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Se il ministro fa vacillare la legalità

La situazione che si è determinata nel porto di Genova è talmente surreale che solo un paradosso può coglierla appieno. Lo ha elaborato, ieri, Francesco Nerli, il presidente di Assoporti: «A questo punto mi sembra opportuno che il decreto sull’immunità delle quattro più alte cariche dello Stato venga esteso anche al presidente dell’Autorità portuale genovese»...


Commentava, Nerli, l’estemporanea e stravagante uscita di Claudio Scajola, il ministro delle Attività produttive, a margine della “48 ore del mare”. Richiesto di un parere sull’inchiesta della magistratura, che ha bloccato il pagamento di 1,7 milioni di euro alla Culmv di Paride Batini ritenendolo una truffa, Scajola ha dichiarato che «i soldi devono essere pagati e poi recuperati se eventualmente dati non secondo le norme e le regole previste». Più o meno gli stessi concetti ha espresso Claudio Burlando, il presidente della Regione Liguria, mentre davanti a Palazzo Ducale, sede del convegno che ha portato a Genova tutto il mondo dello shipping italiano, era distribuito un volantino in cui Cgil-Cisl-Uil minacciano che «le agitazioni [sulle banchine] proseguiranno sinché l’Autorità portuale non erogherà l’importo dovuto sulla base di quanto a suo tempo deliberato».

Si può capire, anche se non giustificare, che il sindacato ricalchi la logica abituale del ricatto e dell’intimidazione per non perdere consenso e contatto con la Compagnia unica. Non stupisce vedere Burlando come sempre impegnato nell’arzigogolato tentativo di tenere i piedi in troppe staffe: da una parte non scaricare platealmente il suo ex assessore ai Trasporti, l’attuale presidente dell’Autorità portuale Luigi Merlo; dall’altra rimarcare il suo antico sodalizio con il console Batini. È francamente eccessivo, tuttavia, assistere all’inusitato spettacolo di un ministro della Repubblica che istiga un rappresentante delle Istituzioni a violare le leggi dello Stato. Si può solo sperare che Scajola non sapesse di che cosa stava parlando.

Val la pena di ricordarglielo. I pm della procura di Genova hanno ipotizzato il reato di truffa per il pagamento di 1,7 milioni di euro alla Culmv deciso dal precedente presidente dell’Autorità portuale Giovanni Novi (accusato, per altre vicende, anche di turbativa d’asta, falso, concussione, istigazione alla concussione e abuso d’ufficio). Coimputati, oltre a Batini, sono il suo vice Paolo Marchelli, l’allora “port manager” Filippo Schiaffino, l’avvocato dello Stato Giuseppe Novaresi (che avrebbe redatto un parere di comodo e una falsa relazione su richiesta di Novi).

Il giudice del riesame ha ritenuto congrua la ricostruzione dei pm, tanto da far sequestrare la prima tranche di 800mila euro, versata il 30 giugno 2007. I magistrati inquirenti non hanno trovato però nulla nelle casse della Compagnia unica, tanto che è stato disposto il sequestro di beni personali di Novi per l’importo equivalente. Per evitarlo, l’ex presidente ha emesso una fidejussione.

La seconda tranche sarebbe dovuta essere pagata entro il 30 giugno scorso. Merlo non l’ha fatto per due ragioni: la prima, evitare un possibile danno all’Ente e quindi alle casse pubbliche; la seconda, per non incorrere almeno nell’accusa di favoreggiamento e forse in quelle di concorso in truffa e abuso d’ufficio. Se l’ipotesi accusatoria non fosse solida, non sarebbe stato deciso il sequestro dei beni personali di Novi.

È possibile che Scajola si sia fatto guidare solo dalla stima che nutre (e ha apertamente manifestato in più occasioni) per l’ex presidente dell’Autorità portuale. Ma questo è un conto, tutto un altro avvicinarsi pericolosamente a quell’area grigia in cui si potrebbe addirittura configurare l’istigazione a delinquere. Un’intemerata del genere (con Burlando in solerte appoggio) è un preoccupante sintomo dello stato confusionale in cui versa la politica italiana, che vacilla perfino sulla salvaguardia della legalità. Non è chiaro, infatti, in base a quale principio l’Autorità portuale dovrebbe comunque pagare la seconda tranche – «e poi si vedrà». Chi paga? Merlo e il segretario generale Titta d’Aste, per poi finire anche loro nel registro degli indagati in un porto che semmai ha un disperato bisogno di legalità (e normalità)? E che cosa si vedrà, dopo, se non le ennesime macerie istituzionali?

Lanfranco Vaccari
Direttore de Il Secolo XIX

Tags: claudio scajola, claudio burlando, inchiesta, porto, porto di genova, culmv, Novi, batini, marchelli

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