltre rilevato che le dichiarazioni relative alle causali dei fatti stragisti del ’92 e del ’93 si riferiscono, in gran parte, a notizie apprese nel periodo immediatamente antecedente e, ancor di più, successivo alla commissione dei singoli delitti. In epoca, dunque, diversa rispetto a quella della costituzione dell’associazione eversiva oggetto del presente procedimento, sicché è verosimile che in tale fase la strategia complessiva perseguita non sia stata comunicata a tutti i membri dell’organizzazione che non vi erano coinvolti fin dall’inizio. 
Né può ritenersi che costituisca un elemento idoneo a smentire l’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboranti, finora esaminate, la semplice circostanza che altri collaboratori, seppur di indiscutibile spessore, abbiano dichiarato di non saper nulla né del “piano”, né di riunioni svoltesi ad Enna.
Come si osserva nella motivazione della sentenza sulla strage di Capaci, emessa dalla Corte d’Assise di Caltanissetta il 26.9.1997, “…la strategia elaborata nel corso della riunione di Enna riferita dal MALVAGNA e dal PULVIRENTI non era finalizzata ad un’immediata operatività, quanto meno per gli attentati più eclatanti, come l’omicidio LIMA e la strage di Capaci, che verosimilmente non erano stati neanche specificamente trattati, perché non sarebbe stata comunque prudente compiere azioni di quel genere in Sicilia nell’imminenza del giudizio della Suprema Corte di Cassazione e, quindi, la deliberazione dei tempi e modi di quei crimini doveva essere rimandata ad un momento successivo, più vicino a quello dell’esecuzione. E, tuttavia, quella riunione aveva una sua particolare utilità per il RIINA, in quanto gli serviva a verificare il consenso di tutti i rappresentanti delle varie province ad una strategia di così ampia portata da non poter essere certo preparata ed attuata in tempi brevi, sicché il RIINA ben poteva dopo tale consenso compiere gli ulteriori necessari passi che dovevano gradatamente portare all’esecuzione dell’omicidio LIMA prima ed alla strage di Capaci poi.
Né deve meravigliare il fatto che l’esistenza della riunione non fosse nota agli affiliati, pur di grado elevato, alle “famiglie” palermitane, poiché la compartimentazione delle conoscenze nell’ambito di quelle strutture, di gran lunga più articolate su diversi livelli gerarchici rispetto alla “famiglia” catanese facente capo al SANTAPAOLA, rendeva certamente meno facile ad un consociato palermitano non direttamente coinvolto nella vicenda di venire a conoscenza di un incontro tra i vertici delle varie province rispetto a quanto non lo fosse per un consociato catanese di livello elevato qual era certamente il PULVIRENTI, dalle cui confidenze il MALVAGNA aveva tratto la sua conoscenza della riunione, in virtù del suo stretto rapporto anche familiare con lo stesso.”.
Tali considerazioni, contenute nella sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta, appaiono ancor più condivisibili alla luce delle rivelazioni di SINACORI sui nuovi moduli organizzativi e operativi di speciale segretezza interna delle informazioni adottati da RIINA nel 1991, di cui si è già detto a proposito dell’istituzione della c.d. “SUPERCOSA”.


Conferme alle risultanze investigative della DIA ed alle dichiarazioni dei collaborati di giustizia arrivano dall'indagine sull'omicidio si Salvo LIMA. Conferme che svelano il progetto di destabilizzazione, voluto da COSA NOSTRA e dalla complessa rete dei SISTEMI CRIMINALI, per sovvertire l'ordine democratico del Paese.

Nel lungo capitolo della richiesta di archiviazione dell'indagine “SISTEMI CRIMINALI” dedicato all'omicidio LIMA si legge:

Come è noto, secondo la ricostruzione dei collaboratori di giustizia, consacrata nelle sentenze di primo e di secondo grado che hanno condannato i responsabili dell’omicidio, l'on. LIMA è stato ucciso perché considerato il simbolo di quella componente politica che, dopo avere attuato per tanti anni un rapporto di pacifica convivenza e di scambio di favori con COSA NOSTRA (che, a sua volta, riversava su di questa i voti controllati dall’organizzazione), non sembrava più interessata a tutelare gli interessi dell'associazione mafiosa, mostrando – anzi - di voler proseguire in una politica contraria.
Ma già nell’ambito delle indagini su quell’omicidio alcune risultanze sembravano confermare l’esistenza di ulteriori interessi all’eliminazione dell’on. LIMA, convergenti con quelli di COSA NOSTRA, immediatamente legati all’esito del maxiprocesso in Cassazione. Invero, al di là delle motivazioni dell’omicidio riferibili ad una lettura del tutto interna all’ottica di COSA NOSTRA, non possono esservi dubbi sugli obiettivi effetti destabilizzanti dell’omicidio di un personaggio della caratura dell’on. LIMA alla vigilia delle consultazioni elettorali nazionali del ’92. Il colpo inferto al sen. ANDREOTTI fu notevole, specie se si considera che era già avviata la “corsa” alla Presidenza della Repubblica rispetto alla quale ANDREOTTI era uno dei candidati più favoriti. E v’è più di una risultanza che depone nel senso della sussistenza di un movente occulto dell’omicidio LIMA, più prettamente politico, che trascende gli interessi di COSA NOSTRA e converge con essi.
A conferma del fatto che l’omicidio LIMA rientrasse in un ben più ampia strategia che “partiva da lontano”, di cui era ben consapevole anche COSA NOSTRA, depongono varie dichiarazioni di collaboratori. Fin da quelle di Gaspare MUTOLO, fra i primi a rendere dichiarazioni in merito (egli iniziò a collaborare nel 1992, subito dopo l’omicidio LIMA e la strage di Capaci), il quale ha riferito che il boss Salvatore MONTALTO, in occasione di un incontro avvenuto nel corridoio antistante le sale-colloquio del carcere ove erano entrambi detenuti, gli disse – commentando con palese soddisfazione l’omicidio LIMA - «accuminciaru finalmente», facendo un eloquente gesto con entrambe le mani atteggiate a cerchio. Un’evidente allusione ad un ben preciso “programma di attentati” del quale l’omicidio Lima costituiva evidentemente soltanto il primo atto.

E Gioacchino LA BARBERA nell’interrogatorio del 3.12.1993 ha riferito:

A tal proposito, riferisco una conversazione che ebbi con GIOE' Antonino la sera in cui finimmo di caricare l'esplosivo sotto l'autostrada e che poi servì per l'attentato al Giudice Falcone (di cui ho ampiamente riferito al P.M. di Caltanissetta). Questa conversazione ebbe luogo circa dieci giorni prima il giorno della strage, e fu solo allora che io seppi che obiettivo dell'attentato era proprio il Giudice Falcone.
Presi allora a parte il GIOE', e parlando solo con lui gli chiesi, in sostanza, che cosa volessero fare i corleonesi; se volevano combattere lo Stato e dove saremmo andati a finire noi.
Il GIOE', prima allargò le braccia, a significare che lui, come me, non aveva come staccarsi da questo destino ormai segnato. Aggiunse poi qualche parola per alludere ad altri avvenimenti ancora terribili (come io ho meglio capito in seguito), e mi disse che per noi le alternative erano solo o la condanna all'ergastolo, o di morire in un conflitto a fuoco, o di mettersi un laccio al collo e suicidarsi; o ancora di essere uccisi da COSA NOSTRA se avessimo manifestato il minimo segno di dissenso.
Ripeto che questo discorso di GIOE' mi convince sempre più che egli sapesse anche qualcosa sui programmi dei capi di COSA NOSTRA, per il periodo successivo alla strage di Capaci.

L’ipotesi da verificare è, quindi, se l’omicidio LIMA sia stato il primo “atto violento” di realizzazione del programma criminoso dell’associazione eversiva costituita nel 1990, l’inizio della guerra del sistema criminale contro il sistema politico-istituzionale vigente. Ed occorre stabilire quali fossero le connessioni fra l’omicidio LIMA ed i successivi fatti criminosi palermitani: le stragi immediatamente successive di Capaci e di Via D’Amelio, e l’omicidio di Ignazio SALVO del settembre di quel 1992.

 

1. Le informazioni fornite da Elio CIOLINI

Vanno, innanzitutto, segnalate le informazioni che sulla strategia eversiva fornì Elio CIOLINI, ambiguo personaggio legato al mondo dei SERVIZI SEGRETI, nonché ad AMBIENTI MASSONICI e dell’EVERSIONE NERA, il quale – dato questo, di indiscutibile ed obbiettiva rilevanza - informò l’autorità giudiziaria dell’esistenza del “piano” prima ancora che esso si manifestasse in modo eclatante con l’omicidio LIMA.
Tratto in arresto alla fine del 1991, il 4 marzo 1992 (e quindi otto giorni prima dell’omicidio LIMA) il CIOLINI indirizzava, infatti, al giudice istruttore presso il Tribunale di Bologna la seguente missiva, avente per esplicito oggetto la “nuova strategia tensione in Italia – periodo: marzo-luglio 1992”.

“Nel periodo marzo-luglio di quest’anno avverranno fatti intesi a destabilizzare l’ordine pubblico come esplosioni dinamitarde intese a colpire quelle persone “comuni” in luoghi pubblici, sequestro ed eventuale “omicidio” di esponente politico PSI, PCI, DC sequestro ed eventuale “omicidio” del futuro Presidente della Repubblica.
Tutto questo è stato deciso a Zagabria - Yu - (settembre 91) nel quadro di un “riordinamento politico” della destra europea e in Italia è inteso ad un nuovo ordine “generale” con i relativi vantaggi economico finanziari (già in corso) dei responsabili di questo nuovo ordine deviato massonico politico culturale, attualmente basato sulla commercializzazione degli stupefacenti.
La “storia” si ripete dopo quasi quindici anni ci sarà un ritorno alle strategie omicide per conseguire i loro intenti falliti.
Ritornano come l’araba fenice”.

Se il CIOLINI non è fornito di doti “paranormali” di preveggenza, significa che egli era venuto in possesso di preziose informazioni sulla strategia di imminente attuazione.
Non può sfuggire la straordinaria precisione dell’individuazione del periodo di attuazione della strategia: marzo – luglio ’92, periodo entro il quale vengono uccisi il sen. Lima (il 12 marzo), il dr. Falcone (23 maggio) e il dr. Borsellino (19 luglio).
A ciò si aggiunga che il riferimento, da parte di CIOLINI, agli obiettivi della strategia individuati in esponenti politici della D.C. e del P.S.I. e nel futuro Presidente della Repubblica trova straordinaria conferma nel fatto che, secondo convergenti acquisizioni, l’on. LIMA, esponente politico della D.C. ed ambasciatore in Sicilia del sen. Giulio ANDREOTTI, all’epoca ritenuto il futuro Presidente della Repubblica, venne ucciso anche per ostacolare la candidatura ANDREOTTI alla Presidenza della Repubblica (cfr., in particolare, le dichiarazioni di Vito CIANCIMINO e Giovanni BRUSCA, riportate più avanti). E numerose sono le acquisizioni che depongono nel senso che Falcone venne ucciso, tra l’altro, anche per le medesime finalità e che le due stragi del ’92 erano anche finalizzate a colpire un esponente politico del P.S.I., e cioè Claudio MARTELLI (si noti che Falcone e Borsellino erano i due candidati dell’allora Ministro di Grazia e Giustizia alla Procura Nazionale Antimafia).
Ma CIOLINI fornì informazioni su eventi di per sé “imprevedibili” non soltanto prima dell’omicidio LIMA ma lo stesso fece anche successivamente, prima della strage di Capaci.
In data 18 marzo 1992, scriveva infatti un’altra lettera al giudice istruttore di Bologna:

Oggetto: RIF Lettera data 4-3-1992
Egregio dottore,
Non a caso la mia informazione sugli eventi di quanto in oggetto, per sfortuna, si è rivelata giusta.
Alla riunione (Sissak) parlavano Inglese, ho fatto un poco di fatica a ricordare, e per questo solo oggi le scrivo.
Ora, “bisogna” attendersi un’operazione terroristica diretta ai vertici PSI, a personaggio di rilievo…”

E’ evidente anche in questo caso lo straordinario rilievo dell’informazione fornita più di due mesi prima della strage di Capaci, se si tiene conto degli stretti rapporti stabilitisi negli ultimi anni fra Falcone e Martelli e delle modalità esecutive di tipo terroristico adottate per la strage di Capaci.
Lo stesso 18 marzo 1992 ufficiali del ROS, Sezione Anticrimine di Bologna, avevano un colloquio in carcere con il Ciolini. Questi esordiva dicendo: “avete visto cosa è successo” riferendosi all’omicidio Lima da lui preannunciato con la lettera del 4 marzo.
Dichiarava poi di avere appreso dell’esistenza del piano eversivo nel corso di una riunione svoltasi a Sissak (un centro della ex Jugoslavia), alla quale - a suo dire - avevano partecipato alcuni esponenti della destra internazionale, tra i quali un americano e un austriaco. Il finanziamento di tale organizzazione sarebbe avvenuto con la vendita di grosse partite di stupefacenti e con la gestione di raffinerie di droga. Precisava inoltre che tale organizzazione possedeva le “schede” di alcuni esponenti politici italiani di rilievo. E manifestava preoccupazione per il fatto che taluni documenti comprovanti la sua presenza in Croazia potessero venire in possesso di Licio GELLI.
Produceva quindi il seguente appunto esplicativo nel quale venivano indicate la matrice e le strategie della predetta organizzazione:

Strategia della tensione marzo-luglio 92
Matrice masso-politico-Mafia = Siderno Group Montreal -Cosa Nostra- Catania-Roma (DC - ANDREOTTI)- ANDREOTTI-via-D’ACQUISTO-LIMA
Sissan-
Accordo futuro governo croato (TUJDEMANN) massone per – protezione laboratori Eroina - transito cocaina - cambio -Ristrutturazione economia croata e riconoscimento Repubblica Croata - Investimento previsto 1000 milioni $... (segue parte non leggibile nella copia del manoscritto a nostra disposizione)
Sissan-
Accordo fra gruppi estremisti per politica di destra in Europa commerciale -Austria -Germania- Francia- Italia- Spagna- Portogallo- Grecia ...commercializzazione eroina-cocaina-via (parola illeggibile) Sicilia- Yugoslavia (prov eroina Turchia)
Commercializzazione - Sicilia Yugo -trasporto sottomarino Prov Urss (mini) pers croato -
Protezione Dc via Mr D’ACQUISTO e LIMA - previsto futuro Presidenza ANDREOTTI
Dc domanda voti alla Cupola per nuove elezioni.
Corrente DC sinistra no d’accordo con voti Cupola.
ANDREOTTI, secondo gli sviluppi della politica di sinistra e destra, poco (segue una parola poco leggibile) reticente.
Si giustifica, LIMA, per pressione a ANDREOTTI.
E’ prevista anche, con l’accordo PSI, Repubblica Presidenziale ANDREOTTI.
Cupole - Pressione a ANDREOTTI, (seguono due parole di difficile lettura, forse : “anche perchè” oppure “affinché”) nuovi sviluppi, indirizzo politico, leghe ecc, mette la situazione della mafia, in Sicilia in difficoltà
Strategia
Creare intimidazione nei confronti di quei soggetti e Istituzioni stato (forze di polizia ecc.) affinché non abbiano la volontà di farlo e distogliere l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia.
………………

Un documento di straordinaria rilevanza, dove CIOLINI forniva una chiave di lettura dell’omicidio Lima, interpretato come una “pressione” su ANDREOTTI per piegarlo verso nuovi indirizzi politici (nell’appunto c’è anche un accenno alle “LEGHE”) e ribadiva, prima che ancora venissero compiute le stragi palermitane di maggio e luglio, che l’arco temporale della nuova “STRATEGIA DELLA TENSIONE” avrebbe abbracciato il periodo marzo-luglio ’92.
Appare, poi , estremamente significativo il fatto che CIOLINI già nel marzo del 1992 indichi che il successivo sviluppo del piano criminoso prevedeva la creazione di “un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia” per “creare intimidazione” nei confronti delle Istituzioni e per “distogliere l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia”. Si consideri infatti che le stragi del 1993, perpetrate nel centronord del paese, determinarono un clima di intimidazione nei confronti delle Istituzioni ed erano idonee a distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia a causa dell’insorgere di un clima di terrore diffuso anche perché gli autori delle stragi erano occulti ed i loro moventi non apparivano decifrabili.

Il rilievo delle informazioni fornite dal CIOLINI appare, poi, ancor più significativo se si tiene conto del fatto che egli attribuisce proprio alla MASSONERIA ed alla DESTRA EVERSIVA, nazionale ed internazionale, un ruolo di primo piano nell’elaborazione del piano eversivo, così come – da una visuale diversa – hanno fatto vari collaboranti provenienti dalle file della CRIMINALITA' ORGANIZZATA [Si noti che Ciolini colloca la riunione, in cui si parlò del piano eversivo, in un centro della ex-Jugoslavia (Sissak) e che proprio nella ex Jugoslavia ha operato per anni l’indagato Giovanni Di Stefano (...)].
Dalle indagini delegate da questo Ufficio ed espletate dalla D.I.A. si sono ricostruiti i movimenti di Elio CIOLINI antecedenti al suo arresto avvenuto a Firenze il 2 dicembre 1991. Egli già in occasione dell’arresto si trovava in compagnia di tale CUBAS PENA Carmen Rosa, cittadina peruviana, la quale, prima di venire in Italia, fino al marzo 1991, era stata al servizio del proprio Paese come agente di polizia. I due si erano conosciuti in Perù, dove CIOLINI ufficialmente gestiva un'agenzia privata di sorveglianza, ed alla fine del marzo 1991 si erano trasferiti in Svizzera, ove avevano alloggiato in una pensione del centro di Zurigo. Inoltre è risultato che il CIOLINI aveva soggiornato a Bruxelles, nel periodo dal 6 all’11 maggio 1991, con spostamenti aerei a Zurigo.
In relazione ai motivi della sua presenza a Bruxelles, nel corso dell’interrogatorio eseguito l’1/10/1992 in esecuzione di una commissione rogatoria internazionale richiesta dalle A.G. del Belgio, il CIOLINI ebbe a dichiarare che:

".....in quella data (6.5.1991) mi trovavo in Belgio con passaporto effettivamente rilasciato dalle autorità peruviane a nome di Riveira, per andare negli uffici della NATO.......". E certamente colpisce non poco che Ciolini frequentasse uffici NATO.
La CBUAS, anch’essa sentita sui loro movimenti, dichiarò che CIOLINI fra il settembre e l’ottobre del 1991 aveva fatto un viaggio di dieci giorni in Iugoslavia, asseritamente per recarsi in una località denominata Sissak. Un ulteriore riscontro all’attendibilità delle dichiarazioni di CIOLINI.

 

2. L’agenzia di stampa “Repubblica”

In singolare consonanza con le risultanze finora acquisite sono anche le valutazioni dell’omicidio LIMA contenute in un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa “Repubblica” che, come le rivelazioni di CIOLINI, sembrano avere il dono della “preveggenza”.

L’agenzia giornalistica Repubblica, il 19 marzo 1992 (quindi sette giorni dopo l’omicidio LIMA), pubblicò il seguente articolo che si trascrive testualmente per il suo estremo interesse:

Agenzia giornalistica
REPUBBLICA
QUOTIDIANO POLITICO-ECONOMICO-FINANZIARIO
RISERVATO AGLI ABBONATI

ANNO XIII - N. 65 - 19 marzo 1992

UN’ ”IRA” PER LIMA?
SICILIA COME SINGAPORE DEL MEDITERRANEO

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, intervistato dal quotidiano di Scalfari, ha fatto riferimento ad una possibile articolazione del terrorismo, nazionale ed internazionale, come esecutore-regista dell’eccidio di Salvo LIMA. Resta, tuttavia, indeterminata la sua matrice e la strategia complessiva che ne regolerebbero la presenza nella società italiana ed i suoi principi di azione. Una possibile teorizzazione e comparazione, benché astratta, degli elementi distintivi delle varie eversioni, che dilaniano il territorio del Vecchio Continente, indurrebbe a ricondurre il delitto dell’uomo politico siciliano all’interno di una logica separatista ed autonomista, anche se mai esplicitamente dichiarata, al contrario di quanto avviene per l’IRA dell’Irlanda del Nord.
L’atipicità, per così dire, del caso italiano si configura nel fatto che la MAFIA siciliana, in particolare, avrebbe, fin d’ora, il “controllo militare” del territorio, unito ad imponenti canali di auto-finanziamento, che hanno soltanto un pallido riscontro con alcune situazioni fortemente compromesse dell’America latina. Per divenire essa stessa Stato le risulta, quindi, sufficiente conquistare l’autonomia amministrativa e regolamentare, al fine di costituirsi come nuovo paradiso fiscale del Mediterraneo, portando alle estreme conseguenze le tecniche di “offshore” e di traffico commerciale (stavolta non più illegale), diretto a sfidare i dazi e le difese doganali dei Paesi confinanti.
Un simile approccio, malgrado l’apparente “temerarietà”, possiede una giustificazione storica (ricordando, semplicemente, alcune elaborazioni mafiose - SINDONA in testa - che volevano fare dell’isola liberata un nuovo Stato della federazione statunitense), per non parlare degli aspetti pratici di una simile operazione. Infatti, l’attacco diretto ai centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari comporta, come effetto immediato, sia la frammentazione del consenso (aspetto, quest’ultimo, destinato ad offrire ben altri margini di manovra al condizionamento ed alla penetrazione mafiosa dell’elettorato attivo), sia un inasprimento del meccanismo di tradizione Nord-Sud. Quest’ultimo aspetto fa riferimento al processo di “feeback”, secondo il quale all’aumento della pressione criminale nel Sud corrisponde una contro-reazione della società civile che tende a prendere le distanze dalla situazione meridionale, apparentemente incontrollabile.
Le due forze, uguali e contrarie, applicate agli estremi della struttura istituzionale italiana, provocano un quadro complesso di tensioni interne che, raggiunti i limiti caratteristici della plasticità dell’aggregato socio economico interessato, ne causa la rottura irreversibile. Nel caso concreto la “regionalizzazione” del voto, a danno dei grandi partiti popolari, comporta, come prima, destabilizzante, conseguenza, la loro ghettizzazione geografica, annullandone la capacità di rappresentazione e di mediazione degli interessi generali. Ora, poiché non è minimamente immaginabile che la strategia mafiosa, così sottile nei suoi approcci con l’alta finanza (grazie al mantenimento ed allo sviluppo dei canali di riciclaggio, che necessitano del contributo e dell’arruolamento di esperti di rango), sottovaluti le condizioni e le implicazioni di un simile strappo anti-unitario, occorre elaborare la cornice di compatibilità generale, rispetto agli schemi internazionali, in cui si muoverebbe il progetto.
Una prima osservazione concerne la divisione del lavoro, a livello mondiale, e le sue implicazioni macroeconomiche. Qualora, infatti, il potere mafioso riuscisse a conquistare un’autonomia regolamentare, dopo aver acquisito il controllo militare del territorio ed essersi assicurato ingenti fonti di autofinanziamento, la “DEREGULATION” che ne seguirebbe, in tema di diritto del lavoro e di insediamenti produttivi, servirebbe a richiamare un forte afflusso, dall’estero, di capitale di investimento e speculativo, a breve, medio e lungo termine, (nel caso specifico, la Sicilia si configurerebbe come una “Singapore del Mediterraneo”). La seconda, fondamentale, considerazione riguarda l’essenza stessa del principio di accumulazione capitalistico che, dapprima, procede attraverso una fase più o meno “selvaggia” ( quella, in particolare, che sta dietro al fenomeno siciliano), per poi assestarsi, con propri ruoli e spazi, nel quadro generale dell’equilibrio dei mercati mondiali (di beni, merci, servizi e finanza). Come in una rete complessa di distribuzione e di trasporto d’energia risulta fisicamente indispensabile la costruzione di “valvole di sfogo”, così nel circuito mondiale della finanza e dei commerci diviene indispensabile la progettazione e realizzazione delle piattaforme “offshore”, nonché la ridenominazione illecito-lecito dei capitali di dubbia costituzione, al momento in cui questi ultimi rappresentino una quota-parte rilevante del flusso globale.
Paradossalmente, il federalismo del Nord avrebbe tutto l’interesse a lasciar sviluppare un’analoga forma organizzativa al Sud, lasciando che si configuri come paradiso fiscale e crocevia di ogni forma di traffici e di impieghi produttivi, privi delle usuali forme di controllo, responsabili della compressione del reddito derivabile dalla diversificazione degli impieghi del capitale disponibile. Molti, ancora oggi, sono propensi a denunciare la responsabilità di Grandi Vecchi, capaci di tirare le fila di manovra così complesse, dimenticandosi che, in realtà, ci si trova confrontati con processi di globalizzazione che, nessuno, per quanto esteso fosse il suo potere, potrebbe mai condizionare da unico centro. La multipolarità esistente, con le sue specializzazioni “fisiologiche”, non è in grado di sopportare (pena l’impoverimento complessivo del sistema) né semplificazioni riduttive, né tantomeno un’eterodirezione, dato che non esiste alcun centro di potere in grado di governare le immense, imprevedibili, variabili in gioco, il cui equilibrio dinamico è funzione del tempo e del grado di conoscenze acquisite fino a quel momento. (M.B.)

Come si nota, l’esposizione contenuta nell’articolo coincide perfettamente con la ricostruzione della strategia politica del piano eversivo quale emerge dalla lettura coordinata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia finora esposte e delle risultanze processuali acquisite.
In sintesi, l’articolista individua la reale e segreta motivazione dell’omicidio dell’on. LIMA nell’incipit di un piano diretto:
a) ad attaccare i centri nevralgici di mediazione del sistema dei partiti popolari;
b) a determinare il collasso del vecchio sistema e a regionalizzare il voto all’interno di un progetto federalista che consegnerebbe il Nord e il Sud dell’Italia a forze interessate a spartirsi il paese;
c) a fare della Sicilia la “Singapore del Mediterraneo”, paradiso fiscale e crocevia di tutti i traffici ed impieghi produttivi illeciti e leciti.

Se si confronta questo articolo con le dichiarazioni del collaboratore Leonardo MESSINA si ha la sensazione che MESSINA e l’articolista parlino dello stesso progetto.
E può forse ritenersi una coincidenza il fatto che in tempi assolutamente non sospetti, e cioè nell’immediatezza dell’omicidio LIMA, qualcuno ipotizzasse una matrice politico-eversiva del delitto finalizzata a determinare le condizioni più idonee per la secessione della Sicilia?
I casi sono due :
O l’autore di quell’articolo ha avuto uno straordinario intuito, oppure, più realisticamente, coloro che si muovevano intorno all’agenzia Repubblica avevano avuto, attraverso canali occulti, notizia di quanto stava accadendo, e non potendolo denunciare a chiare lettere, perché prigionieri del loro passato e di un gioco di ricatti incrociati, lanciarono dei messaggi cifrati.
Se l’ipotesi che si viene delineando fosse esatta, si tratterebbe del tipico scenario di uno scontro sotterraneo tra settori della vecchia classe dirigente e coloro che aspiravano, avendone i mezzi e la capacità, a prendere il loro posto al vertice dello Stato.
In questo contesto COSA NOSTRA si sarebbe limitata ad un cambio di alleanze e l’omicidio dell’on. LIMA, con il quale venne messo fuori causa il senatore ANDREOTTI, sarebbe stato in realtà l’incipit della prima fase del piano.
Ma le “profezie” di questa “ben informata” agenzia di stampa non finiscono qui, perché è ancora più impressionante quanto si scrive in altri due articoli pubblicati dalla medesima agenzia il 21 e 22 maggio 1992.
In entrambi tali articoli (48 e 24 ore prima della strage di Capaci), si anticipa che esiste il pericolo che per fare passare la candidatura istituzionale di Spadolini e di Scalfaro, venga realizzato “un bel botto esterno” come ai tempi di Moro.

[…]

Come si vedrà di seguito, le dichiarazioni di Vito CIANCIMINO e di Giovanni BRUSCA forniscono una possibile ulteriore chiave di lettura del significato dei “messaggi cifrati” lanciati da quell’agenzia di stampa.

 

3. Le dichiarazioni di Vito CIANCIMINO e Giovanni BRUSCA

Secondo le convergenti dichiarazioni di vari collaboratori, la strage di Capaci non fu soltanto – in un’ottica tutta interna a COSA NOSTRA – una “risposta” alla sentenza della Cassazione del gennaio ’92 che confermò le condanne del maxi-processo. Fu anche un preciso attacco alla stabilità del sistema politico-istituzionale, finalizzato anche a colpire l’allora Ministro di Grazia e Giustizia Claudio MARTELLI che aveva chiamato Giovanni Falcone alla Direzione Generale degli Affari Penali e ne aveva appoggiato gli indirizzi di politica criminale antimafia.
D’altra parte, numerose risultanze fanno ritenere che, accanto a tali moventi, vi siano state altre causali che hanno inciso nella deliberazione della soppressione di Giovanni Falcone e soprattutto nella scelta dei “tempi” della strage all’interno della strategia destabilizzante già descritta e nella scelta delle eclatanti modalità adottate, certamente sproporzionate qualora l’obiettivo fosse stato solo quello di sopprimere Giovanni Falcone.
In tale prospettiva appaiono di particolare rilievo due “eventi istituzionali” che si sarebbero quasi certamente verificati se la strage di Capaci non fosse stata eseguita in quella data: la nomina di Falcone a Procuratore Nazionale Antimafia e l’elezione di Giulio Andreotti alla Presidenza della Repubblica.
E’ ormai accertato, infatti, che proprio nel mese di maggio si stava coagulando al C.S.M. una maggioranza a favore della candidatura Falcone e, nel contempo, negli ambienti parlamentari la candidatura di ANDREOTTI alla Presidenza della Repubblica veniva ritenuta la candidatura più forte. Ed è significativo che dell’immediata correlazione fra tali fatti abbiano parlato anche collaboratori provenienti da COSA NOSTRA, generalmente portati – al contrario – a privilegiare (e a conoscere meglio) i moventi dei delitti in un’ottica tutta interna di COSA NOSTRA.
Fra le altre, appaiono particolarmente significative le rivelazioni, provenienti dal “cuore” dello schieramento corleonese, di Giovanni BRUSCA, uno degli organizzatori ed esecutori materiali della strage di Capaci, il quale ha ribadito che l’uccisione del dr. Falcone “era particolarmente auspicata dal RIINA, che voleva così assestare anche un colpo decisivo alle speranze che allora il Sen. ANDREOTTI coltivava di essere eletto Presidente della Repubblica”. Ha spiegato, infatti, BRUSCA che COSA NOSTRA riteneva che il Sen. ANDREOTTI li avesse traditi, consentendo che il maxiprocesso venisse sottratto al dottor CARNEVALE e che una delle punizioni sarebbe stata quella di ostacolarne la corsa alle elezioni presidenziali commettendo un omicidio che, per la sua rilevanza, avrebbe nuociuto alle aspirazioni di quel candidato, essendo egli discusso per la sua vicinanza ad ambienti mafiosi. Nella stessa ottica di punizione per l’impegno tradito e per il cattivo esito del maxiprocesso si poneva, secondo le dichiarazioni di BRUSCA, l’omicidio dell’on. LIMA, consumato proprio nel periodo in cui erano prossime le elezioni nazionali al fine di cancellarne la corrente politica, vicina in Sicilia al Sen. ANDREOTTI, nonché l’omicidio di Ignazio SALVO, ritenuto al pari di LIMA colpevole di non essersi adeguatamente impegnato per un esito favorevole del maxiprocesso.
L’ex Sindaco di Palermo, poi condannato per associazione mafiosa, Vito CIANCIMINO, fin dall’interrogatorio reso a questo Ufficio il 17 marzo 1993, aveva espresso la sua “convinzione” che l’omicidio LIMA, la strage di Capaci e quella di via d’Amelio fossero legate e che dietro la matrice mafiosa potesse esservi anche “un disegno politico”.
E nell’interrogatorio del 5 agosto 1997 precisava:

Queste mie conclusioni nascono da un ragionamento che ho fatto a posteriori sulla base di alcuni frammenti di “mormorii” che si ascoltavano nell’ambiente politico romano. Si tratta però di frammenti di conversazioni fra altre persone, da me percepiti casualmente in luoghi intorno a Montecitorio e nei pressi di Piazza S. Lorenzo in Lucina (ove si trova lo studio del Sen. ANDREOTTI, nonché il salone di barbiere dove usavo recarmi e la Caserma dei Carabinieri ove in un certo periodo ero obbligato ad apporre la mia firma), luoghi dove mi accadeva di incontrare vari parlamentari di diversi partiti e correnti, da me non conosciuti.
Proprio per ciò non sono in grado di indicare nominativamente i nomi di tali uomini politici.
A.D.R. Non sono in grado di precisare il contenuto dei frammenti di conversazione da me percepiti al riguardo. Quel che ricordo è che, prima dell’elezione del Presidente della Repubblica, i “forlaniani” erano ostili alla candidatura di ANDREOTTI e gli “andreottiani” a quella di Forlani. Quando tramontò la candidatura di Forlani, notai molta soddisfazione fra gli andreottiani, sicuri che ciò avrebbe spianato la elezione di ANDREOTTI.
Sono anche certo che vi era qualcuno particolarmente ostile alla candidatura di ANDREOTTI: si tratta di colui il quale io penso potrebbe essere stato “un architetto” del disegno politico che, tramite l’omicidio LIMA e soprattutto le modalità eclatanti dell’uccisione di Falcone, aveva come obbiettivo quello di “sconvolgere il Parlamento”, così determinando le condizioni per fare eleggere un Presidente della Repubblica, naturalmente diverso da ANDREOTTI. Io ho in testa il nome del possibile “architetto”, ma non ne ho le prove per poterlo affermare e comunque non lo direi mai, anche perché, se costui è stato capace di tanto, né io, né i miei familiari potremmo mai essere al sicuro, dovunque.

E nell’interrogatorio del 3 aprile 1998, reso congiuntamente ai P.M. di Palermo, Firenze e Caltanissetta, aggiungeva:

Vengo richiesto di meglio illustrare quanto da me già dichiarato con riferimento al c.d. “architetto”, che avrebbe avuto un ruolo nelle dinamiche decisionali delle stragi consumate in Sicilia, in pregiudizio, tra gli altri, del dott. Giovanni Falcone e del dott. Paolo Borsellino. Al riguardo, dico di aver avuto modo di raccogliere informazioni nel corso delle mie passeggiate lungo le vie di Roma (salotto) e di avere “orecchiato parole” che mi hanno indotto a giungere alla seguente conclusione. L’attentato in pregiudizio del dott. Giovanni Falcone è stato pilotato per impedire l’elezione dell’onorevole ANDREOTTI a Presidente della Repubblica. Il mio ragionamento si sviluppa attraverso questi passaggi logici.
Falcone poteva essere agevolmente ucciso mentre si trovava a Roma, in quanto in questa città mi è capitato di incontrarlo senza scorta. Ricordo, in particolare, di averlo veduto in una via, quasi buia, da solo che camminava in una zona compresa tra Piazza Navona e Piazza Campo dei Fiori. Pertanto, ritengo che Falcone potesse essere eliminato senza il “teatro” (messo in scena a Capaci). Quella strage veniva fatta per far “tremare l’Italia”.
In effetti, a seguito di quel fatto, l’Italia “tremò” e non si fece quello che avrebbe voluto fare parte della D.C., come meglio preciso in sede di verbalizzazione. I deputati di quel partito avevano deciso che, se fosse stata bloccata la candidatura di Forlani, sarebbe stata portata avanti quella di ANDREOTTI. E’ possibile, quindi, che qualche autorevole esponente politico nazionale abbia potuto architettare quell’uccisione spettacolare. La mia convinzione viene avvalorata da un altro dato sempre di carattere deduttivo. LIMA, che ho frequentato per quarant’anni, conosceva l’ambiente mafioso e avrebbe capito, grazie alle sue relazioni, se la sua vita fosse stata in pericolo. Evidentemente non si è reso conto del pericolo esistente, tant’è vero che non ha adottato nessuna precauzione nei suoi spostamenti.
Ne deriva, perciò, che l’eliminazione di LIMA deve essere ricondotta ad un tentativo di colpire ANDREOTTI. Il progetto, in concreto, non riuscì ed ecco perché vi fu la necessità di eliminare il dott. Falcone, con quel modo appariscente di cui si è detto.

Quindi anche Vito CIANCIMINO collega la strage di Capaci all’omicidio LIMA all’interno di un’unica strategia tesa ad impedire l’elezione di ANDREOTTI alla Presidenza della Repubblica. Anzi, in modo allusivo, secondo lo stile “obliquo” di CIANCIMINO, che non ha mai reso una piena collaborazione, egli ha fatto riferimento ad un “architetto”, entità esterna a Cosa Nostra, che avrebbe indirizzato la strategia di COSA NOSTRA in senso avverso alla candidatura di ANDREOTTI anche tramite l’omicidio LIMA e la strage di Capaci.
Dichiarazioni enigmatiche e reticenti, queste di CIANCIMINO, ma anche significative, tanto più perché proveniente da un personaggio certamente addentro alle dinamiche dei rapporti del mondo della politica con la mafia come l’ex Sindaco di Palermo.
 

Questo è dunque il quadro di quel passaggio tra la cosiddetta “prima” e la “seconda” Repubblica. Ed è in questo quadro come abbiamo già visto e come approfondiremo, in questa seconda parte del capitolo, che si sviluppa l'ascesa di quel movimento leghista, tra cui la LEGA NORD, funzionale al piano destabilizzante dello Stato ed alla svolta auspicata dalle organizzazioni mafiose ed eversive, anche, attraverso, la strada della secessione o della “devolution”.

 

LE LEGHE MERIDIONALI e LA LEGA NORD

Uno dei punti cardine dell'indagine della DIA (e che la DDA di Palermo archiviò) è proprio sui movimenti leghisti meridionali, il ruolo di Licio GELLI e la LEGA NORD:


1. Le informative della D.I.A.
Dalle indagini svolte dalla D.I.A. sui movimenti separatisti meridionali costituiti agli inizi degli anni ’90 sono emerse delle importanti conferme del quadro delineato fin dal ’92 da Leonardo MESSINA.
Già nell’informativa D.I.A. del 4 marzo 1994, cui si è già fatto cenno in premessa, concernente “un'ipotesi investigativa in ordine ad una connessione tra le stragi mafiose di Capaci e via d'Amelio, con gli attentati di Firenze, Roma e Milano per la realizzazione di un unico disegno criminoso che ha visto interagire la criminalità organizzata di tipo mafioso, in particolare "COSA NOSTRA" siciliana, con altri gruppi criminali in corso di identificazione”, si evidenziava il fenomeno di diffusione, a cominciare dal 1990, di formazioni leghiste nel Centro e nel Meridione d’Italia, nello stesso periodo in cui la LEGA NORD era nella sua fase di espansione. Fenomeno di diffusione nel quale spiccava il ruolo trainante di personaggi provenienti dalla MASSONERIA deviata e dalla DESTRA EVERSIVA: soprattutto gli odierni indagati Licio GELLI e Stefano DELLE CHIAIE.
Risultava, in particolare, che MENICACCI Stefano, avvocato di Stefano DELLE CHIAIE e suo socio nella "Intercontinental Export Company I.E.C. S.r.l." [Nell’informativa D.I.A. n. 3815/98 del 31/1/1998, sul conto di Menicacci, si riportano le dichiarazioni del collaboratore di giustizia messinese Costa Gaetano che chiamano in causa lo studio dell’avv. Menicacci in un tentativo di “aggiustamento” di un processo per il quale si era interessato il mafioso calabrese Giuseppe Piromalli. E si riferisce di contatti fra il mafioso Luigi Sparacio, durante la sua latitanza, e utenze telefoniche di personaggi vicini a Menicacci e Stefano Delle Chiaie. Nella stessa informativa D.I.A. si fa riferimento anche ai rapporti fra l’avv. Menicacci e Paolo Bellini, personaggio proveniente dalla destra eversiva, coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna e nel ’92 in contatto con il mafioso Nino Gioè nell’ambito di una delle c.d. “trattative” che Cosa Nostra avviò durante la stagione stragista, in questo caso utilizzando cercando di utilizzare i contatti che Bellini aveva con i Carabinieri (...)], e ROMEO Domenico, pregiudicato per reati comuni, l'8 maggio 1990 avevano fondato la LEGA PUGLIESE, l'11 maggio la LEGA MARCHIGIANA, il 13 maggio la LEGA MOLISANA, il 17 maggio la LEGA MERIDIONALE o DEL SUD, il 18 maggio la LEGA DEGLI ITALIANI e, sempre nello stesso periodo, avevano fondato la LEGA SARDA. E la maggior parte di questi movimenti di nuova formazione avevano eletto la propria sede sociale presso lo studio dell'avv. MENICACCI, già sede della "Intercontinental Export Company I.E.C. S.r.l.".
Si segnalava, inoltre, che durante il medesimo arco di tempo erano intanto sorti anche MOVIMENTI LEGHISTI legati a Licio GELLI. Infatti, il 7 maggio 1991 Licio GELLI aveva fondato la LEGA ITALIAN, con sede in Roma, insieme con ROZZERA Bruno (Prefetto in pensione, già appartenente alla P2), PITTELLA Domenico (già senatore P.S.I., coinvolto nell'inchiesta giudiziaria sulle Brigate Rosse denominata "Moro ter" e condannato a 7 anni e 3 mesi per partecipazione a banda armata), ESPOSITO Alfredo (già vicino agli ambienti del M.S.I.), VICICONTE Enrico (pubblicista, funzionario della Regione Lazio, già organizzatore e dirigente del periodico calabrese Progetto Sibari e di varie emittenti radiofoniche e televisive).
Il 31 gennaio 1992 il PITTELLA ed il VICICONTE fondavano, con altre persone, la LEGA ITALIANA – LEGA DELLE LEGHE. Nell'ambito di questa iniziativa il PITTELLA, in data 17 gennaio 1992, tenne in provincia di Potenza il 1° forum della LEGA DELLE LEGHE con la partecipazione di elementi già appartenenti al M.S.I., di rappresentanti del MOVIMENTO LUCANO (in stretto contatto con la LEGA NAZIONAL POPOLARE, altra iniziativa politica direttamente riconducibile a Stefano DELLE CHIAIE) e della LEGA SUD DI CALABRIA.
Il programma era la costituzione di un cartello elettorale denominato LEGA DELLE LEGHE di cui, oltre ai summenzionati partiti, avrebbero dovuto far parte il PARTITO DI DIDO PARTITO DEL DOVERE del napoletano BOCCONE Mauro, i MOVIMENTI LOMBARDO E POPOLARE di Milano e Busto Arsizio, la LEGA TOSCANA e la LEGA LAZIALE.
Nel marzo 1993 a Massa Carrara nacque il movimento politico LEGA ITALIA, con sede in Roma e operante in Massa tramite tale ESPOSITO Antonio. Fondatore era Licio GELLI unitamente agli stessi personaggi che avevano partecipato alla costituzione della LEGA ITALIANA e della LEGA DELLE LEGHE. E nelle elezioni amministrative dello stesso anno in molte città venne presentata la lista della LEGA ITALIA FEDERALE, che tra gli iscritti annoverava Enrico VICICONTE e ROMEO Domenico, ovvero uno dei fondatori delle leghe riconducibili a Licio GELLI ed uno dei fondatori delle leghe riconducibili a Stefano DELLE CHIAIE.
Nel 1993, poi, venne costituita a Catania SICILIA LIBERA, nell’ambito di analoga convergenza di interessi, sulla quale si tornerà più avanti.

Ulteriori risultanze emergevano, poi, dalla minuziosa analisi dei movimenti leghisti meridionali successivamente compiuta dalla DIA, anche sulla base della documentazione fornita dal SISDE e dalla Direzione Centrale Polizia di Prevenzione (proveniente dai vari uffici DIGOS), e condensata nelle informative n. 17959/97 del 3/6//1997 e n.3815/98 del 31/1/1998 e relativi allegati.
Il dato rilevante che emerge da tali accertamenti è che, nello stesso periodo in cui sorsero i movimenti meridionalisti fondati dall’avv. Stefano MENICACCI e da personaggi al medesimo legati (per lo più provenienti dalle fila dell’estrema destra), cominciarono a sorgere nelle varie regioni centrali e meridionali d’Italia una serie di movimenti, tutti apertamente collegati alla LEGA NORD e per lo più fondati da tale Cesare CROSTA, e che, in quasi tutti i casi, i movimenti fondati dal CROSTA si sono poi fusi con quelli costituiti dall’avv. MENICACCI.
Tra i vari movimenti meridionalisti le indagini hanno particolarmente posto in evidenza, per la sua matrice spiccatamente MASSONICA, per i suoi rapporti con ambienti della CRIMINALITA' ORGANIZZATA e per la tormentata storia dei suoi rapporti con Licio GELLI, la “LEGA MERIDIONALE – CENTRO –SUD - ISOLE”, costituita il 27 giugno 1989 dai seguenti soci fondatori: l’avv. Egidio LANARI, il Gran Maestro siciliano Giorgio PATERNO', il pugliese Cosimo Donato CANNAROZZI ed il calabrese Enzo Alcide FERRARO.
L’avv. Egidio LANARI è stato difensore del noto capomafia Michele GRECO ed è colui il quale propose pubblicamente di candidare alle successive elezioni politiche, fra gli altri, lo stesso Michele GRECO, Vito CIANCIMINO e Licio GELLI. Quanto al Gran Maestro Giorgio PATERNO', è lo stesso che aveva pubblicamente, con ampio risalto sulla stampa nazionale, riabilitato il noto Licio GELLI, riaccogliendolo "fraternamente ed a braccia aperte nella fratellanza Universale, insieme a tutti i fratelli iscritti alla Venerabile LOGGIA P2", affermando che "la LOGGIA P2 era ed è legittima", e definendo infine GELLI ed i suoi fratelli “massoni in eterno”.
Il programma della LEGA MERIDIONALE, come si può desumere dal “documento” del movimento pubblicato il 22 luglio 1989 dall’agenzia di stampa "Punto critico", era principalmente indirizzato contro la c.d. “partitocrazia” e la magistratura (LANARI proponeva, fra l’altro, l’abrogazione della legge Rognoni - La Torre e l’amnistia per i reati politici). Malgrado l'avversario politico venisse individuato nelle LEGHE DEL NORD [Della Lega Lombarda, accusata di razzismo nei confronti dei meridionali, venne chiesto lo scioglimento], il progetto esposto dal LANARI non prevedeva ipotesi di separatismo ma, al contrario, sosteneva l'unità nazionale (così nel convegno presso l'Hotel Midas di Roma dell'11.11.90).
Nel contempo, si rilevano rapporti della LEGA MERIDIONALE con personaggi legati agli ambienti eversivi della destra. In pubbliche manifestazioni (come ad es. quella di Roma del 6 giugno 1990 intitolata "Un indulto per la pacificazione nazionale") con il LANARI intervennero soggetti quali Adriano TILGHER (esponente di AVANGUARDIA NAZIONALE), l'avvocato Giuseppe PISAURO (legale di Stefano DELLE CHIAIE), Tommaso Staiti DI CUDDIA, i fratelli ANDRINI Stefano e Germano (militanti dell’organizzazione di estrema destra “MOVIMENTO POLITICO OCCIDENTALE” di BOCCACCI Maurizio, molto legato a Stefano DELLE CHIAIE) ed esponenti degli SKIN HEADS romani, tra cui Mario MAMBRO (fratello di MAMBRO Francesca ed esponente del “MOVIMENTO POLITICO OCCIDENTALE”). Ed il LANARI, nel suo intervento, manifestò disponibilità ed interesse verso il progetto politico di organizzazione delle leghe meridionali al quale si era dedicato Stefano DELLE CHIAIE in quel periodo.
Al convegno dell’hotel Midas di Roma dell’11 novembre 1990, nel corso del quale venne illustrata la linea politica del movimento, vennero invitati Vito CIANCIMINO, che effettivamente vi presenziò, e Licio GELLI, che con una lettera del 30/10/90 offrì il proprio sostegno morale e con un telegramma dell’11/11/1990, nel confermare la propria adesione all'iniziativa politica, comunicò l'impossibilità di intervenire.
Al convegno dell’hotel Majestic di Roma del 28 novembre 1990, a seguito delle dimissioni di Giorgio PATERNO', avvenute per divergenze con la linea adottata da Egidio LANARI, venne eletto un nuovo presidente nella persona di Elio SIGGIA, considerato vicino a GELLI. Causa l'indisponibilità del SIGGIA, venne eletto Claudio ALARI.
La LEGA MERIDIONALE divenne, intanto, un punto di riferimento per altri analoghi movimenti (fra cui la LEGA ROMANA e la LEGA MERIDIONALE di LECCE).
Nel suo organigramma un ruolo di rilievo ebbe la città di Catania, una delle poche ad essere sede di una segreteria provinciale, guidata da STRANO Antonino, poi divenuto esponente di spicco del movimento SICILIA LIBERA, e sul quale il collaborante catanese Francesco PATTARINO, nell’interrogatorio del 4/2/1998, ha riferito di avere appreso nel ’91 da PULVIRENTI “il malpassotu” che egli era un uomo politico “in obbligo” con l’associazione mafiosa, cui i mafiosi catanesi potevano certamente “fare riferimento” [Si noti che Elio Ciolini, nel suo interrogatorio al P.M. di Palermo del 10.4.1992, attribuì un ruolo importante a Catania nella strategia della tensione del ’92, addirittura dichiarando che in quella città si poteva individuare la matrice dell’omicidio Lima].

Al convegno "Giustizia e libertà", svoltosi il 10 febbraio 1991 ad ANGHIARI (provincia di Arezzo) l’avv. LANARI offrì pubblicamente una candidatura a GELLI e difese l'iniziativa presa anche nei confronti di Vito CIANCIMINO (e cioè l’invito al convegno dell’hotel Midas) e dell’ex sen. del P.S.I. Domenico PITTELLA (nome proposto da GELLI), del quale si è già fatto cenno.Il 2 marzo 1991, la denominazione del movimento venne indicata come "LEGA MERIDIONALE PER L'UNITA NAZIONALE" ed il 6 aprile 1991 si tenne all’hotel Jolly di Palermo il convegno "Sicilia = terra di nessuno o Stato di Polizia?", dove venne pubblicizzato un referendum abrogativo della legge " Rognoni - La Torre ", già formalizzato presso la Corte di Cassazione.
Il 21 aprile 1991, Licio GELLI inviò alle agenzie giornalistiche un comunicato con cui, in relazione a notizie apparse sulla stampa circa una sua presunta espulsione dalla LEGA MERIDIONALE, precisava di non essere mai stato iscritto al predetto movimento e che il 17 aprile 1991 aveva comunicato la propria dissociazione dal movimento.
Da quel momento si coagulavano attorno a lui molti degli esponenti di punta della LEGA MERIDIONALE (fra cui Vincenzo SERRAINO [Come si ricorderà, Vincenzo Serraino è il personaggio indicato da Marino Pulito come esponente della Lega Meridionale in Puglia contestualmente legato, da una parte, a Licio Gelli e, dall’altra, per il tramite proprio di Marino Pulito, alla criminalità pugliese...], Domenico PITTELLA ed Enrico VICICONTE), fuoriusciti da quel movimento per costituire con GELLI la LEGA ITALIANA (il 7 maggio 1991).
 

L'attività di indagine ha permesso di raccogliere anche verbalizzazioni di dichiarazioni che confermano ulteriormente gli elementi dell'inchiesta:


2. Le dichiarazioni di Massimo Pizza e Antonio D’Andrea

Nel medesimo periodo in cui l’Ufficio svolgeva le sue indagini sui MOVIMENTI LEGHISTI meridionali, nell’ambito di un’altra indagine per riciclaggio, intraprendeva la propria collaborazione tale Massimo PIZZA, intermediatore finanziario, risultato in quell’indagine soggetto effettivamente legato ad esponenti di spicco della criminalità organizzata. In particolare, il PIZZA ha riferito dei suoi rapporti con la CRIMINALITA' ORGANIZZATA siciliana e calabrese e di una grossa operazione di riciclaggio da lui gestita assieme a tali soggetti, in merito alla quale ha fornito specifiche coordinate e dettagli che hanno consentito di svolgere i dovuti accertamenti a riscontro e conferma delle sue dichiarazioni.
Sempre nell’ambito di tale collaborazione, il PIZZA ha riferito altresì circostanze di interesse nel presente procedimento.

In particolare, il PIZZA ha affermato di avere appreso nel 1991 da Carmelo CORTESE, indicato come MASSONE PIDUISTA ed esponente di vertice della ‘NDRANGHETA, che la LEGA MERIDIONALE era la longa manus di COSA NOSTRA e che doveva attuare un progetto di rivoluzione politica, ispirato da Licio GELLI, sfociante in una nuova forma di stato.

Nell’interrogatorio del 25 luglio 1996 il PIZZA forniva ulteriori particolari:

... CORTESE ... mi parlò della LEGA MERIDIONALE come di una longa manus di COSA NOSTRA per attuare il predetto progetto di rivoluzione politica. Il progetto si articolava in tre fasi: 1) una fase di infiltrazione nelle istituzioni ed in particolare nell’Arma dei carabinieri e nella Polizia (al riguardo il CORTESE diceva che avevano un sacco di amici nella Forze dell’Ordine); 2) una seconda fase consistente nella delegittimazione della classe politica e della Magistratura. In proposito il CORTESE mi disse che in qualsiasi momento potevano mettere nei guai chiunque perché erano ricattabili. Ciò mi disse prima ancora che scoppiasse “tangentopoli”; 3) una terza fase militare. A riguardo mi disse che si sarebbe giunti a uno scontro con il Nord e che loro non avevano problemi perché erano molto più organizzati ”.

Il PIZZA ha riferito inoltre che di un progetto politico “rivoluzionario”, ispirato da Licio GELLI e dalla “massoneria internazionale”, gli aveva parlato altresì l’avvocato Egidio LANARI, anch’egli massone, nonché fondatore della “LEGA MERIDIONALE CENTRO-SUD-ISOLE” (lo stesso avv. LANARI di cui si è parlato sopra) e il suo “braccio destro” Antonio D’ANDREA. In particolare, il LANARI ed il D’ANDREA si sarebbero “sfogati” con il PIZZA (che, per un malinteso, ritenevano essere un funzionario dei servizi segreti) lamentandosi del comportamento di Licio GELLI, al quale attribuivano la responsabilità del fallimento del progetto politico della LEGA MERIDIONALE, anche per non aver adempiuto all’impegno di far affluire cento miliardi di lire di finanziamento al movimento (somma di denaro che sarebbe stata raccolta negli ambienti della MASSONERIA e della CRIMINALITA' ORGANIZZATA).
Il progetto politico, i cui principali “punti programmatici” PIZZA sosteneva di aver letto condensati in un documento di otto pagine mostratogli da LANARI, consisteva nella creazione nel Meridione di una serie di LEGHE che si sarebbero dovute fondere sotto la sigla della LEGA MERIDIONALE. Per la riuscita del progetto si erano stabiliti, fin dal 1989, rapporti con la LEGA NORD, con la quale si sarebbe dovuto stringere un patto elettorale per il tramite di Gian Mario FERRAMONTI, il personaggio al centro dell’indagine “PHONEY MONEY” della Procura della Repubblica di Aosta (sulla quale si tornerà oltre). Il LANARI attribuiva a se stesso e a Giorgio PATERNO', esponente di spicco della MASSONERIA, la paternità del nuovo soggetto politico, al quale si erano dimostrati interessati anche i noti Giuseppe MANDALARI e Stefano DELLE CHIAIE ...). Il progetto sarebbe poi fallito, principalmente a causa di una sorta di “voltafaccia” di GELLI, il quale avrebbe svolto un’opera di discredito e di destabilizzazione della LEGA MERIDIONALE, che LANARI sospettava essersi realizzata anche mediante l’infiltrazione all’interno del nuovo movimento politico di alcuni ambigui personaggi legati ai “SERVIZI SEGRETI”. Il “voltafaccia” di GELLI si era determinato - sempre a dire del LANARI - dal contrasto sorto sulla denominazione del movimento politico, che in realtà rifletteva un sostanziale contrasto di linea politica. Infatti, mentre LANARI e i suoi più stretti collaboratori volevano cambiare la denominazione da LEGA MERIDIONALE CENTRO-SUD-ISOLE in LEGA MERIDIONALE PER L'UNITA' NAZIONALE, GELLI e i suoi “fedelissimi” volevano mantenere la vecchia denominazione e la correlata vocazione più spiccatamente meridionalista. Ed il PIZZA ha riferito anche di avere appreso dal D’ANDREA di “pressioni” in favore della linea gelliana esercitate da personaggi della MASSONERIA siciliana come Giuseppe MANDALARI.
Un’altra causa del fallimento del progetto politico della LEGA andrebbe poi individuata nel comportamento di alcuni personaggi politici, fra cui il sen. Giulio ANDREOTTI, che prima avevano promesso di appoggiarlo e poi si erano “tirati indietro”, perché avevano ad un certo punto iniziato a diffidare delle persone che vi erano implicate.
In proposito, va evidenziato che anche nell’appunto di Elio CIOLINI (già riportato...) si allude ad una sorta di “disimpegno” di ANDREOTTI (definito “reticente”) e di una “pressione” operata nei suoi confronti mediante l’omicidio LIMA.
Che vi furono contatti fra il sen. ANDREOTTI ed ambienti della LEGA NORD, in particolare proprio col professor Francesco MIGLIO (...) lo ha ammesso lo stesso MIGLIO nel corso della sua intervista pubblicata su “Il Giornale” del 20/3/1999, acquisita in atti, ove il professor MIGLIO, facendo riferimento ad un possibile appoggio, da parte della LEGA NORD, della candidatura del sen. ANDREOTTI alla Presidenza della Repubblica nel ’92, ha dichiarato: “Con ANDREOTTI ci trovammo a trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendici di Monte Mario, davanti a un camino spento”, e subito dopo ha rammentato di non avere ottenuto la nomina a senatore a vita per l’opposizione di COSSIGA “nonostante ANDREOTTI insistesse tanto”.
Fin dalla loro acquisizione, le dichiarazioni di PIZZA evidenziavano una straordinaria convergenza con le altre risultanze del presente procedimento, al punto da far concretizzare l’ipotesi di una possibile ulteriore chiave di lettura dell’omicidio LIMA che spiegherebbe anche l’apparente contraddizione interna delle dichiarazioni di Leonardo MESSINA, laddove quest’ultimo attribuisce ad ANDREOTTI (unitamente a GELLI e ad altri) un ruolo di coprotagonista nella strategia volta a creare nuovi assetti politici nazionali, quando invece egli ne risulta la prima “vittima” con l’omicidio LIMA, primo “atto esecutivo” della strategia.
Le dichiarazioni di PIZZA invero, da un lato, confermano le dichiarazioni di MESSINA circa il ruolo di GELLI ed ANDREOTTI; dall’altro lato, sembrano poter fare ipotizzare che fra le concause dell’omicidio LIMA possa esservi anche la decisione di “sanzionare” l’ennesimo “tradimento” del sen. ANDREOTTI nei confronti del sistema criminale. E nel medesimo contesto di rapporti potrebbe essere letta perfino la “tregua” nei confronti di ANDREOTTI da parte di COSA NOSTRA, che, pur avendo appoggiato il P.S.I. alle elezioni nazionali del 1987, tornò ad indirizzare consensi elettorali in favore della corrente andreottiana alle regionali del 1991 (e cioè proprio nell’anno in cui venne elaborato il “PIANO EVERSIVO-SEPARATISA” oggetto del presente procedimento).

Ricapitolando, quindi, sullo specifico punto della posizione del senatore ANDREOTTI nella vicenda in esame si assommano le seguenti risultanze:

· Le dichiarazioni di Leonardo MESSINA, il quale assume di avere appreso da Liborio MICCICHE' che, fra gli altri, uno dei registi occulti del progetto politico era il senatore ANDREOTTI unitamente al prof. Gianfranco MIGLIO (“il vero artefice del progetto politico della LEGA NORD era MIGLIO, dietro il quale c’erano GELLI e ANDREOTTI.”);

· L’intervista già citata del 20/3/1999 del professor MIGLIO, il quale per un verso afferma che esisteva il progetto di una divisione dell’Italia in macroregioni con “l’assegnazione” della Sicilia alla mafia (“Io sono per il mantenimento anche della MAFIA e della ‘NDRANGHETA. Il Sud deve darsi uno statuto poggiante sulla personalità del comando. Che cos’è la mafia? Potere personale spinto fino al delitto.[…] Insomma, bisogna partire dal concetto che alcune manifestazioni tipiche del Sud hanno bisogno di essere costituzionalizzate.”) e, per altro verso, rivela il particolare inedito di avere trattato segretamente proprio con il senatore ANDREOTTI (“Con ANDREOTTI ci trovammo a trattare di nascosto a Villa Madama, sulle pendici di Monte Mario, davanti a un camino spento”);

· L’articolo pubblicato dall’agenzia di stampa Repubblica a pochi giorni di distanza dell’omicidio dell’on. LIMA, nel quale – in un momento in cui non era assolutamente conoscibile all’esterno di un ristrettissimo circuito che, nel caso di specie, era andreottiano - viene descritta l’esistenza di un progetto politico analogo a quello rivelato da Leonardo MESSINA e dal prof. Gianfranco MIGLIO, nell’ambito del quale l’omicidio dell’on. LIMA costituirebbe un passaggio esecutivo;

· L’appunto scritto da Elio CIOLINI, nel quale questi, nel descrivere il piano eversivo, annota : “Si giustifica, LIMA, per pressione a ANDREOTTI.”;

· Le dichiarazioni di Massimo PIZZA, secondo cui dietro il progetto politico in oggetto c’era anche, fra gli altri, ANDREOTTI, che si era poi “tirato indietro”;

· Le dichiarazioni di Giovanni BRUSCA, secondo cui la strage di Capaci aveva tra le sue finalità anche quella di “assestare anche un colpo decisivo alle speranze che allora il Sen. ANDREOTTI coltivava di essere eletto Presidente della Repubblica”;

· L’articolo pubblicato dall’agenzia Repubblica che sostanzialmente preannunzia la strage di Capaci ventiquattr’ore prima della sua esecuzione, nella parte in cui si preconizzava che, per influire sull’impasse del Parlamento nell’elezione del Presidente della Repubblica, si affermasse “una strategia della tensione che piazzi un bel botto esterno”.

Tornando alle dichiarazioni del PIZZA, esse apparivano comunque di speciale interesse perché egli indicava due fonti di natura diversa: il CORTESE, e cioè una fonte che costituiva punto di raccordo fra il mondo della CRIMINALITA' ORGANIZZATA e gli ambienti della MASSONERIA deviata, e la voce (quella di LANARI e D’ANDREA), proveniente dall’interno del movimento leghista meridionale, che gli aveva fornito anche il quadro dell’intero svolgersi della vicenda sino al fallimento del “progetto politico” per il progressivo disimpegno delle forze che lo avevano prima appoggiato.
In base alle indagini delegate allo S.C.O. e alla D.I.A. venivano inoltre acquisiti alcuni positivi riscontri obiettivi, che si aggiungevano a quelli già in atti, relativi alle vicende della LEGA MERIDIONALE di LANARI. In particolare, si accertava che il Carmelo CORTESE, effettivamente già iscritto alla P2 e condannato per associazione di stampo mafioso dal Tribunale di Reggio Calabria, si trovava a Roma nell’albergo e nel periodo indicati da PIZZA per i loro incontri [rapporti fra Cortese e Gelli sono stati confermati anche dalle annotazioni nelle agende di quest’ultimo]. E positivi risultavano altresì i riscontri su molti dei personaggi indicati da PIZZA nelle sue rivelazioni. Ed inoltre lo stesso PIZZA agevolava l’acquisizione di ulteriori elementi di riscontro, prestandosi anche, previ accordi con gli inquirenti, ad incontrare il CORTESE registrando la conversazione che ne scaturì, così consentendo all’Ufficio di accertare positivamente la sussistenza di rapporti fra i due.
D’altra parte, va rilevato che permanevano dei dubbi sull’attendibilità delle dichiarazioni rese dal PIZZA nell’ambito del presente procedimento, sia perché apparivano non sufficientemente chiariti i motivi per i quali il CORTESE avrebbe dovuto fare proprio al PIZZA rivelazioni sul “piano eversivo” così compromettenti, sia perché i riscontri acquisiti non erano specificamente correlati al contenuto di queste ultime.
Per di più, poco convincente appariva il contesto nel quale sarebbero maturate anche le confidenze di LANARI e D’ANDREA, che – a dire del PIZZA – lo avrebbero scambiato per un funzionario dei SERVIZI SEGRETI. È comunque sempre nell’ambito di tale contesto di rapporti che il PIZZA, nel prosieguo della sua collaborazione, produceva all’Ufficio una consistente mole di documenti in copia che – a suo dire – gli era stata spontaneamente consegnata dal LANARI e dal D’ANDREA a riprova della veridicità della loro ricostruzione della vicenda. Ed invero, fra gli atti che venivano così acquisiti si rinvenivano documenti di indubbio rilievo e supporto alle dichiarazioni del PIZZA, concernenti soprattutto la nascita e l’evoluzione della LEGA MERIDIONALE. Fra i più significativi vanno segnalati quelli provenienti da Licio GELLI e, in generale, la corrispondenza di LANARI e D’ANDREA con altri soggetti appartenenti o interessati al movimento, nonché con vari personaggi politici, alcuni dei quali di rilievo nazionale (c’è anche una lettera autografa, ad apparente firma dell’ex Presidente del Consiglio Bettino CRAXI, che sembra inviata via fax da Hammamet).
Pertanto, l’Ufficio, al fine di verificare ulteriormente l’attendibilità delle dichiarazioni del PIZZA, sentiva il D’ANDREA, e cioè una delle sue principali fonti di notizie.
Ed il D’ANDREA sostanzialmente ne confermava le rivelazioni, avuto soprattutto riguardo alla genesi e all’evoluzione del progetto politico del movimento politico fondato dall’avv. Egidio LANARI.
In particolare, il D’ANDREA (di estrazione politica degli ambienti dell’estrema destra) ha così ricostruito la genesi della LEGA MERIDIONALE:

1. L’iniziativa della costituzione di quella lega fu del Gran Maestro siciliano Giorgio PATERNO, massone di Piazza del Gesù (che poi risultò essere legato a Licio GELLI), mentre gli altri soci fondatori furono l’avv. Egidio LANARI (originario di Roma), Donato CANNAROZZI (pugliese) e Alcide FERRARO (calabrese);

2. Vi furono numerosi incontri di LANARI e D’ANDREA con GELLI;

3. Ben presto si crearono contrasti fra il gruppo di LANARI e il gruppo facente capo a PATERNO' e a GELLI, del quale facevano parte anche personaggi ritenuti da LANARI e D’ANDREA legati ai “SERVIZI SEGRETI”, come VANNO Alessandro, e soggetti legati alla criminalità organizzata pugliese, come Vincenzo SERRAINO;

4. I contrasti derivavano dalla linea politica più spiccatamente separatista del gruppo facente capo a GELLI, nell’ambito di una strategia finalizzata a creare una contrapposizione con la LEGA NORD;

5. Tale battaglia politica interna alla LEGA MERIDIONALE si concretizzò nei contrasti sul mutamento della denominazione del movimento che GELLI e PATERNO' volevano mantenere in “LEGA MERIDIONALE CENTRO-SUD-ISOLE” e LANARI e D’ANDREA volevano modificare in “LEGA MERIDIONALE PER L'UNITA' NAZIONALE” (a voler così sottolineare la contrarietà all’opzione separatista);

6. In questa battaglia si erano inseriti alcuni significativi interventi su LANARI e D’ANDRE di personaggi palermitani, MASSONI e/o vicini a COSA NOSTRA: D’ANDREA partecipò ad incontri con Giuseppe MANDALARI, Giuseppe GRECO (figlio di Michele GRECO), Gaetano LUNETTA (massone palermitano, a suo tempo implicato nel golpe Borghese) e Salvatore BELLASSI (già responsabile della P2 in Sicilia ed implicato nelle indagini sul falso sequestro di SINDONA), incontri nei quali si era fatto intendere al D’ANDREA che un rafforzamento dello spirito separatista del movimento sarebbe stato gradito in Sicilia ed avrebbe garantito appoggi elettorali e finanziari;

7. Il fallimento del movimento politico era stato determinato dal permanere di questi contrasti e dal progressivo disimpegno, il successivo “boicottaggio” e la fuoriuscita dalla LEGA MERIDIONALE di tutto il gruppo gelliano.

*****

Le dichiarazioni del D’ANDREA, dunque, costituiscono una sostanziale conferma delle rivelazioni di Massimo PIZZA circa le origini della LEGA MERIDIONALE; il sorgere dei rapporti con Licio GELLI; la spinta “secessionista-separatista” che proveniva proprio da GELLI, dal suo gruppo e da una certa “massoneria siciliana” contigua alla criminalità organizzata; l’evoluzione del movimento; la spaccatura determinatasi con il gruppo “gelliano”; la fine di quell’esperienza politica.
E il D’ANDREA è stato piuttosto preciso e circostanziato sui fatti di interesse nel presente procedimento, su singoli episodi, incontri, luoghi e persone, così da porre in condizione l’Ufficio di svolgere attività di riscontro, che ha avuto per lo più esito positivo.
Per esempio, dei rapporti ed incontri con il GELLI, in relazione al comune percorso politico all’interno del nascente fenomeno del leghismo meridionale, vi sono molteplici conferme, comprese le annotazioni degli incontri, rinvenute nelle agende sequestrate allo stesso GELLI e le relazioni di servizio della DIGOS di Arezzo aventi ad oggetto le frequentazioni della sua villa da parte dei vari personaggi che ruotavano intorno alla LEGA MERIDIONALE, così come sono risultati confermati i legami con ambienti della criminalità organizzata pugliese di alcuni di questi soggetti.
Peraltro, dalle dichiarazioni di D’ANDREA non è emersa alcuna specifica conferma della natura “illecita” del progetto politico sottostante l’esperienza della LEGA MERIDIONALE. E del resto, la principale fonte di notizie di PIZZA sull’esistenza di un vero e proprio “piano eversivo-violento” – a dire dello stesso PIZZA – fu Carmelo CORTESE e non D’ANDREA.
Non può, d’altra parte, sottacersi che le dichiarazioni di D’ANDREA sulla genesi dei sui rapporti con PIZZA hanno gettato una luce ambigua sulla figura dello stesso PIZZA. Non fu infatti un malinteso – a dire del D’ANDREA – che determinò la sua convinzione che il PIZZA appartenesse ad una qualche struttura investigativa o informativa statale. Ma fu il PIZZA stesso a presentarsi ora come “ufficiale di polizia giudiziaria”, ora come “funzionario dei servizi”, arrivando al punto di chiedere al D’ANDREA di essere puntualmente informato di ogni sua convocazione da parte della Procura di Palermo, in modo tale da potergli fornire in tempo le notizie che D’ANDREA avrebbe, poi, dovuto riferire ai magistrati inquirenti nei suoi successivi interrogatori. Ed ha sorpreso non poco, altresì, la circostanza che, in data 27 dicembre 1999, un importante periodico nazionale di informazione ha riportato la notizia secondo la quale Massimo PIZZA, indicato come “collaboratore” della Procura di Palermo, era soggetto appartenente ai SERVIZI SEGRETI, addirittura capo del “celebre ufficio K” col nome in codice “Polifemo” (notizia peraltro destituita del tutto di fondamento, come comunicato dalla Direzione del SISMI a seguito di formale richiesta di questo Ufficio [In particolare nell’appunto allegato alla nota del 10/4/2000, a firma del Direttore del Servizio, si comunicava che non risultava l’appartenenza o la collaborazione con il SISMI di alcun Pizza Massimo, né la riconducibilità al medesimo del nominativo di copertura “Polifemo ”]).
Pertanto, certi dubbi sulla figura del PIZZA, piuttosto che diradarsi, si sono incrementati, anche alla luce di ulteriori emergenze: da alcune intercettazioni telefoniche è emerso, ad esempio, che egli, presumibilmente al fine di guadagnarsi la fiducia di LANARI e D’ANDREA, aveva loro riferito cose non vere, preannunciandogli prossime “clamorose” iniziative della Procura di Palermo fondate sulle sue dichiarazioni e sui documenti che i due gli avevano consegnato.
Sicché, alla luce di tale quadro, pur essendo innegabile la convergenza delle dichiarazioni di PIZZA con quelle dei collaboratori più accreditati finora esaminate, esse non appaiono dotate di sufficiente attendibilità, se non nella parte in cui risultano pienamente riscontrate. Il che può affermarsi soltanto per quella parte delle dichiarazioni integralmente confermate da D’ANDREA, quando queste ultime siano, a loro volta, riscontrate aliunde: in conclusione, soltanto le rivelazioni concernenti la genesi della LEGA MERIDIONALE e la controversa vicenda dei rapporti di quel movimento politico con Licio GELLI e la MASSONERIA (compresa quella siciliana), in merito alla quale – va segnalato – la versione di D’ANDREA appare, allo stato, solo parzialmente confermata dalla risultanze degli accertamenti svolti dalla D.I.A. [Nell’informativa D.I.A. n.3815/98 del 31/1/1998, infatti, sulla base della documentazione acquisita e delle pubbliche dichiarazioni al momento delle dimissioni di Gelli dalla Lega Meridionale , si perviene alla conclusione che Gelli “aveva tentato di operare una trasformazione della Lega del Lanari in direzione di un più marcato nazionalismo, senza riuscire nell'intento ” e non in direzione più spiccatamente secessionista, come sostenuto da D’Andrea].


3. Le risultanze su Licio GELLI

Riguardo alla posizione di Licio GELLI, va rammentato che già nell’informativa D.I.A. del 4 marzo 1994, cui si è fatto cenno in premessa, si segnalavano alcune sue “singolari” interviste rilasciate proprio nel periodo in cui divampava la strategia della

tensione del 1992-93.

Nel settembre del 1992 GELLI aveva rilasciato una intervista al settimanale “L’Europeo” (10.9.1992) nel corso della quale aveva, fra l’altro, dichiarato: “E’ da un pezzo che ci sarebbero tutte le condizioni per un colpo di Stato onde eliminare la teppaglia che ci sta rapinando. ……… In realtà, sa chi rappresenta l’unica speranza, in questo paese alla deriva? BOSSI. BOSSI che se davvero darà il via allo sciopero fiscale.. Eh bè: sarò il primo ad aggregarmi. D’altronde perchè dovrei pagar le tasse ?....”
Su Paese Sera del 3 agosto 1993, in un’intervista intitolata “Prevedo una rivoluzione”, GELLI individuava negli attentati dell’estate di quell’anno come la logica conseguenza dello stato di esasperazione in cui versava la popolazione oppressa da una classe politica corrotta e da un governo iniquo, responsabile di ingiustizie fiscali e della crescente disoccupazione. Secondo GELLI, infatti, si sarebbe trattato dei primi segnali di una ribellione montante provocata dal desiderio di accelerare il processo di ricambio della classe politica ed ogni ulteriore ritardo, unitamente al progressivo aumento dei disoccupati, sarebbe stato suscettibile di far degenerare l'insofferenza della popolazione in una autentica rivoluzione.
Si noti che nei suoi interventi pubblici e nelle sue interviste GELLI esprime concetti quali “l’esasperazione in cui versa la popolazione oppressa” e indica come via d’uscita quella di “accelerare il ricambio della classe politica corrotta e iniqua...”, argomenti che riecheggiano quelli formulati da RIINA nell’esporre, nel settembre del 1992, il piano eversivo e che così vengono riferiti dal collaboratore AVOLA: “il popolo esasperato sarebbe stato propenso ad appoggiare gli uomini che sarebbero scesi tempestivamente in campo, sbandierando a parole un programma di rinnovamento....”.
E sempre nella citata informativa D.I.A. del 4 marzo 1994 si coglievano certe “assonanze” fra la situazione verificatasi nel 1993 con altre situazioni degli anni passati: “sembra riproporsi un 'clichè' ben noto al Gran Maestro, già pianificato e posto in essere negli anni'70, quando, mediante i suoi contatti massonici - che gli consentivano di poter essere presente all'interno dei Servizi Segreti, dell'Arma dei Carabinieri e dei principali organismi pubblici, nonchè in ambienti del 'sistema criminale', supportato da personaggi come l'Avv. Filippo DE IORIO, i fratelli Alfredo e Fabio DE FELICE, Paolo SIGNORELLI, Stefano DELLE CHIAIE e tanti altri, massoni e non, gravitanti di massima nell'area della destra eversiva - aveva ordito un organico piano di assalto alle Istituzioni democratiche, finalizzato comunque, al di là dell'apparente risultato politico, all'accrescimento del suo già notevole potere personale.” E venivano pertanto richiamate, fra l’altro, le dichiarazioni degli estremisti di destra ALEANDRI Paolo e CALORE Sergio, rese negli anni '80 innanzi a varie Autorità Giudiziarie ed alla Commissione Parlamentare sulla Loggia Massonica P2, relative ai progetti di golpe nei quali GELLI aveva già tentato di realizzare trasformazioni istituzionali nel paese in senso spiccatamente conservatore, anche avvalendosi della convergenza di interessi con altri ambienti, come quello della destra estrema, al fine ultimo di accrescere il proprio potere di ricatto e di controllo nei confronti di ambienti politico-economici coinvolti nel tentativo eversivo ovvero intimoriti da esso.

Sono stati inoltre acquisiti atti che confermano l’esistenza di rapporti, risalenti nel tempo, fra Licio GELLI e vari ambienti della criminalità organizzata.
Con riferimento a COSA NOSTRA, un collaboratore “storico” come Marino MANNOIA ha riferito di aver saputo da Stefano BONTADE e da altri uomini d'onore della sua famiglia che uomini di spicco dello schieramento corleonese (in particolare Pippo CALO', RIINA Salvatore e MADONIA Francesco) si avvalevano di Licio GELLI per i loro investimenti a Roma. Secondo MANNOIA, GELLI era il "banchiere" di questo gruppo, così come SINDONA lo era stato per quello di BONTADE Stefano e di INZERILLO Salvatore.
L’esistenza di un rapporto fra GELLI e i corleonesi è stato sostanzialmente confermato dalla ben più ampia ricostruzione fornita da Gioacchino PENNINO, il quale ha riferito dei pregressi rapporti tra GELLI e BONTADE e dalla frattura che si determinò nel 1979 quando GELLI non appoggiò il progetto di golpe separatista caldeggiato da BONTADE, per l’organizzazione del quale Michele SINDONA fece il noto viaggio in Sicilia in occasione della simulazione del suo rapimento [La circostanza è stata confermata anche da Angelo Siino che partecipò ad un pranzo con Licio Gelli in Sicilia nel corso del quale Gelli espresse tali opinioni contrarie al progetto di Sindona (cfr. deposizione di Siino al processo Andreotti in data 17/12/1997)].
Secondo PENNINO, GELLI ebbe invece un ruolo nella riorganizzazione del progetto di ristrutturazione dei rapporti fra mafia e massoneria organizzato dai corleonesi (in particolare da Bernardo PROVENZANO) con la costituzione del TERZO ORIENTE, e cioè un’organizzazione massonica ancora più “coperta” nata per “riciclare” l’esperienza della P2 dopo la scoperta degli elenchi a Castiglion Fibocchi e dopo la morte di BONTADE, fatti che - come è noto - si collocano a poco più di un mese di distanza tra loro (17/3/1981 e 23/4/1981).
Sono inoltre accertati rapporti (telefonate, incontri a Roma e ad Arezzo, appuntamenti annotati nell’agenda di GELLI e utenze telefoniche annotate nella sua rubrica personale) di Licio GELLI con Luigi CAPUANO, gioielliere romano strettamente legato fin dagli anni ’70 alla criminalità organizzata napoletana (Michele ZAZA), romana (“BANDA DELLA MAGLIANA”) e ad esponenti di spicco di Cosa Nostra, ed in particolare ad Alfredo BONO, uomo d’onore della famiglia di S. Giuseppe Jato e grosso trafficante di stupefacenti.
Peraltro, dalle indagini della D.I.A. risultano anche compresenze alberghiere di Licio GELLI ed Alfredo BONO presso l’hotel Ambasciatori (residenza abituale romana di Licio GELLI) nell’estate ’91.
Conferme, ancora, dei rapporti di Licio GELLI con la criminalità organizzata legata a COSA NOSTRA ed in particolare a Pippo CALO', sono emerse anche dalle dichiarazioni di alcuni collaboratori provenienti dalla “BANDA DELLA MAGLIANA” (...).
In ordine, poi, ai rapporti di GELLI con ambienti della criminalità organizzata pugliese, ed in particolare della SACRA CORONA UNITA, si rinvia alle dichiarazioni di Marino PULITO e ai riscontri acquisiti in quell’ambito (...).
Non meno cospicua è la mole degli elementi relativi ai rapporti di GELLI con la CRIMINALITA' ORGANIZZATA CALABRESE, in particolare contenuti nelle dichiarazioni rese dal teste Bruno VILLONE al P.M. di Catanzaro nell’ambito di un’indagine sulle LOGGE MASSONICHE locali, dalle quali sono emersi altresì elementi di prova circa i rapporti fra Licio GELLI e Stefano DELLE CHIAIE. Il VILLONE, vigile urbano presso il comune di Vibo Valentia, ha infatti riferito di avere personalmente notato, dall’agosto del 1989 in poi, il GELLI recarsi di frequente a Vibo Valentia, assieme al DELLE CHIAIE (ed il GELLI, in particolare, frequentare fino al 1993 la sede di una loggia massonica locale). Ed in effetti, le indagini successivamente espletate hanno confermato la frequentazione di DELLE CHIAIE di un’emittente televisiva locale avente sede a Vibo Valentia.
Va, poi, segnalato che dei rapporti di Licio GELLI con la CRIMINALITA' ORGANIZZATA CALABRESE ed in particolare con il piduista Carmelo CORTESE ha riferito Massimo PIZZA (...). E di tali rapporti vi è riscontro nelle annotazioni dei numeri telefonici del CORTESE rinvenuti nelle agende sequestrate a Licio GELLI, acquisite agli atti in copia.

 

4. I rapporti fra le leghe meridionali e la LEGA NORD

Anche dall’analisi delle origini e dell’evoluzione della LEGA NORD e dei suoi rapporti col fenomeno delle leghe meridionali sono emersi alcuni riscontri all’ipotesi investigativa, oggetto del presente procedimento, ed in particolare alle dichiarazioni di Leonardo MESSINA.
La LEGA NORD nasceva nel mese di novembre 1989 come federazione di una serie di movimenti leghisti, tutti costituiti successivamente alla LEGA LOMBARDA di Umberto BOSSI (1983), fatta eccezione per la LIGA VENATA (già costituita nel 1980). Aderivano, oltre alla LEGA LOMBARDA che fungeva anche da elemento catalizzatore, i seguenti movimenti: UNUION LIGURE di Bruno RAVERA, PIEMONT AUTONOMISTA di Gipo FARASSINO, LIGA VENETA di Franco ROCCHETTA, LEGA FRIULI di Mario PRATA, LEGA TRIESTE di Edoardo MARCHIO e Fabrizio BELLONI, LEGA EMILIANO-ROMAGNOLA, ALLEANZA TOSCANA di Tommaso FRAGASSI. Tra questi movimenti, degno di attenzione è soprattutto il movimento denominato ALLEANZA TOSCANA, divenuto poi LEGA TOSCANA, movimento legato al mondo massonico e venuto in contatto con soggetti appartenenti alla destra eversiva (come TERRACCIANO Carlo, già appartenente all'organizzazione di estrema destra TERZA POSIZIONE, più volte inquisito per reati associativi legati all'eversione di estrema destra e legato ad associazioni gravitanti nell'orbita dell'integralismo islamico, il quale è in seguito entrato a far parte del movimento leghista di Stefano DELLE CHIAIE).
Va, inoltre, segnalato che, fin dalle origini del MOVIMENTO LEGHISTA, ed in particolare all’interno della LIGA VENETA, è presente una significativa componente legata agli ambienti dell’EVERSIONE NERA, che sfocieranno poi anche nell’esperienza delle LEGHE MERIDIONALI. Risulta, in particolare, che è stato candidato in alcune consultazioni elettorali nelle liste della LIGA VENETA l’avv. Stefano MENICACCI, con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema, legale di Stefano DELLE CHIAIE, ma anche del leader della LIGA VENETA Franco ROCCHETTA.
Va segnalato, in proposito, che la D.I.A. nell’informativa del D.I.A. n. 3815/98 del 31/1/1998, sulla base dell’analisi della documentazione acquisita, giunge alla conclusione che l’avv. MENICACCI è “l’elemento di collegamento principale” fra la LIGA VENETA e le iniziative leghiste centro–meridionali sviluppatesi negli anni ’90.

Nella storia della LEGA NORD possono distinguersi tre periodi.

Il primo periodo (1983-1987), coincidente con la nascita della LIGA VENETA, riflette la crisi delle basi del consenso della DC nelle aree bianche e le incertezze che pervadono la struttura sociale della piccola impresa, centro dello sviluppo economico degli anni settanta. L’offerta politica leghista si esprime attraverso una rivendicazione di segno etno-regionalista. L’autonomia della regione viene cioè richiesta in nome dell’esistenza della “nazione veneta”. Si tratta, tuttavia, di una proposta che soddisfa solo in piccola parte la domanda della società, come viene messo in luce dalla declinante parabola dei consensi che riceve. Dalle indagini della D.I.A. è emerso che proprio all’interno della LIGA VENETA si annoverano le maggiori e più significative presenze di personaggi legati alla MASSONERIA (e segnatamente a Licio GELLI) ed agli ambienti della destra estrema, molti dei quali vicini a Stefano DELLE CHIAIE e all’avv. Stefano MENICACCI [Nell’informativa D.I.A. n. 3815/98 del 31/1/1998 si evidenzia che queste presenze risalgono alle origini della Liga Veneta : fra gli altri personaggi provenienti da tali ambienti, si segnala che l’avv. Filippo De Jorio, iscritto alla P2, già implicato nel golpe Borghese con Gelli, ed attivista politica nel Partito dei Pensionati (così come l’avv. Menicacci) venne eletto nelle liste della Liga Veneta in occasione delle elezioni del Consiglio regionale del Lazio del 12-13 maggio 1985].
Nel secondo periodo (1987-1990) il baricentro del movimento si sposta in Lombardia, per iniziativa della LEGA LOMBARDA e del suo leader, Umberto BOSSI. La proposta politica leghista ridimensiona l’idea di regione come “nazione” e valorizza, invece, quella di regione come “comunità di interessi”. La Lombardia diviene la terra in cui risiede e opera il “popolo dei produttori”, contrapposto allo “Stato centralista” e al Sud assistito. Il consenso elettorale registra una forte espansione dapprima in Lombardia, quindi in tutte le altre regioni del Nord.
Nel terzo periodo, la LEGA da aggregazione di leghe regionali diviene la LEGA NORD, federazione unitaria ispirata e guidata dalla leadership lombarda. In questo periodo (dal 1990 in poi) la LEGA NORD si propone come antagonista del sistema partitico e delle istituzioni tradizionali. Riesce, così, a canalizzare i consensi e a catturare i dissensi di ampi settori della società, divenendo, alle elezioni politiche del 1992, il primo partito nelle aree più industrializzate del Nord.
E’ in questo periodo che si verifica una importante trasformazione del programma originario grazie all’intervento di Gianfranco MIGLIO, che diviene l’ideologo della LEGA. MIGLIO ritiene che il neoregionalismo sia una cornice istituzionale non più adeguata, perché il contesto di riferimento - la regione - è troppo angusto. Sino a che i confini resteranno quelli attuali, il peso contrattuale delle regioni, nel conflitto con lo stato e con i partiti nazionali, risulterà inadeguato, teorizza.
La LEGA, o meglio BOSSI, si orienta di conseguenza: le leghe regionali, per iniziativa di quella lombarda che ne costituisce la componente egemone, lasciano così il posto alla LEGA NORD, la quale si presenta come il “partito anti-partiti”, l’antagonista del sistema politico tradizionale.
Questo percorso sfocia nel febbraio del 1991, data in cui la LEGA NORD celebra il suo primo congresso dopo la fusione nella LEGA NORD di tutte le leghe preesistenti e dove si ipotizza uno stato federale articolato in macro-regioni: il Nord, il Centro e il Sud. E si giunge a proporre una vera e propria secessione, sostenendo che l’estensione macroregionale rispecchia la necessità di misurarsi con lo “stato centralista”, essendo “la Repubblica del Nord l’unico rimedio per tagliare il nodo della partitocrazia centralista, corrotta e mafiosa”.
Peraltro, già dal 1990, BOSSI aveva iniziato a manifestare pubblicamente l’intenzione di estendere il progetto federalista della LEGA NORD anche alle regioni del Centro e del Sud Italia. E nel settembre 1990 veniva pubblicata un’opera di Gianfranco MIGLIO dal titolo: “Una costituzione per i prossimi trent'anni. Intervista sulla terza Repubblica”, ove si prefigurava la costituzione di tre macro regioni, la Padania, il Centro e il Sud, destinate a far parte di uno Stato federale.
Intanto, già dall’aprile 1990, per iniziativa di Cesare CROSTA, era iniziata l'attività della LEGA CENTRO e della LEGA SUD, entrambe aderenti alla FEDERAZIONE NAZIONALE DELLE LEGHE promossa dalla LEGA LOMBARDA, che raggruppava, per l'appunto, la LEGA NORDO, la LEGA CENTRO e la LEGA SUD [La Lega Sud venne costituita il 23 febbraio 1990]. Sia alla LEGA CENTRO che alla LEGA SUD facevano capo, a loro volta, numerose leghe regionali: LEGA CENTRO LAZIO, LEGA SUD SICILIA, LEGA SUD CALABRIA, etc.. 
Quasi contestualmente vennero costituiti i movimenti leghisti meridionali, già menzionati, riconducibili al gruppo di Stefano MENICACCI e Stefano DELLE CHIAIE, che anche pubblicamente anticipano di fare anch’essi riferimento alla LEGA NORD. Si avvia, insomma, un processo di unificazione dei vari movimenti disseminati sul territorio nazionale (in particolare fra quelli di CROSTA e quelli di MENICACCI) e nel corso dello stesso anno (1990) emerge con evidenza l’impegno dell’estremismo di destra in favore del leghismo centro-meridionale rappresentato da Cesare CROSTA, anch’egli peraltro proveniente da una militanza negli ambienti monarchici [Cfr. la ricostruzione contenuta nell’informativa D.I.A. n. 3815/98 del 31/1/1998, ove si evidenzia anche la partecipazione dell’on.Bossi, sempre nel 1990, ad alcune manifestazioni politiche organizzate da leghe costituite dall’avv. Stefano Menicacci (ad esempio il 6.12.1990 a Perugia in una manifestazione organizzata dalla Lega Umbra di Menicacci, che infatti confluì nella Lega Centro Umbria di Cesare Crosta].

Va detto, tuttavia, che alla fine del 1991 il gruppo di DELLE CHIAIE e MENICACCI sembra defilarsi dal progetto politico di CROSTA (ufficialmente coordinato con la LEGA NORD), per perseguire un altro e autonomo itinerario.
Infatti, in data 1 ottobre 1991, Stefano DELLE CHIAIE fondò con Adriano TILGHER [Adriano Tilgher, uno dei leader di Avanguardia Nazionale ed elemento carismatico nell'ambito dell'estrema destra, è sempre stato legato a Stefano Delle Chiaie e risulta aver fatto parte anche della P2 (...)] la “LEGA NAZIONAL POPOLARE”, che fra gli iscritti annoverava lo stesso Stefano MENICACCI e numerosi personaggi provenienti dalle leghe costituite nel 1990 dal medesimo gruppo nell’Italia centro-meridionale, per lo più provenienti dalla destra estrema (come il noto Giancarlo ROGNONI, leader negli anni ’70 del gruppo “LA FENICE” di Milano e poi di “ORDINE NUOVO”) [Si ricorderà che di “Ordine Nuovo ” facevano parte anche Pietro Rampulla, condannato per la strage di Capaci, e Rosario Cattafi, indagato nel presente procedimento...]. Ed il 5 gennaio del '92 , venne creata una nuova aggregazione di vari movimenti denominata "LEGHE DELLE LEGHE", ove confluirono varie formazioni di ispirazione leghista-indipendentista costituitesi nell'Italia centro meridionale, fra le quali la LEGA NAZIONAL POPOLARE di Stefano DELLE CHIAIE e la LEGA ITALIANA del gruppo gelliano, ufficialmente guidata da Domenico PITTELLA.
Il nuovo movimento si impegnò poi nella campagna elettorale del 1992, con esiti – tuttavia – poco apprezzabili, tanto che l’anno successivo il movimento assunse la nuova denominazione “ALTERNATIVA NAZIONAL POPOLARE”, sostanzialmente rinunciando al vecchio progetto meridionalista.
Ricostruita così nelle linee generali l’evoluzione politica ed ideologica della LEGA del NORD, in parallelo con la rassegna cronologica delle iniziative politiche del gruppo GELLI – DELLE CHIAIE dal 1991 al 1993, ben si comprende che il progetto di questi gruppi era quello di riprodurre al Sud lo stesso itinerario formativo della LEGA del NORD. Prima, la costituzione di una serie di leghe regionali e poi, la loro fusione in un unico soggetto politico, la LEGA DELLE LEGHE che doveva presentarsi come l’equivalente al Sud della LEGA NORD.
Quanto ai motivi di tale scelta politica, occorre considerare che nel 1991 la LEGA NORD appariva in continua ascesa elettorale e, quindi, come l’ago della bilancia di qualsiasi futura coalizione governativa. Sicché la LEGA NORD, coadiuvata da un eventuale analogo successo elettorale della LEGA SUD, poteva certamente apparire in grado di imporre la riforma dello stato in senso federalista.
D’altronde, l’indirizzo e le finalità dell’attivismo politico di GELLI vennero da lui personalmente esplicitate in un’intervista, rilasciata nel settembre del 1992, nell’ambito della quale egli indicò BOSSI come l’unica speranza; espresse il proprio disprezzo per i vertici politici del tempo (“la teppaglia che ci sta rapinando”); auspicò un colpo di stato per eliminare tali vertici; lamentò che non vi erano più veri militari per realizzare tale colpo di stato, del quale - a suo dire - vi sarebbero state pure le condizioni; indicò in BOSSI e quindi nella LEGA NORD l’unica via di uscita, manifestando la propria adesione allo sciopero fiscale, prodromo della secessione.
E in alcune interviste successive GELLI rilanciò la protesta antipartitica qualificando la classe politica come corrotta e iniqua e ribadendo che tale classe doveva essere eliminata.
La LEGA DELLE LEGHE del gruppo gelliano, dunque, non si presentava come movimento antagonistico della LEGA del NORD ma, anzi, ne faceva proprio il programma e i contenuti ideologici, presentandosi come l’attore politico in grado di pilotare al Sud il programma di divisione dell’Italia in macroregioni.
Il progetto finale, come si è accennato, era quello della divisione del paese in due o tre macroregioni, con statuti di Stati autonomi, in un Italia federata destinata a perdere la propria identità nazionale e ad essere attratta al Nord sotto l’influenza della Europa del Nord e al Sud sotto l’influenza dei paesi del Nord Africa (Libia).
Ed è ben comprensibile che tale progetto facesse gola anche alle organizzazioni criminali. La frammentazione del paese in stati federali avrebbe consegnato il Sud all’egemonia del sistema criminale, e ciò anche grazie anche alla regionalizzazione del voto e all’introduzione del sistema uninominale che esaltavano le potenzialità di condizionamento delle votazioni da parte delle organizzazioni mafiose e delle lobbies criminali.


Come anticipato vi sono poi gli elementi che emergono dall'indagine dalla Procura di Aosta “PHONEY MONEY”. Questa svela scenari talmente ampi che non può passare inosservata e che vedrà muoversi pezzi da novanta nel tentativo di smorzarla, sino a renderla innocua. Anche in questo caso si parla degli Novanta. Anche in questo caso i fatti sono noti da tempo e svelano un intreccio con l'allora vertice della Polizia, PARISI, uomo forte del Viminale, con il faccendiere della Finanziaria della LEGA NORD.


Le risultanze dell’indagine “Phoney Money”

Altre risultanze di rilievo nel presente procedimento sono emerse nell’ambito dell’indagine svolta dalla Procura della Repubblica di Aosta (alcuni atti della quale sono stati acquisiti dall’Ufficio) sulla figura di Gianmario FERRAMONTI, faccendiere arrestato nel ’96 perché ritenuto il principale artefice di una colossale truffa internazionale.
E’ invero emerso che il FERRAMONTI, già amministratore della “PONTIDA FIN.” (società finanziaria della LEGA NORD) ed esponente della LEGA NORD fin dal 1991, era, da una parte, uno stretto collaboratore del professor Gianfranco MIGLIO e, dall’altra, al centro di una rete di relazioni con esponenti di spicco della MASSONERIA italiana ed internazionale ed ambienti dei servizi italiani e stranieri. Emergenze che quindi costituiscono un sorprendente riscontro alle rivelazioni di Leonardo MESSINA sull’esistenza di rapporti fra la LEGA NORD, in particolare il professor Miglio, ed ambienti della MASSONERIA rappresentati da Licio GELLI.
Da tale inchiesta è emerso che il FERRAMONTI aveva ottime “entrature” negli ambienti dei SERVIZI italiani e stranieri, tanto da essere ritenuto da molti un uomo legato alla C.I.A. o comunque ad ambienti dei SERVIZI (...). Ed è risultato inoltre certamente in rapporti con esponenti di rilievo della massoneria, fra i quali Iginio DI MAMBRO.
Iginio DI MAMBRO, chiamato affettuosamente “papà” da FERRAMONTI nel corso delle telefonate intercettate, è risultato ricoprire un grado elevato della MASSONERIA di Piazza del Gesù (secondo FERRAMONTI farebbe parte della massoneria americana) ed essere in contatto con varie organizzazioni italo-americane, nonché con gli ambienti più disparati: da Enzo DE CHIARA (di cui si dirà oltre) all’ex-agente del SISDE Roberto NAPOLI (quello che rivelò l’esistenza del c.d. “dossier Achille”, attività di dossieraggio sull’allora P.M. di Milano Antonio Di Pietro), dai massimi esponenti nazionali della LEGA NORD ad alcuni personaggi siciliani di spicco della massoneria (fra i quali il Principe ALLIATA di Montereale ed il già citato Giorgio PATERNO', fondatore con LANARI della LEGA MERIDIONALE).
Significativi, poi, i rapporti di FERRAMONTI con Enzo DE CHIARA, indicato da numerosi testi (fra cui il Prefetto Umberto Pierantoni) come emissario della C.I.A. e già “consulente” della Casa Bianca; ritenuto da alcuni testi esponente della MASSONERIA americana e certamente appartenente all’Ordine dei Cavalieri di Malta; in Italia alloggiava all’Hotel Ambasciatori - lo stesso di Licio GELLI - ed è certo che si conoscesse con quest’ultimo, come dimostra la sua agenda in sequestro; esponente della associazione italo-americana N.I.A.F, anch’egli in rapporti con vari esponenti della LEGA, a partire dalla stessa epoca di FERRAMONTI (‘90-‘91).
Il FERRAMONTI è risultato inoltre essere in rapporti con personaggi contigui alla CRIMINALITA' ORGANIZZATA: in particolare, è stato “socio” di tale Girolamo SCALESE, in contatto – a sua volta - con la ‘NDRANGHETA.
Peraltro, FERRAMONTI nelle sue dichiarazioni, oltre ad attribursi il merito di avere contribuito all’accordo di FORAZA ITALIA con AN e con la LEGA per le elezioni del 1994, è stato fra gli organizzatori dell’incontro (confermato dagli altri partecipanti) che si svolse presso un hotel di Roma, prima della formazione del Governo BERLUSCONI del ‘94, avente ad oggetto l’assegnazione del Ministero dell’Interno alla LEGA: all’incontro parteciparono, con FERRAMONTI, l’allora Capo della Polizia Vincenzo PARISI, Enzo DE CHIARA, l’on. Umberto BOSSI e l’on. Roberto MARONI (poi effettivamente nominato Ministro). E prima d’allora, il FERRAMONTI era stato protagonista di un’altra vicenda, certamente inquietante: nel novembre del 1993, si era rivolto ad Enzo DE CHIARA perché vi fosse un intervento “americano” per “congelare” un progetto del governo Ciampi di ristrutturazione dei Servizi di Sicurezza e il paventato affidamento al prof. Pino Arlacchi di un incarico governativo di controllo dei Servizi di Sicurezza (...). 

 

Negli Atti dell'inchiesta "SISTEMI CRIMINALI" vi è anche il capitolo “L’indagine su “Sicilia Libera”:

Nell’ambito di altro procedimento penale specificamente concernente i responsabili del movimento “SICILIA LIBERA” sono stati acquisiti ulteriori riscontri all’ipotesi ricostruttiva oggetto del presente procedimento.
Come si è già accennato, è stato soprattutto il collaboratore Tullio CANNELLA a fornire un contributo decisivo per chiarire l’intera vicenda della genesi di questa formazione politica e dei suoi rapporti con COSA NOSTRA.
CANNELLA ha, in particolare, riferito che essa nacque principalmente per iniziativa di Leoluca BAGARELLA che aveva intenzione di fondare un soggetto politico nuovo controllato direttamente da COSA NOSTRA, in quanto l’organizzazione mafiosa era stata tradita dai politici che aveva appoggiato in precedenza, i quali “si erano presi i voti e non avevano mantenuto le promesse”. E ha spiegato inoltre che la nascita del nuovo soggetto politico era inserita in un progetto più ampio che contemplava il raccordo del movimento siciliano con altre analoghe formazioni di ispirazione autonomista-secessionista del Meridione d’Italia: l’obiettivo finale era la separazione della Sicilia dal resto d’Italia al fine di tutelare meglio anche in sede politica gli interessi dell’organizzazione mafiosa.
Il CANNELLA, che curò personalmente tutte le fasi organizzative del nuovo movimento per conto di BAGARELLA, ha spiegato che l’iniziativa di quest’ultimo non era certamente solo nell’interesse proprio, ma di tutta l’organizzazione mafiosa, tant’è che egli agiva con il pieno consenso dei vertici di COSA NOSTRA, in particolare di Giovanni BRUSCA e dei fratelli GRAVIANO. Ma ha precisato, altresì, che il progetto legato a SICILIA LIBERA andò scemando nel corso del 1994, a causa del progressivo disimpegno, prima dei GRAVIANO e di BRUSCA, e poi dello stesso BAGARELLA, che avevano deciso di orientare l’appoggio di COSA NOSTRA verso un’altra formazione politica. BAGARELLA infatti disse esplicitamente a CANNELLA che alle elezioni del ’94 occorreva appoggiare FORZA ITALIA. In effetti, il Presidente della formazione politica palermitana Edoardo LA BUA cercò, dopo l’abbandono del progetto di SICILIA LIBERA, di riciclare le risorse mobilitate per quell’esperienza politica all’interno di FORZA ITALIA [Sul massiccio appoggio di Cosa Nostra verso candidati di “Forza Italia ” in occasione delle elezioni politiche del 1994 si vedano le convergenti dichiarazioni, in atti, di molti collaboratori di giustizia, fra cui Tullio Cannella, Angelo Siino, Giovanni Brusca, Maurizio Avola, Salvatore Cucuzza e Giuseppe Ferro]. Dagli accertamenti è emerso che La Bua è stato responsabile di un club palermitano del movimento FORZA ITALIA, denominato “FORZA ITALIA – SICILIA LIBERA”: dalla documentazione acquisita presso la sede di SICILIA LIBERA, risulta che il club fu certamente attivo nel 1994 e sino al febbraio 1995. Così come è emerso dalle annotazioni nelle agende e rubriche telefoniche sequestrate all’on. DELL'UTRI, uno dei principali artefici del progetto politico di FORZA ITALIA, un tessuto di relazioni che legava molti dei principali esponenti siciliani del nuovo movimento politico ai protagonisti della più recente stagione “meridionalista”: da Domenico ORSINI a Nando PLATANIA (...).
Le dichiarazioni di CANNELLA hanno trovato puntuali e molteplici conferme sia da vari collaboratori di giustizia, sia da alcune persone informate sui fatti, sia da numerose risultanze documentali ed accertamenti di polizia giudiziaria.
Giovanni BRUSCA ha confermato l’interesse suo e di Leoluca BAGARELLA per SICILIA LIBERA, gli obiettivi che COSA NOSTRA intendeva perseguire con la nuova formazione ed il fatto che essa si inseriva nella ristrutturazione dei rapporti con la politica che COSA NOSTRA aveva deciso di attuare dopo aver definitivamente “rotto” con i referenti tradizionali, rottura sanzionata con l’omicidio dell’on. Salvo LIMA.
Antonio CALVARUSO, molto vicino allo stesso CANNELLA e a Leoluca BAGARELLA, ha confermato le dichiarazioni di CANNELLA in ordine all’attività organizzativa preliminare alla nascita di SICILIA LIBERA ed al ruolo svolto da BAGARELLA e BRUSCA “dietro le quinte” della nuova formazione politica.
E l’imprenditore Giovanni IENNA ha, quanto meno parzialmente, confermato il ruolo di Tullio CANNELLA all’interno di SICILIA LIBERA e le dichiarazioni di quest’ultimo in ordine all’attività da lui svolta.
Sostanziali ammissioni ha fatto perfino LA BUA Edoardo, nominato Presidente del movimento politico palermitano il 13 novembre 1993 (la costituzione del partito avvenne in data 8 ottobre 1993), il quale, pur sostenendo di essere inconsapevole del ruolo rivestito da Leoluca BAGARELLA, ha confermato i suoi rapporti con il CANNELLA e l’attività da quest’ultimo svolta. E dall’agenda personale del LA BUA e dall’ulteriore documentazione sequestratagli in occasione della perquisizione effettuata presso la sua abitazione, sono emersi altri significativi elementi obiettivi di conferma delle dichiarazioni di Tullio CANNELLA in ordine alla rete di relazioni in cui era inserito il nuovo movimento politico.
Con particolare riferimento a quanto di specifico interesse nel presente procedimento, dalle indagini espletate è poi emerso con evidenza che dietro la costituzione del nuovo soggetto politico vi era un progetto di ben più ampio respiro che investiva non solo Palermo e provincia, bensì tutti i territori siciliani caratterizzati da cospicue presenze di COSA NOSTRA; e che nell’esperienza di SICILIA LIBERA si era trasfusa la stessa commistione, ravvisata nelle leghe meridionaliste costituite qualche anno prima da GELLI e DELLE CHIAIE, di personaggi di estrazione diversa, per lo più riconducibili a tre ambienti di provenienza: la CRIMINALITA' ORGANIZZATA, la MASSONERIA e l'ESTREMA DESTRA.
In provincia di Catania, il movimento SICILIA LIBERA venne fondato il 28 ottobre 1993 da Antonino STRANO (nominato segretario regionale del movimento nel novembre 1993 e poi candidato alla Presidenza della Provincia di Catania alle elezioni amministrative del 1994), dall’avv. Giuseppe LI PERA (difensore di fiducia di vari uomini d’onore della famiglia mafiosa di Catania fra cui Alfio FICHERA e SANTAPAOLA Salvatore, fratello di Nitto) e da Gaspare DI PAOLA (dirigente del gruppo imprenditoriale dei Fratelli COSTANZO). Nell’atto costitutivo si indicavano come obiettivi politici del movimento, fra gli altri, quello di “pervenire alla realizzazione di piccoli Stati, dotati di ampia autonomia, riuniti in uno Stato federale” e quello di trasformare la Sicilia in una "...isola felice del divertimento..." anche aprendo case da gioco.
Dagli accertamenti espletati proprio il segretario regionale Antonino STRANO è risultato essere al centro di una rete di relazioni che, da una parte, lo collegava con esponenti della criminalità organizzata, in particolare con i fratelli CAPPELLO Santo e Salvatore (...) e – secondo i collaboratori CANNELLA e PATTARINO – anche con Alfio FICHERA, uomo d’onore di spicco, rappresentante degli interessi di Nitto SANTAPAOLA all’interno del movimento SICILIA LIBERA [Così lo indicano i collaboranti Tullio Cannella e Francesco Pattarino] e, dall’altra, lo riconnetteva con la pregressa esperienza delle LEGHE meridionali “gelliane”, visto che egli era stato anche segretario provinciale della LEGA MERIDIONALE dell’avv. Egidio LANARI (si noti che Catania è stata una delle poche province italiane ad essere sede di una segreteria provinciale di quel movimento). Anche l’on. STRANO, peraltro, proveniva politicamente dalle file della destra tanto che, dopo il fallimento dell’esperienza “SICILIA LIBERA”, è confluito in ALLEANZA NAZIONALE.
Nel trapanese all’attività del movimento SICILIA LIBERA era direttamente interessato il rappresentante provinciale Vincenzo VIRGA, circostanza affermata prima da CANNELLA e poi confermata dal collaboratore SINACORI Vincenzo (reggente del mandamento di Mazara del Vallo) e soprattutto da MARCECA Giuseppe, il quale, chiamato in causa da CANNELLA come l’uomo politico incaricato dal VIRGA di organizzare SICILIA LIBERA nella provincia di Trapani, ha ammesso di avere svolto tale ruolo, confermando gli incontri con CANNELLA, con lo stesso VIRGA e con altri personaggi da questi delegati a curare gli “interessi politici” di COSA NOSTRA nella provincia. Dalle dichiarazioni di MARCECA è emersa anche la conferma del progressivo disinteresse di COSA NOSTRA verso SICILIA LIBERA registratosi nel corso del 1994: il VIRGA infatti, anche sulla base delle perplessità manifestategli dal MARCECA, si andò disimpegnando da quell’avventura politica e lo stesso MARCECA finì per confluire nelle file di ALLEANZA NAZIONALE.
Peraltro, tale diffusione sul territorio siciliano era inserita – così come dichiarato da CANNELLA - in un ben più ampio progetto di coordinamento del movimento politico con altre similari organizzazioni dell’Italia meridionale.
Ulteriori conferme in merito sono state acquisite con particolare riferimento alla riunione di Lamezia Terme. In particolare, MARCHIONI Giovanni, un imprenditore vicino alla LEGA ITALIA FEDERALE (articolazione romana della LEGA NORD) ha confermato la partecipazione a quella riunione dei rappresentanti di SICILIA LIBERA (Edoardo LA BUA per Palermo e Antonino STRANO per Catania), CALABRIA LIBERA (l’on. Beniamino DONNICI [N.d.A. il Beniamino DONNICI citato negli Atti, proprio nell'anno in cui la DDA procede ad archiviare l'inchiesta "SISTEMI CRIMINALI", così come anche il già citato Filippo DE JORIO, entrerà nell'Italia dei Valori – Lista Di Pietro. Se Filippo De Jorio, dopo una pubblica polemica contro la sua candidatura per la Camera dei Deputati come capolista nel proporzionale in Liguria, lasciò l'Idv, il DONNICI rimase saldamente uomo di fiducia di Antonio DI PIETRO e da questi nominato Commissario per l'Italia dei Valori di Genova a seguito di un accordo con Claudio Burlando finalizzato al sostegno della candidatura di Giuseppe Pericu alle amministrative per il Sindaco del 2002. Amministrazioni, quelle rette da Burlando e di Pericu con pesanti contiguità, come dimostratosi anche da fenomeni di corruzione e controllo degli appalti pubblici con epicentro nella famiglia MAMONE, indicata da tempo quale punto di contatto tra 'ndrangheta, politica e imprese. In quella città di Genova, dove, si evidenzierà di recente - per indagine della DDA di Reggio Calabria - esservi il consolidato rapporto del tesoriere della LEGA NORD, Francesco BELSITO, con gli uomini della cosca DE STEFANO, quale il Romolo GIRARDELLI], organizzatore del convegno, ed indicato da CANNELLA come persona vicina alla ‘NDRANGHETA), LUCANIA LIBERA e CAMPANIA LIBERA e ha confermato altresì quanto dichiarato da Cannella sulla partecipazione del Principe Domenico ORSINI, che si propose come candidato unico del futuro raggruppamento di tutte quelle organizzazioni.
Importanti, anche, le ammissioni dello stesso Principe ORSINI, anch’egli proveniente dalle file dell’estrema destra e transitato nella LEGA ITALIA FEDERALE, il quale ha confermato, oltre la sua partecipazione alla riunione di Lamezia Terme, anche i suoi rapporti con CANNELLA e l’offerta di candidatura alle successive elezioni nazionali che gli propose lo stesso CANNELLA. L’ORSINI ha ammesso inoltre di avere chiaramente intuito il tipo di interessi che Sicilia Libera intendeva tutelare, specialmente dopo che CANNELLA gli disse esplicitamente che “occorreva tenere un discorso all’Ucciardone per poi perorare la causa del noto 41 bis dell’Ordinamento Penitenziario” (l’invito – ha dichiarato MARCHIONI – era esplicito: “bisognava fare qualcosa per i carcerati”), sostenendo di essersi tirato indietro dal movimento non appena aveva compreso che dietro il movimento “si potesse celare qualcosa di illecito” (che ha poi esplicitamente indicato in “una entità misteriosa che non ho dubbi a chiamare MAFIA”). Successivamente anche ORISINI proseguì il suo impegno politico all’interno di ALLEANZA NAZIONALE.
Appare, inoltre, utile evidenziare che il Principe ORSINI, secondo le dichiarazioni di Tullio CANNELLA e del piduista Giorgio BILLI, è anch’egli massone ed in rapporti con Licio GELLI, che lo stesso ORISINI ha ammesso di avere conosciuto recandosi presso la sua villa di Arezzo.
Conferme sono emerse anche dalle indagini della D.I.A.. Si è accertato che già il 26 Settembre 1993 si è svolta, in Calabria, una riunione alla quale sono stati invitati anche rappresentanze dei Movimenti federalisti della Sicilia, della Puglia e della Campania, con l'impegno di mettere in moto un "processo di liberazione del Meridione", soprattutto attraverso la costituzione di una "LEGA DEI MERIDIONALI", primo passo per gettare le basi della fondazione di uno stato federalista. Successivamente, verso la fine del mese di ottobre 1993, si svolgeva a Napoli una riunione ristretta a cui partecipavano i responsabili dei principali movimenti meridionalisti (fra cui il calabrese Beniamino DONNICI, fondatore di CALABRIA LIBERA; BELMONTE Vincenzo, esponente della LEGA LUCANA, considerato referente politico di Umberto BOSSI, TEMPESTA Biagio, fondatore di ABRUZZO LIBERO, BIGLIARDO Roberto, già militante della LEGA NAZIONAL POPOLARE di Stefano DELLE CHIAIE). E, in esito alla “I Convenzione Nazionale dei Movimenti Meridionalisti”, tenutasi a Napoli nel gennaio 1994, venne fondato un nuovo movimento denominato "UNIONE MEDITERRANEA", alla presenza – fra gli altri – in rappresentanza dei rispettivi movimenti di: ORSINI Domenico (MOVIMENTO AUTONOMO del LAZIO), BELMONTE Vincenzo (MOVIMENTO AUTONOMO LUCANO), DONNICI Beniamino (MOVIMENTO CALABRIA LIBERA), DELL'OMO Antonino (LEGA ITALIA FEDERALE di Bari), GABBIANELLI Giancarlo (MOVIMENTO SOCIALE PER VITERBO), TEMPESTA Stefano (ITALIA FEDERALE Lazio), TEMPESTA Biagio (MOVIMENTO ABRUZZO LIBERO), STRANO Antonino (MOVIMENTO SICILIA LIBERA). Nel corso dei lavori veniva eletto Presidente della Convenzione l'On. STAITI DI CUDDIA, già aderente al M.S.I. e ad Alternativa Nazional Popolare (la formazione che faceva riferimento a Stefano DELLE CHIAIE).
Nei mesi successivi, tuttavia, l’operazione politica si rivelava sempre più velleitaria ed i risultati raccolti nelle successive elezioni amministrative e politiche, svoltesi nello stesso 1994, dai vari movimenti meridionalisti si rivelava assai modesto.
Il che corrisponde alla ricostruzione della vicenda che ha fornito Tullio CANNELLA, dall’ottica di COSA NOSTRA. COSA NOSTRA, ma si potrebbe dire l’intero sistema criminale, non “credeva” più nelle prospettive – a breve scadenza – di un progetto di tipo separatista. La ristrutturazione delle relazioni politiche avvenne con altri interlocutori, verso direzioni e nell’ambito di strategie diverse. Il tentativo di Leoluca BAGARELLA, e con lui di alcuni pezzi del sistema criminale, di riprendere il progetto originariamente elaborato nel 1990-91 si rivelò velleitario e fallimentare. Ed infatti, lo stesso BAGARELLA, vero “artefice” di SICILIA LIBERA, abbandonò il progetto per allinearsi alle diversa strategia adottata dagli altri capi di COSA NOSTRA, da PROVENZANO e dai GRAVIANO in particolare.



E forse ora è più chiaro che gli "imputati" dell'attuale procedimento perseguito dalla DDA di Palermo sulla c.d. "TRATTATIVA" son ben diversi e nulla hanno a che fare con quello che è emerso ed è stato riscontrato in questa (archiviata) indagine della DIA. La ragione per cui anziché procedere sui riscontri molteplici ed univoci emersi dall'indagine "SISTEMI CRIMINALI", i magistrati di Palermo hanno scelto di affidarsi al "vuoto" delle dichiarazioni di CIANCIMINO jr, così come ad intercettazioni (come quelle di Napolitano) che per stessa ammissione della Procura di Palermo non rappresentano manco mezza prova e nemmeno spunti investigativi, resta un mistero.

 

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