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Coniglio Superiore della Magistratura

C'è anche qualche magistrato, nella fauna dei furbetti & furboni dello scandalo Banditalia. Non i magistrati che doverosamente scoperchiano l'ennesima fogna. Ma i magistrati a cui furbetti & furboni si rivolgevano per coprirsi le spalle. Fiorani parla di giudici del Tar che aggiustano sentenze. Consorte chiacchiera con l'ex presidente del Tribunale milanese Francesco Castellano, trasversale quant'altri mai: regala le attenuanti generiche a Berlusconi, prescrivendo le tangenti Fininvest a un'altra toga, Renato Squillante; poi fa da consulente al capo dell'Unipol, garantendo sulla presunta «linea morbida» dei pm romani (dopo quattro mesi, la Procura capitolina s'è poi decisa a trasmettere il fascicolo a Perugia per la strana ipotesi di millantato credito).
Ieri poi Repubblica ha diffuso una conversazione intercettata tra l'ispettore-capo di Bankitalia, il superfazista Francesco Frasca, e il governatore Fazio. Frasca racconta che qualcuno «ha avuto un duro scontro col Procuratore generale. Gli ha detto che stavano facendo un disastro dal punto di vista economico di cui potevano essere responsabili. Allora lui ha avuto paura». E Fazio: «Bene, è arrivato a più miti consigli, va bene, va bene».
È il sogno di tutti i potenti: spaventare i magistrati con i «danni all'economia» che deriverebbero dalle loro inchieste e ridurli «a più miti consigli». Oggi come oggi l'impresa è piuttosto ardua. Non basta avere un magistrato amico, o intimidito. Ci si può mettere in tasca un procuratore generale, o un procuratore, ma l'azione penale resta un potere «diffuso», di cui è titolare ciascun pm.
Essendo i pm circa 1500, è impossibile controllarli o spaventarli tutti. C'è sempre qualcuno che sfugge al guinzaglio e alla paura. Ma durerà poco, pochissimo: col nuovo ordinamento giudiziario, che entrerà in vigore non appena l'apposito Castelli varerà i decreti attuativi della legge-delega, il procuratore capo tornerà a essere il dominus dell'ufficio, titolare unico dell'azione penale, come venti o trent'anni fa. E se un pm farà le bizze, potrà levargli l'inchiesta (oggi può farlo solo in casi eccezionali, motivandolo per iscritto).
Anche le avocazioni dei Pg diventeranno pane quotidiano. Basterà controllare poche decine di procuratori capi e generali, o due o tre nei posti chiave.
Quando la giustizia funzionava così, era una giustizia di classe. Infatti i processi a carico dei colletti bianchi venivano regolarmente avocati e trasferiti nei porti delle nebbie. Il caso petroli a Genova nel '73, a Milano Piazza Fontana a Milano, i fondi neri dell'Iri, le inchieste su P2 e Sindona, a Torino le schedature Fiat.
Nei suoi diari scritti nel 1981, due anni prima di morire ammazzato, il capo del pool antimafia presso l'ufficio istruzione di Palermo Rocco Chinnici racconta le gesta del procuratore generale Giovanni Pizzillo. Che gli raccomandava prudenza nel parlare di mafia, lo accusava di essere «un comunista» e naturalmente di «rovinare l'economia» con le indagini sui «galantuomini»: «M'investe in malo modo dicendomi che stiamo rovinando l'economia palermitana disponendo indagini a mezzo della Guardia di Finanza. Mi dice chiaramente che "devo caricare di processi semplici Falcone" in maniera che cerchi di scoprire nulla, perché i giudici istruttori non hanno mai scoperto nulla. Osservo che sono i giudici istruttori di Palermo hanno scoperto i canali della droga tra Palermo e gli Usa e tanti altri fatti di notevole gravità. Cerca di dominare la sua ira, ma non ci riesce. Pizzillo ha insabbiato tutti i processi di mafia. Mi dice che la dobbiamo finire, che non dobbiamo più disporre accertamenti sulle banche».
E poi c'è il procuratore Vincenzo Pajno, che «nella forma gesuitica che gli è congeniale mi ha telefonato per dirmi che era andato a trovarlo Nino Salvo indignato per le notizie di stampa» sulle telefonate intercettate fra i Salvo e il boss Tommaso Buscetta. Anche allora il guaio non era la finanza sporca: erano i magistrati, le intercettazioni, i giornali. Non solo per gli imputati, ma anche per certi magistrati.
Con la controriforma Castelli, c'è il rischio che i magistrati diventino tutti così. Si spera che, una volta al governo, il centrosinistra rada al suolo quella porcheria: senza distinguo, senza se e senza ma. Altrimenti dovremo concludere che la nostra classe dirigente, trasversalmente, è incompatibile con una magistratura indipendente. E forse anche con il codice penale.

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