Castello, nuove accuse all'ex assessore Biagi Secondo i pm fece «pressioni indebite»
Le pressioni ci furono. E furono «indebite». Ecco perché andò semideserta la gara indetta dalla Provincia di Firenze che l'aveva bandita il 18 gennaio 2008 per trovare nuovi uffici. Ecco perché l'ex assessore Gianni Biagi, indagato per corruzione nell'inchiesta su Castello, ora viene accusato di turbativa d'asta. L'attuale funzionario della Regione, difeso dall'avvocato Pier Matteo Lucibello, sarà interrogato in Procura la prossima settimana: ammesso che voglia parlare, di cose ne avrà da spiegare. È questo l'ultimo sviluppo investigativo dell'inchiesta del Ros, coordinato dai pm Giuseppina Mione, Gianni Tei e Giulio Monferini. Tanto per essere chiari: il pool dei magistrati - creato dal procuratore capo Giuseppe Quattrocchi - è un «treno in corsa». Ha un unico biglietto d'andata: scoprire cosa sia accaduto allo sviluppo urbanistico della piana di Castello, circa 168 ettari di proprietà di Fondiaria-Sai tra l'autostrada A1, l'aeroporto e la ferrovia Milano-Roma.
UNA NUOVA FIRENZE - Ci doveva nascere una «nuova Firenze», fu sequestrata a novembre dello scorso anno. I carabinieri del Comando provinciale, nei giorni scorsi, hanno notificato all'ex assessore Biagi un «invito a presentarsi »: in quelle pagine si trovano il nuovo capo d'accusa (turbativa d'asta) e nuovi particolari sull'ipotesi di corruzione. Reato, questo, che si porta in dote anche le figure di Salvatore Ligresti, l'avvocato Fausto Rapisarda, Gualtiero Giombini e i progettisti Vittorio Savi e Marco Casamonti, poi arrestato: secondo l'accusa aveva pilotato una gara d'appalto indetta dal Comune di Terranuova Bracciolini relativa alla ristrutturazione di un edificio in zona Macelli. Anche a Firenze, secondo gli inquirenti, il meccanismo ha funzionato: fu Biagi, «mediante collusioni con gli imprenditori interessati alla partecipazione» alla gara, a mandare a monte l'appalto. Come? «L'unica offerta presentata si riferiva alla proposta di vendita della società (omissis, ndr)» relativa all'ex immobile Telecom, «privo di requisiti urbanistici richiesti». Risultato: la Provincia non dette seguito alla gara, «dichiarandosi disinteressata all'offerta ». Una conclusione investigativa non scontata, che arriva a oltre otto mesi di distanza e che è racchiusa in un frame investigativo ben preciso: era il 27 novembre scorso quando il Ros sequestrò, negli uffici della Provincia, l'intero iter amministrativo della gara sospetta. E l'allora presidente Matteo Renzi, che ora è sindaco di Firenze, disse: «Massima disponibilità nei confronti dei carabinieri. Valuteremo, semmai, se costituirci parte civile». Decisione, questa, che ora spetta ad Andrea Barducci. Gara deserta, dunque.
UN DOPPIO FILO - Grazie a un comportamento, quello di Biagi, che gli inquirenti legano - a doppio filo - alle «condotte corruttive che si articolavano nella fase di attuazione» della convenzione urbanistica stipulata il 18 aprile 2005 tra Comune e Consorzio Castello. Perché Biagi - il tecnico prestato alla politica che siglò le sue dimissioni con una lettera a Domenici, scrivendogli «mi hai chiamato tu 10 anni fa» - ha adottato «iniziative e provvedimenti in contrasto con gli interessi pubblici » di Palazzo Vecchio. Tutto ruota attorno al parco, proprio a quel parco che a Domenici faceva «cagare», come disse in un'intercettazione finita agli atti dell'inchiesta. Un parco ritenuto «parte essenziale» della convenzione, che doveva «essere realizzato dal Consorzio Castello (nei limiti di un costo complessivo di dieci milioni di euro)», scrivono i magistrati. Favorire Fondiaria per trarne benefici. Quali? Biagi impose al gruppo Ligresti che fossero utilizzati due progettisti di sua fiducia: Savi e Casamonti. E fece di tutto affinché «la Provincia si impegnasse a trasferire le proprie sedi istituzionali in area Castello, nonché ad acquistare dal Consorzio Castello le aree su cui avrebbero dovuto realizzarsi i relativi edifici pubblici».
PRESSIONI INDEBITE - I pm scelgono parole precise per chiarire il suo atteggiamento: Biagi ostacolò «le determinazioni del presidente della Provincia ( Renzi, ndr ), addottando iniziative per dissuadere gli imprenditori fiorentini potenzialmente interessati» al bando di gara. Biagi impartì «disposizioni affinché le prime concessioni relative alla realizzazione degli edifici di edilizia privata fossero rilasciate senza che alcuna concreta determinazione fosse stata assunta con riguardo alla realizzazione del parco pubblico». E indusse «i dirigenti dell'Ufficio urbanistica a rilasciare le prime concessioni edilizie per l'edificazione privata, in assenza della concreta adozione dei provvedimenti atti a realizzare le opere di urbanizzazione primaria nell'area Castello». Un giro di soldi stimato in 28 milioni quando si doveva fare, per la legge Merloni, una gara comunitaria. Non solo: Biagi consentì che «si desse esecuzione alla Convenzione anche nella parte in cui prevedeva di riconoscere al Consorzio la facoltà di scomputare dagli oneri di urbanizzazione i costi di realizzazione di urbanizzazione primaria». Castello, insomma: un investimento da un milione di euro finito sotto sequestro il 27 novembre scorso. Accade otto mesi fa. Sembra ieri.
Simone Innocenti