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ALCHEMIA | Dall'indagine al dibattimento - 1 | "Terra di Siena" Origine dell'inchiesta e inquadramento cosca GULLACE-RASO-ALBANESE

Dall'informativa "Terra di Siena" del Centro Operativo D.I.A. di Genova.

Questo Centro Operativo, dal mese di luglio 2008, ha svolto un’articolata attività investigativa, denominata Terra di Siena, conseguente ad un monitoraggio di aziende, operanti nei settori dell’edilizia, degli scavi e del movimento terra, riconducibili a personaggi contigui a sodalizi della criminalità organizzata denominata ‘ndrangheta che, mantenendo significativi legami con le zone di origine, operavano in Liguria, Piemonte, Lombardia, Lazio ed altre regioni italiane.

Nell’ambito degli accertamenti preliminari finalizzati ad una eventuale richiesta di applicazione della misura di sicurezza patrimoniale (ex art. 12 sexies della legge 356/92) a carico di FOTIA Sebastiano [1], gravato da condanne definitive per traffico di sostanze stupefacenti ed altri gravi reati, nonché sospettato di essere collegato alla cosca della ’ndrangheta facente capo alle famiglie PALAMARA-MORABITO-BRUZZANITI di Africo (RC), veniva rilevato che la società “SCAVO TER Srl”, di proprietà della famiglia FOTIA e la società “CHIARO Vincenzo & C. S.a.s.”, rappresentata da CHIARO Vincenzo, avevano costituito un’associazione temporanea d’imprese (A.T.I.) con lo scopo di riunire i  requisiti necessari per partecipare alle gare di appalto per le grandi opere di interesse nazionale.

Dall’esame della documentazione acquisita, emergeva che nella compagine societaria della “CHIARO Vincenzo & C. S.a.s.”, tra gli altri, era indicato, come socio accomandante, anche il pluripregiudicato DEMASI Girolamo, nato a Cittanova (RC) il 05.06.1948, contitolare al 33% dell’azienda. 

Da approfondimenti informativi sul conto del DEMASI, emergeva che questi era stato segnalato, tra l’altro, quale presunto affiliato alla cosca RASO-GULLACE-ALBANESE originaria del territorio di Cittanova (RC).

Ritenendo che tale associazione d’imprese potesse configurare un accordo tra le cosche MORABITO-BRUZZANITI-PALAMARA e RASO-GULLACE-ALBANESE avente quale finalità l’acquisizione ed il controllo di appalti pubblici indetti nel ponente ligure (ipotizzando, in tale contesto, anche l’impiego di denaro di illecita provenienza) veniva concordata ed avviata con la locale D.D.A. un’attività di indagine confluita nel procedimento penale nr.7736/08/21 per i reati ex artt. 648 bis e 648 ter  c.p. ed art. 7 della Legge 203/91.

Tale attività, conclusasi nel mese di giugno del 2009, ha permesso di acquisire nuovi elementi di rilievo investigativo che hanno consentito l’instaurazione, in data 15.06.2009 presso codesta D.D.A,  il  procedimento penale indicato in oggetto, per il reato di traffico di sostanze stupefacenti di cui all’art.74 D.P.R. 309/90 e, successivamente anche per  il reato di associazione mafiosa ex art. 416 bis c.p.. 

Pertanto venivano predisposte indagini tecniche (intercettazioni telefoniche ed ambientali) nei confronti di diversi soggetti tra cui GULLACE Carmelo [2] detto “Nino”, pluripregiudicato con condanne definitive per associazione a delinquere e detenzione illecita di stupefacenti in concorso, già imputato per associazione mafiosa, omicidio, porto abusivo e detenzione di armi, sequestro di persona e sottoposto alla misura di prevenzione  della sorveglianza speciale, in quanto indiziato di appartenere al clan RASO-GULLACE-ALBANESE di Cittanova (RC).

Le indagini condotte hanno permesso confermare l’esistenza ed attuale operatività della predetta cosca, rappresentata ai vertici da RASO Girolamo [3] detto “il professore” o “Mommo” (già condannato all’ergastolo, per lunghi  anni latitante, poi  detenuto e quindi posto, in data 24.4.2009, in regime di libertà per sospensione della pena a causa di gravi motivi di salute) e da RASO Giuseppe [4] detto “l’avvocato” (fratellastro di GULLACE Carmelo e cugino di RASO Girolamo).

E’ lo stesso GULLACE Carmelo che attribuisce al fratellastro RASO Giuseppe tale appellativo, nel rispondere ad una considerazione di RASO Diego, mentre si trovavano a bordo dell’autovettura Audi di proprietà del GULLACE ed al termine del viaggio di ritorno da Bombile dove erano stati, unitamente a gran parte della famiglia, in occasione della festività della “Madonna della Grotta”  (a riguardo vedasi paragrafo relativo alla riunione della Madonna della Grotta).

Si riporta il contenuto dell’intercettazione ambientale nr.11968 RIT 1066/09 del 01.05.2010, ore 23,05 tra RASO Diego e GULLACE Carmelo:

Diego: … troppo bello oggi… (si riferisce ai risvolti di una riunione della cosca di cui si parlerà in seguito);
Carmelo: … è un sistema… l’avvocato li riunisce spesso… li riunisce a tutti… capisci?... quando qua, quando sopra in montagna… li riunisce a tutti….

Alla medesima compagine associativa sono risultati , altresì, organici i fratelli GULLACE Francesco [5] detto “Ciccio” e GULLACE Elio [6].

In particolare, dall’articolata attività investigativa svolta, sono emersi concreti elementi che attestano come i sunnominati, unitamente ad altri, siano appartenenti ad una stessa organizzazione criminale di stampo mafioso attualmente dedita a  varie attività illegali (il recupero crediti,  l’impedimento del libero esercizio del voto elettorale, il condizionamento dell’esito di concorsi pubblici, la falsa fatturazione, il presunto traffico internazionale di stupefacenti e l’illecito smaltimento di rifiuti anche speciali ed altro) ed avente ramificazioni in Piemonte, Lombardia, Lazio e Calabria oltre che, probabilmente, in Francia.

Nello specifico l’attività tecnico-investigativa ha permesso di documentare l’esistenza e la permanenza tra gli indagati di un vincolo associativo, basato prevalentemente su legami di parentela, che supera l’accordo  per l’attuazione del più generale piano criminoso e che per la continuità, cripticità ed esclusività dei rapporti, evidenzia la loro consapevolezza dell’appartenenza ad un unico sodalizio i cui programmi, regole, gerarchie, tradizioni e ritualità sono infatti da tutti rigorosamente osservati.

Inoltre, l’attività tecnica di ascolto,  suffragata da ulteriori accertamenti, ha consentito  di delineare i contributi forniti dal singolo soggetto nell’attuazione del programma criminale del gruppo e di individuare le modalità organizzative poste in essere per l’attuazione di specifiche condotte criminose.

Quanto emerso dall’attività investigativa trova altresì riscontro nelle risultanze dell’operazione denominata “Il Crimine”  svolta, nell’ambito del procedimento penale nr.1389/2008 R.G.N.R.  della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Reggio Calabria a carico di complessivi 156 presunti affiliati alla ‘ndrangheta, tra cui il citato RASO Giuseppe detto “l’avvocato” che veniva tratto in arresto in data 13 luglio 2010 in quanto individuato quale organizzatore e dirigente del “locale” della ‘ndrangheta di Canolo (RC) (...).

In relazione alla citata società SCAVO TER srl si segnala come con ordinanza  nr.4403/10/21 R.G.N.R. e  nr. 875/2011 R.G.GIP emessa in data 8 maggio 2011  dal GIP del Tribunale di Savona (dr.ssa Fiorenza Giorgi; vds) sia stata disposta l’applicazione della misura cautelare in carcere nei confronti di:

  • FOTIA Pietro, nato ad Africo (RC) il 24.04.1969 e residente a Savona in via Privata Olivetta nr 48/3;
  • DROCCHI Roberto, nato a Savona il 01.02.1969 ed ivi residente in via Vincenzo Bellini nr 3;
  • BALACLAVA Andrea, nato a Cortemilia (CN) il 27.06.1947 e residente in Pezzolo Valle Uzzone (CN) Regione Valle nr 26 ;
  • TARICCO Mario, nato ad OVADA (AL) il 21.11.1944 e residente a Savona in via Tissoni nr 13 A.

Infatti, FOTIA Pietro (figlio di Sebastiano) in qualità di consigliere della ditta SCAVO-TER srl e con il concorso del fratello FOTIA Donato, è stato tratto in arresto per corruzione (art. 319-321 C.P.), falsità ideologica (art.479 C.P.), dichiarazione fraudolenta dei redditi (anni 2006,2007,2008) mediante uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 DL.vo 74/2000) nel quadro dell’indagine denominata DUMPER, condotta dalla GdF e scaturita da un controllo fiscale effettuato nella sede della stessa  società.

Gli accertamenti espletati hanno ricostruito un  sistema di dazioni di denaro, da parte del FOTIA Pietro, a favore di un funzionario DROCCHI Roberto, capo settore lavori pubblici del Comune di Vado Ligure, il quale evitava di bandire le gare di appalto, utilizzando strumentalmente, in assenza dei presupposti di legge, la procedura della “somma urgenza”, per assegnare l’esecuzione di opere pubbliche  alla ditta SCAVO TER.

I versamenti avvenivano ufficialmente sotto la copertura di presunte sponsorizzazioni di SCAVO TER a favore della squadra di basket “Riviera Vado Basket” di cui è Presidente il DROCCHI Roberto.

Questo “sistema di versamenti” veniva utilizzato anche da altro imprenditore, BALACLAVA Andrea, con le stesse finalità.

Il danaro incassato dalle emissioni delle false fatture da parte di SCAVO TER, veniva reinvestito da TARICCO Mario, emerso quale uomo di fiducia dei FOTIA, anch’egli tratto in arresto per riciclaggio (art. 648 bis c.p.).


[1]
 FOTIA Sebastiano, nato a Cardeto (RC) il 01.12.1945 e residente a Savona.

[2] GULLACE Carmelo, di Celestino e di PRONESTI’ Concetta, nato a Cittanova (RC) 06.01.1951, residente in Toirano (SV), via della Costa n 17.

[3] RASO Girolamo detto “professore” o “Mommo”, fu Antonino e fu ALBANESE Concetta, nato a Cittanova (RC) il 12.2.1949, domiciliato in Roma - via Laurentina nr. 1772,  pluripregiudicato per associazione a delinquere, omicidio, detenzione e porto abusivo di armi ed altro, già detenuto presso la Casa di Reclusione “REBIBBIA” in Roma, in regime di semilibertà in quanto dipendente dell’“Azienda Agricola di POLITI Rocco

[4] RASO Giuseppe detto “Peppe” o “l’avvocato”,  fu Rocco e di PRONESTI’ Concetta, nato a Cittanova (RC) l’1.10.1941, residente in Antonimina (RC), contrada S.Nicola s.n.c., pluripregiudicato per associazione mafiosa, omicidio, tentato omicidio e porto abusivo di armi da sparo e munizioni, associazione a delinquere ed altro, più volte sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale.  In data 7.3.2005, RASO Giuseppe è stato denunciato dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Gioia Tauro (RC), insieme ad altri, per concorso in omicidio doloso e porto abusivo e detenzione di armi da fuoco.
Lo stesso era già stato denunciato in precedenza per almeno altre tre volte per porto abusivo e detenzione di armi, tra cui una pistola “BERETTA” cal.7,65  vds. nota nr.Cat.125/RC/III Sett./Z di prot.261 datata 13.1.2009 del Centro Operativo DIA di Reggio Calabria. Attualmente detenuto  a seguito dell’esecuzione, avvenuta in data 13 luglio 2010, del decreto di fermo emesso dal Tribunale di Reggio Calabria poiché  indiziato del delitto di 416 bis c.p..

[5] GULLACE Francesco detto “Ciccio”, di Celestino e di PRONESTI’ Concetta, nato a Cittanova (RC) il 4.1.1949, pluripregiudicato per associazione mafiosa, associazione a delinquere, omicidio, rapina, sequestro di persona e recentemente scarcerato per fine pena per il delitto di associazione di tipo mafiosa.

[6] GULLACE Elio, di Celestino e di PRONESTI’ Concetta, nato a Cittanova (RC) il 29.11.1958, residente in Albenga (SV) ... , pluripregiudicato per reati contro la persona ed in materia di armi, ha precedenti penali per associazione a delinquere, omicidio, tentato omicidio, associazione mafiosa, traffico di stupefacenti (condannato ad anni 6 e mesi 4 dalla Corte d’Appello di Torino, con sentenza passata in giudicato il 30.9.2003) ed altri. In data 30.3.1983, fu arrestato all’interno del Palazzo di Giustizia di Torino, poiché trovato in possesso di una pistola e fu sospettato di accingersi ad attuare un attentato nei confronti di un magistrato, in concorso con il cugino PRONESTI’ Rocco, nato a Cittanova il 16.7.1951, pluripregiudicato, in atto recluso.

 


 

LA COSCA RASO-GULLACE-ALBANESE 

Dell’esistenza della cosca se ne parla sin dagli inizi degli anni settanta all’esplodere della sanguinosa faida di Cittanova. Diverse sentenze confermano la sua esistenza ed il coinvolgimento dei suoi partecipanti. 

a) Cenni storici.

Storicamente la porzione della provincia di Reggio Calabria compresa tra i Comuni di Cittanova, Molochio, S.Giorgio Morgeto, Anoia e Giffone ha sempre risentito della forte influenza  delle cosche ANSELMO, FACCHINERI e RASO-GULLACE-ALBANESE. Queste famiglie, con eccezione della prima, per anni si sono contese con le armi il predominio del territorio. Gli schieramenti hanno visto contrapposti, da una parte i FACCHINERI, appoggiati dai MARVASO e dai MONTELEONE e indirettamente dagli AVIGNONE di Taurianova, dall’altra parte la cosca RASO-GULLACE-ALBANESE e i DERACO, a loro volta sostenitori e fiancheggiatori dei più importanti clan PESCE  di Rosarno e PIROMALLI di Gioia Tauro.

L’origine della faida di Cittanova risale ai contrasti sorti nell’esercizio dell’attività della pastorizia: il 23 marzo del 1964, in località Zomaro, veniva ucciso Domenico GERACE, considerato esponente dei FACCHINERI. Per vendicarsi Luigi FACCHINERI uccideva ALBANESE Antonio, ritenendolo il presunto assassino del GERACE. Con gli inquirenti il FACCHINERI si giustificava dicendo di aver ucciso il rivale per uno sgarbo subito da questi in un bar per futili motivi.

La faida di fatto raggiungeva la massima recrudescenza negli anni ’70, dopo l’omicidio di Celestino GULLACE (padre degli indagati Carmelo, Francesco ed Elio); nel successivo decennio infatti si annoverano circa 32 omicidi oltre a numerosi tentativi.

Dopo un iniziale predominio dei FACCHINERI, ad avere la meglio è stato il clan RASO-GULLACE-ALBANESE, per cui i primi sono stati costretti a lasciare Cittanova trasferendosi in varie regioni d’Italia, in particolare Umbria, Toscana, Liguria, Piemonte e Valle d’Aosta.

Nello stesso periodo anche alcuni esponenti della cosca RASO-GULLACE-ALBANESE si sono trasferiti in località del centro-nord tra cui Pomezia (LT), Ceriale (SV), Toirano (SV), Villanova d’Albenga (SV), Ortovero (SV) e Orbassano (TO).

Inizialmente quest’ultimo gruppo si è dedicato alla commissione di gravi reati quali i sequestri di persona e le estorsioni oltre che, nelle zone di origine, alla ripartizione delle acque irrigue e del pascolo vagante.

Nell’estate del 1987, i FACCHINERI, nel tentativo di ristabilire la propria supremazia, scatenavano una nuova ondata omicida. Infatti, nella serata del 7 luglio, a distanza di pochi minuti venivano uccisi cinque  appartenenti al clan avverso: RASO Francesco e ALBANESE Raffaele in località Don Tommasi di Cittanova, mentre CATALANO Rocco, BRUZZI’ Girolamo (padre dell’indagato BRUZZI’ Camillo) ed AVIGNONE Giovanni nei pressi della villa comunale di Cittanova. Questa nuova fase della guerra definiva il ritorno in Cittanova dei FACCHINERI e provocava, tra il 1987 ed il 1991, ben 27 omicidi oltre a 9 tentativi.

I FACCHINERI riuscivano a riappropriarsi delle loro attività su parte del territorio, anche in virtù dell’attività di contrasto svolta dalle forze dell’ordine che, tra gli anni ’80 e ’90, attuavano una serie di arresti nei confronti di numerosi componenti della famiglia RASO. Di particolare rilievo, in data 13 giugno 1989, l’arresto proprio di RASO Girolamo (indagato in questo procedimento) già all’epoca ritenuto uno dei principali esponenti della cosca RASO-GULLACE-ALBANESE (allontanatosi due anni prima dal carcere di Rebibbia ove era detenuto a seguito della condanna definitiva all’ergastolo per il reato di omicidio ai danni di tre esponenti della famiglia dei FACCHINERI); nella medesima circostanza venivano tratti in arresto DERACO Vincenzo, PRONESTI’ Carmelo e GULLACE Francesco (fratello di Carmelo  entrambi indagati in questo procedimento) all’epoca tutti latitanti. All’atto dell’arresto, avvenuto in un rifugio di montagna sito sul versante tirrenico dell'Aspromonte fra Cittanova e Molochio, i Carabinieri rinvenivano undici fucili, tra cui uno definito “di precisione”, quattro pistole, migliaia di munizioni nonché giubbotti antiproiettile, parrucche e cannocchiali tanto da far ritenere che gli stessi fossero nell’imminenza di compiere un’azione di fuoco.

A seguito di tali episodi, la Corte d’Assise di Palmi con sentenza emessa in data 17 maggio 1991 (vds all. A in formato digitale) condannava i predetti RASO Girolamo, GULLACE Francesco, PRONESTI’ Carmelo e DERACO Vincenzo, unitamente ad altri esponenti della famiglia ALBANESE e al già citato BRUZZI’ Camillo (anche se successivamente sarà assolto per non aver commesso il fatto) per il reato di cui all’art. 416 bis c.p. (oltre che per i reati di detenzione illecita e porto abusivo di armi comuni e da guerra e relativo munizionamento) ovvero, come si legge nella principale imputazione di cui al capo a) della sentenza in esame: “per aver fatto parte di una associazione armata di tipo mafioso volta a commettere una serie indeterminata di omicidi in danno di esponenti della cosca avversa (FACCHINERI) ed acquisire così la gestione ed il controllo delle attività economiche locali (pastorizia, trasformazione e lavorazione degli inerti e del bitume), nonché a realizzare profitti ingiusti avvalendosi della forza di intimidazione, del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, allo scopo di acquisire il controllo ed il predominio esclusivo dei territori di Cittanova, potenziandone così l’egemonia mafiosa della cosca di appartenenza (RASO-GULLACE-ALBANESE)”.

Successivamente, in sede di appello, tale condanna verrà, per tutti, definitivamente riformata dalla sentenza della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria emessa in data 26.10.1993 (condanna divenuta irrevocabile in data 3.5.1994  vds all. A in formato digitale) che riqualificava  l’imputazione di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.) nel reato di associazione a delinquere semplice (art. 416 c.p.) non ritenendo comprovata l’esistenza “della forza di intimidazione del vincolo associativo …..” (pag. 20 della citata sentenza). 

E’ proprio in un simile contesto storico- associativo, fondato su forti vincoli familiari, che si collocano i fratelli GULLACE Carmelo e GULLACE Francesco, il fratellastro RASO Giuseppe detto “l’avvocato”, RASO Girolamo detto “Mommo” ed altri soggetti  (tra i quali BRUZZI’ Camillo)  come riconosciuto in varie sentenze sia di primo grado che di appello (alcune delle quali divenute irrevocabili) emesse, nel tempo, a loro carico.


b) Le sentenze riguardanti la cosca RASO-GULLACE-ALBANESE di Cittanova.

Al fine di meglio delineare l’aspetto strutturale e le dinamiche evolutive che hanno visto l’affermazione ed il consolidamento del consorzio criminale RASO-GULLACE–ALBANESE, nel territorio di Cittanova, di seguito vengono analizzate le sentenze, emesse in vari gradi di giudizio, riguardanti alcuni soggetti della cosca. 

I contenuti e le motivazioni di tali sentenze sono ritenuti utili per individuare le origini di quel vincolo associativo che ha legato, nel tempo, i componenti del sodalizio.

Sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Palmi  in data  07  dicembre 1978  (vds all. A in formato digitale).

Il procedimento riguarda i sottonotati imputati:

  • ALBANESE Francesco, nato a Cittanova il 19.04.1927, all’epoca latitante;
  • ALBANESE Rocco, nato a Cittanova il 21.01.1929, all’epoca in stato di detenzione presso il carcere di Volterra;
  • RASO Girolamo, nato a Cittanova il 12.02.1949, all’epoca latitante;
  • GULLACE Francesco, nato a Cittanova il 04.01.1949, all’epoca latitante;

tutti ritenuti responsabili, oltre ad altri reati, dell’omicidio di FACCHINERI Giuseppe e dei minori FACCHINERI Domenico e FACCHINERI Michele e del contestuale ferimento di altre due persone. Il fatto si è verificato in Cittanova (RC) in  data 13.04.1975.

Alcune testimonianze parlano della presenza di una quinta persona, con il compito di autista, che sarebbe riuscita a sottrarsi all’identificazione.

A indicarli quali autori dei crimini sono state GUERRISI Carmela (ferita nell’agguato) e STALTARI Carmela, madre dell’ucciso FACCHINERI Giuseppe.

 

La Corte, sin dall’inizio, ha rilevato che il grave fatto di sangue rientrava nella violenta contesa che opponeva la famiglia dei FACCHINERI, ai RASO– GULLACE–ALBANESE e, verosimilmente, costituiva la reazione  all’uccisione, avvenuta quindici giorni prima all’interno del carcere di Reggio Calabria, di RASO Giuseppe. La stessa Corte ricostruiva altresì  tutte le fasi  antecedenti al delitto, dal reperimento furtivo del veicolo utilizzato al concentramento in zona delle persone implicate.

Nello specifico :

  • ALBANESE Rocco, qualche giorno prima dei delitti, lasciava Pomezia dove si trovava in soggiorno obbligato per ignota destinazione, rendendosi irreperibile. Nel dibattimento dirà di essersi sottratto alle prescrizioni per timore di essere ucciso come il cognato RASO Giuseppe, e di aver soggiornato, per circa un mese, a Rovereto, ospite di FONTI Elena [7], presunta amante di RASO Antonino. In fase di dibattimento tale alibi veniva confutato;

  • GULLACE Francesco, all’epoca dei fatti,è risultato essersi allontanato da  Genova, dove soggiornava per lavoro, per recarsi a Cittanova. Immediatamente  dopo il grave fatto di sangue si rendeva irreperibile e veniva tratto in arresto  successivamente; 

  • ALBANESE Francesco e RASO Girolamo, all’epoca dei delitti, erano entrambi già latitanti.

Il collegio giudicante riteneva i predetti colpevoli di tutti i reati loro ascritti, condannandoli alla pena  dell’ergastolo.

Di seguito si riportano le successive fasi processuali della vicenda, fino al pronunciamento della Suprema Corte di Cassazione:

- in data 20.01.1983 la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria (vds A in formato digitale), in riforma della sentenza del 07.12.1978 della Corte di Assise di Palmi, assolveva ALBANESE Francesco, ALBANESE Rocco, RASO Girolamo e  GULLACE Francesco  per insufficienza di prove;
- in data 12.02.1987 la Corte di Cassazione (vds all. A in formato digitale), in accoglimento del ricorso del P.G., dichiarando assorbiti i ricorsi degli imputati, annullava la sentenza impugnata e rinviava per un nuovo giudizio alla Corte di Assise di Appello di Catanzaro;
- in data 23.12.1991 la Corte di Assise di Appello di Catanzaro (vds A in formato digitale) confermava la sentenza emessa il 07.12.1978 dalla Corte di Assise di Palmi e ordinava la cattura degli imputati;
- in data 15.06.1992 la Corte di Cassazione (vds A in formato digitale) annullava l’impugnata sentenza nei confronti di GULLACE Francesco, rinviandolo al giudizio di altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro e rigettava i ricorsi di ALBANESE Francesco, ALBANESE Rocco e RASO Girolamo nei confronti dei quali pertanto la sentenza diventava esecutiva;
- in data 27.01.1993 la Corte di Assise di Appello di Catanzaro (vds A in formato digitale) giudicando sul rinvio della Corte Suprema di Cassazione, riformava la sentenza del 07.12.1978 della Corte di Assise di Palmi, assolvendo GULLACE Francesco dai reati ascrittigli, per non aver commesso il fatto.

[7] FONTI Elena, nata a Cittanova (RC) il 13.03.1945, madre di RASO Giovanni detto” Rocco”, fratellastro di RASO Diego

 

Sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Palmi  in data  17 maggio 1991 (vds all. A in formato digitale).

La sentenza (relativa al procedimento penale nr. 5/90) riguarda i sottoelencati imputati ritenuti responsabili, oltre che di  altri reati, di aver fatto parte  di un’associazione armata di tipo mafioso (art.416 bis c.p.) volta a commettere una serie indeterminata di omicidi in danno di esponenti della cosca avversaria i FACCHINERI e ad acquisire così la gestione ed il controllo delle attività economiche locali  con l’aggravante per RASO Girolamo, GULLACE Francesco, DERACO Urbano ed ALBANESE Esterina di aver promosso, organizzato e diretto il sodalizio  criminoso, come indicato nel capo a): 

  • RASO Girolamo, nato a Cittanova il 12.02.1949, detenuto presso la Casa circondariale di Palmi;
  • GULLACE Francesco, nato a Cittanova il 04.01.1949, detenuto presso la Casa Circondariale di Ariano Irpino;
  • PRONESTI’ Carmelo, nato a Cittanova il 15.06.1965, detenuto presso la Casa Circondariale di Ariano Irpino;
  • DERACO Vincenzo, nato a Taurianova il 27.04.1968, detenuto presso la Casa Circondariale di Ascoli Piceno;
  • DERACO Urbano, nato a Cittanova il 16.06.1938, residente in Liguria;
  • GUERRISI Luigi, nato a Cittanova il 14.01.1950, ivi residente in via Pisacane;
  • DE RACO Fortunata, nata a Cittanova il 16.02.1962, ivi residente in via Pisacane nr.8;
  • MILETO Laura, nata a Cittanova il 11.12.1970, ivi residente in via Copernico;
  • D’AGOSTINO Sergio, nato a Cittanova il 06.03.1970, ivi residente in via Aldo Moro;
  • SCULLARI Giuseppe, nato a Cittanova il 07.07.1969, ivi residente in via Pascoli;
  • BERLINGERI Serafino, nato a Cittanova il 23.06.1968, ivi residente in via Liguria nr.11;
  • ALBANESE Esterina, nata a Cittanova il 01.09.1941, ivi residente in via Bramante nr.4;
  • GUERRISI Antonia, nata a Cittanova il 16.09.1944, ivi residente in via Toscana nr. 4;
  • BRUZZI’ Camillo, nato a Cittanova il 25.11.1955, detenuto presso la Casa Circondariale di Ascoli Piceno;
  • AUDINO Francesco, nato a Cittanova il 03.06.1971, ivi residente in via Taccone nr.13.

Nel corpo della sentenza vengono riportati i principali fatti di sangue, succedutisi nel tempo ed inquadrabili nella faida, che rappresentano un elemento conoscitivo rilevante per comprendere l’esistenza e la determinazione delle due distinte compagini criminali mosse l’una contro l’altra non solo dal desiderio di vendetta ma, anche, dallo scopo di assumere il controllo totale del territorio:

23.03.1964

viene ucciso GERACE Domenico da ALBANESE Antonio;

28.12.1970

viene rinvenuto cadavere sul greto di un torrente, GULLACE Celestino che dall’autopsia effettuata risulterà essere stato ucciso per soffocamento;

19.03.1971

ALBANESE Antonio, a sua volta, viene ucciso  all’interno di una osteria da FACCHINERI Luigi;

13.07.1971

viene ucciso PRONESTI’ Antonio, nipote degli ALBANESI;

27.01.1972

viene ferito ALBANESE Francesco;

27.04.1972   

viene ferito FACCHINERI Domenico;

13.05.1972   

vengono uccisi ALBANESE Raffaele e RASO Antonio;

16.08.1972

viene ucciso MAMONE Armando, coniugato con ALBANESE Maria Giuseppa;

27.12.1972

viene ferito FACCHINERI Giuseppe e nella circostanza rimane ucciso VENTRA Giovanni;

14.03.1973

viene ucciso SCARFO’ Arcangelo e ferito GALASSO Antonio, entrambi parenti dei FACCHINERI;

31.03.1975

dentro la casa Circondariale di Reggio Calabria viene ucciso RASO Giuseppe;

13.04.1975

vengono uccisi FACCHINERI Giuseppe ed i figli Michele e Domenico e vengono feriti il figlio Vincenzo e la moglie GUERRISI Carmela;

08.12.1975

viene ucciso MARVASO Marcello, cugino dei FACCHINERI;

20.01.1976  

viene ucciso MARVASO Luciano;

07.12.1976 

viene ucciso VINCI Francesco, per il cui omicidio viene condannato MARVASO Vincenzo, fratello dei predetti MARVASO;

16.02.1977

viene ucciso FACCHINERI Francesco;

10.05.1977

viene ucciso FACCHINERI Vincenzo;

11.09.1977

viene ucciso FACCHINERI Domenico;

17.09.1978

vengono uccisi RASO Michele, RASO Giovanni e IACOPINO Giuseppe;

21.09.1978

a Genova vengono uccisi GAGLIANO’ Giuseppe e FACCHINERI Luigi;

13.10.1978

viene ucciso DE RACO Giuseppe, cognato dei FACCHINERI;

01.10.1980

vengono uccisi i cugini FACCHINERI Rocco e DE RACO Mario

10.10.1980

vengono uccisi GALASSO Girolamo e GIOVINAZZO Giuseppe, affiliati ai FACCHINERI;

22.10.1980

vengono uccisi FACCHINERI Michele e FACCHINERI Salvatore

07.07.1980

presso la villa comunale di Cittanova vengono uccisi: RASO Francesco, ALBANESE Raffaele, CATALANO Rocco, BRUZZI Girolamo ed AVIGNONE Giovanni, tutti appartenenti alla cosca RASO–GULLACE – ALBANESE;

09.07.1987

viene ucciso LONGO Vincenzo, vicino ai FACCHINERI;

16.07.1987

vengono uccisi IENCO Vincenzo e IENCO Giacomo, appartenenti alla cosca RASO–GULLACE–ALBANESE;

18.07.1987

viene ucciso LOMBARDO Angelo, appartenente alla cosca dei FACCHINERI;

05.08.1987

viene ucciso CHIARENZA Giovanni;

16.08.1987

viene ucciso DERACO Urbano;

Dal 28.08.1987

al 03.12.1987

vengono uccisi LONGO Gelmondo, MAMONE Giuseppe, D’AGOSTINO Giuseppe e PRONESTI’ Nino, tutti appartenenti alla cosca RASO–GULLACE–ALBANESE;

Dal 26.01.1988

al   10.07.1988

vengono uccisi REALE Antonio, DERACO Rocco e GALLIZZI Michele, esponenti della cosca dei FACCHINERI;

24.10.1988

viene ucciso BERLINGERI Giuseppe della cosca RASO–GULLACE–ALBANESE;

23.11.1988

viene ucciso PIROMALLI Michele della cosca RASO– GULLACE–ALBANESE;

25.11.1988

viene ucciso SORBARA Annunziato e ferito GALLIZZI Pasquale, entrambi appartenenti alla cosca dei FACCHINERI;

30.12.1988

viene ucciso GALASSO Antonio;

12.01.1989

viene ucciso FACCHINERI Pasquale;

10.02.1989

viene ucciso MURATORE Elio, appartenente alla cosca RASO – GULLACE – ALBANESE;

27.03.1989

viene ucciso CHIARENZA Pasquale;

09.04.1989

viene ucciso MARVASO Romeo, appartenente alla cosca dei FACCHINERI.


Sempre dal provvedimento in esame si può evincere come le indagini, svolte dagli inquirenti del luogo, avessero consentito di accertare l’esistenza, nella città di Cittanova, di un nutrito gruppo di accoliti della cosca RASO–GULLACE-ALBANESE che curava, sotto l’aspetto logistico – informativo  un agguerrito gruppo di fuoco operante in clandestinità. E’ a carico di alcuni affiliati a questa cosca che emergevano indizi circa l’assassinio, avvenuto in data 09.04.1989,  di MARVASO Romeo collegato alla cosca dei FACCHINERI.

Nel corso delle indagini,inoltre, in data 11.06.1989, in località Serro Zingari, sull’Aspromonte, veniva individuato un covo, all’interno del quale venivano bloccate e tratte in arresto quattro persone mentre una quinta riusciva a dileguarsi nella boscaglia. I quattro venivano identificati in:

  • RASO Girolamo (indagato nella presente indagine);
  • PRONESTI’ Carmelo:
  • GULLACE Francesco (indagato nella presente indagine);
  • DERACO Vincenzo;

Gli inquirenti avevano avuto il sospetto che il quinto, riuscito a dileguarsi, fosse  BRUZZI’ Camillo (indagato nella presente indagine).

All’interno del rifugio veniva rinvenuto un vero e proprio arsenale, oltre a passamontagna, binocoli e parrucche. Le armi si presentavano in ottimo stato di manutenzione e lubrificazione e sono risultate tutte efficienti.

Tra le armi sequestrate veniva individuata quella che aveva ucciso MARVASO Romeo ed a seguito di ciò veniva formulata l’ipotesi che i mandanti dell’omicidio fossero RASO Girolamo, GULLACE Francesco, DERACO Urbano ed alcuni membri della sua famiglia, individuando l’esecutore materiale in DERACO Vincenzo.

A seguito degli episodi sopra riportati, la Corte d’Assise di Palmi, con sentenza emessa in data 17 maggio 1991, condannava:

  • RASO Girolamo, ad 11 anni di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi;
  • GULLACE Francesco, ad anni 9 di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi;
  • PRONESTI’ Carmelo, ad anni 8 di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso, detenzione e porto abusivo di armi;
  • DERACO Vincenzo, ad anni 8 e mesi 6 di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso , detenzione e porto abusivo di armi;
  • BRUZZI’ Camillo, ad anni 4 di reclusione per associazione a delinquere di stampo mafioso. (anche se, successivamente, verrà assolto per non aver commesso il fatto);

ovvero, come si legge nella principale imputazione di cui al capo a) della sentenza in esame: “ ……  per aver fatto parte di una associazione armata di tipo mafioso volta a commettere una serie indeterminata di omicidi in danno di esponenti della cosca avversa (FACCHINERI) ed acquisire così la gestione ed il controllo delle attività economiche locali (pastorizia, trasformazione e lavorazione degli inerti e del bitume), nonché a realizzare profitti ingiusti avvalendosi della forza di intimidazione, del vincolo associativo e delle condizioni di assoggettamento e di omertà che ne derivano, allo scopo di acquisire il controllo ed il predominio esclusivo dei territori di Cittanova, potenziandone così l’egemonia mafiosa della cosca di appartenenza (RASO-GULLACE-ALBANESE).”

A suffragare la pregnante influenza esercitata dalla cosca nell’area di prescelta competenza, in sentenza, veniva riportato, quale manifestazione eclatante di omertà e di assoggettamento della comunità nei confronti della forza di intimidazione derivante dal vincolo associativo, il fenomeno delle cosiddette Vacche Sacre (si tratta di un numero imprecisato di bovini appartenenti ad affiliati che, pascolando allo stato brado, arrecavano danni ingenti alle culture e alle opere pubbliche e private, spesso intralciando la circolazione stradale e ferroviaria creando pericolo per la sicurezza dei trasporti). Il lasciar vivere liberamente sul territorio tale bestiame comportava un evidente risparmio per l’alimentazione, la riproduzione e il mantenimento. Tutto ciò era possibile per l’assicurata intangibilità degli animali derivante proprio dalla risaputa appartenenza degli stessi. Infatti dei danni arrecati non erano esistenti denuncie  presso gli uffici di polizia, se non in rari casi (per danni alla rete ferroviaria locale) a dimostrazione del tangibile stato d’intimidazione e di omertà che la cosca operava sulla collettività.

Particolarmente significativo è il passaggio della sentenza (pagg. 20 e ss.) ove viene riportato: 
“…… la cosca in esame s’inserisce nell’ambito della ‘ndrangheta calabrese la quale non è costituita da un’unica organizzazione monolitica: l’ipotesi dell’associazione unitaria di tipo stellare, centralizzata, articolata a livello locale, non trova riscontro nella realtà calabrese che vede  invece operanti gruppi autonomi, organizzati in modo indipendente fra loro su base essenzialmente familiare, dovuta all’origine arcaica del fenomeno.
E’ questo un elemento che ancora oggi sussiste nonostante l’evoluzione della cosca sulla quale si tornerà più avanti.
Il gruppo è ovviamente un gruppo aperto nel senso che anche gli esterni, legati da vincoli di affinità o di amicizia con la famiglia ne entrano a far parte, ma anche quando la cosca accresce le sue dimensioni permane la struttura parentale in quanto la famiglia dominante assimila gli altri gruppi familiari.……  Il fatto che in alcune occasioni l’azione mafiosa si svolge sulla base di accordi e di alleanze tra gruppi mafiosi non toglie a questi ultimi individualità e autonomia; avviene infatti che più cosche si associno per la gestione di affari comuni  ……   ma questa constatazione non conferma certo l’esistenza di una superassociazione. L’insorgenza delle lunghissime faide manifesta invece la struttura atomistica della mafia calabrese”.

La Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria, con sentenza del 15.05.1992 (vds all. A in formato digitale), riforma parzialmente la sentenza del 17.05.1991 della Corte di Assise di Palmi assolvendo, tra le altre decisioni, BRUZZI’ Camillo per non aver commesso il fatto e confermando, nel resto, l’impugnata sentenza di condanna degli altri imputati. 

In data 10.11.1992 la Corte di Cassazione (vds all. A in formato digitale), tra l’altro, annulla la sentenza nei confronti dei predetti imputati, in ordine al reato di cui all’art. 416 bis c.p. e rinvia per un nuovo esame ad altra sezione della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria.


Sentenza della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria emessa in data 26.10.1993  (vds all. A in formato digitale)

In sede di riesame, la condanna emessa in primo grado veniva per tutti gli imputati definitivamente riformata dalla sentenza della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria emessa in data 26.10.1993 (condanna divenuta irrevocabile in data 3.5.1994) che riqualificava  l’imputazione di associazione a delinquere di stampo mafioso (art. 416 bis c.p.) nel reato di associazione a delinquere semplice (art. 416 c.p.) non ritenendo comprovata l’esistenza “… della  forza di intimidazione del vincolo associativo per il perpetrare di reati con la forza al vincolo data anche dalla causata condizione di assoggettamento ed omertà del territorio battuto” (pag. 20 della  sentenza).

In merito a tali argomentazioni la Corte d’Assise di Palmi del 17.05.1991 che, nel delineare gli elementi costitutivi  della fattispecie criminosa introdotta dalla  legge n. 646 del 13.09.1982, alla pagina 13,  testualmente recita:
“Il legislatore dell’82 non ha inteso creare una nuova figura di reato: ha solo ridefinito e ribadito l’illeceità penale di fenomeni storicamente preesistenti alla norma stessa che non sempre era agevole ricondurre nell’ambito dell’articolo 416 c.p. Quando infatti la norma fa riferimento alla forza di intimidazione del vincolo associativo si riferisce non solo alla carica intimidatoria attuale della singola organizzazione di tipo mafioso, ma anche alla condizione di timore diffuso conseguente alla sedimentazione storica nell’ambiente di condotte intimidatorie, di atti di violenza e di minaccia ripetutisi costantemente nel tempo con carattere di continuità e spesso di impunità”.


Sentenza della Corte di Assise d’Appello di Reggio Calabria emessa in data 12.02.1996 
(passata in giudicato in data 01.04.1997 - vds all. A in formato digitale)

Il giudizio scaturisce dal processo inizialmente instaurato nei confronti di PESCE Giuseppe (classe 1923, deceduto nelle more del giudizio il 29.5.1992) + 138 e ridottosi in appello al giudizio nei confronti di PESCE Giuseppe (classe 1954) + 50. In tale dibattimento, sono contestate due associazioni per delinquere di cui la principale (indicata nel capo n.74 e ritenuta il “gruppo vincente”) è caratterizzata da una articolata struttura federativa risultante dalla aggregazione di più cosche locali. Per tale motivo il complesso giudizio venne comunemente chiamato il processo alla mafia delle tre province, fondato sulla collaborazione, iniziata nel settembre 1983, di SCRIVA Giuseppe (già ‘ndranghetista di rango in Rosarno), definito in primo e secondo grado negli anni 1986-1987, interamente annullato dalla Corte di Cassazione nell’anno 1988, ripetuto in primo e secondo grado negli anni 1993-1996 fino, appunto, al giudicato dell’1.4.1997.

La sentenza, nel confermare il primato della cosca PIROMALLI di Gioia Tauro all’interno della riconosciuta federazione di gruppi mafiosi della piana gioiese, accerta l’esistenza, tra le altre, della cosca RASO-GULLACE-ALBANESE, rivale dei FACCHINERI nella cosiddetta faida di Cittanova nella quale figurano proprio, come esponenti principali della cosca, GULLACE Carmelo, il fratellastro RASO Giuseppe detto “l’avvocato” ed il cugino BRUZZI’ Camillo (oltre al noto FAMELI Antonio, indicato dallo SCRIVA Giuseppe come “il faccendiere” incaricato dalla ‘ndrangheta di ripulire il denaro proveniente dai sequestri di persona e come colui che ha favorito, in Liguria, l’inizio dell’attività economica del GULLACE).

La stessa Corte d’Appello (v. pp. 270-271 della sentenza in esame) sancisce, a pieno titolo, l’inserimento della famiglia GULLACE nello storico clan cittanovese dei RASO-ALBANESE non solo per le verificate frequentazioni, all’epoca, di GULLACE Carmelo e del cugino BRUZZI’ Camillo (coimputati nel processo de quo anche per il duplice omicidio di FACCHINERI Luigi e GAGLIANO’ Giuseppe avvenuto in Genova-Teglia il 21 settembre 1978) con esponenti della famiglia RASO-ALBANESE ma anche per i precedenti rapporti di stretta amicizia, oltre che di parentela, tra GULLACE Celestino (padre di Carmelo) ed il cugino ALBANESE Rocco. In merito, si riportano i passaggi più significativi:
“Per la verità l’inserimento della famiglia GULLACE nel clan cittanovese non è recente. Già con rapporto del 18 gennaio 1969 i Carabinieri di Cittanova, nel riferire in ordine al ferimento patito il 2 novembre 1968 da GULLACE Celestino, padre di GULLACE Carmelo, hanno altresì denunciato lo stesso GULLACE Celestino ed ALBANESE Rocco, odierno imputato, per il delitto di danneggiamento seguito da incendio ai danni dell’impresa edile MARINACCI di Napoli……rileva sottolineare  come, indipendentemente dall’esito del relativo procedimento penale, in quella occasione sia stato accertato, non solo il rapporto di parentela esistente tra il GULLACE ed i RASO-ALBANESE, cugini tra loro, ma anche gli stretti rapporti di amicizia che li legavano, al punto che GULLACE Celestino ferito da un avversario a colpi di arma da fuoco, si era subito rivolto ad ALBANESE Rocco per chiedere aiuto, peraltro prontamente fornitogli. Ancora, con rapporto del 30 aprile 1975, i Carabinieri di Taurianova hanno denunciato ALBANESE Francesco e Rocco, RASO Girolamo detto “Mommo” e GULLACE Francesco, fratello di Carmelo, per il triplice omicidio ai danni di FACCHINERI Giuseppe, Domenico, e Michele…… Ulteriori coinvolgimenti di GULLACE Francesco nel clan RASO-ALBANESE sono stati denunciati con riferimento ai sequestri di persona a scopo di estorsione consumati, negli anni settanta, ai danni dei possidenti LEUZZI Pasquale e ZERBI Domenico… … Lo stesso GULLACE Francesco indicato dai Carabinieri di Taurianova quale componente del gruppo di fuoco del clan ALBANESE-RASO e da loro ritenuto, con i cugini ALBANESE e RASO, responsabile dell’omicidio di DE RACO Giuseppe, cognato del FACCHINERI, consumato il 13 ottobre 1978 …… Antichi e stretti sono, quindi, i rapporti dei GULLACE con i loro cugini RASO-ALBANESE. Rapporti ai quali non si è certo sottratto GULLACE Carmelo, pure coinvolto, in concorso con i parenti, in vicende delittuose che hanno visto come vittime diversi componenti del gruppo FACCHINERI……. Altrettanto certi sono, inoltre, i rapporti dei Raso-Albanese con lo stesso BRUZZÌ Camillo……. Lo stesso BRUZZÌ, del resto, ha dovuto lamentare, ad ulteriore conferma del suo inserimento nel gruppo ALBANESE-RASO-GULLACE, l’uccisione del proprio padre BRUZZÌ Girolamo, caduto il 7 luglio 1987, nel corso di un’azione delittuosa attribuita ai FACCHINERI…”.

Il giudice d’appello, pur confutando la qualificazione dei reati contestati come associazioni criminali comuni invece che di stampo mafioso, in mancanza di gravame del Procuratore Generale sul punto, ha confermato per gli imputati di cui al capo 49) e 74) quasi tutte le condanne del giudice di primo grado ovvero la semplice associazione a delinquere ex art. 416 c.p (vds. sentenza emessa il 26 febbraio 1994 dalla Corte d’Assise di Palmi che rilevando l’omessa indicazione nell’imputazione degli elementi di “fatto” idonei ad individuare l’associazione di tipo mafioso, di cui ricorreva solo il richiamo normativo all’art.416 bis c.p., ritenne contestata in concreto solamente l’associazione per delinquere cosiddetta semplice ex art.416 c.p.).

Al riguardo, nella sentenza in esame, si legge: “V’è da rilevare, a questo punto, che la formulazione dell’accusa, così come enunciata ai capi 49 e 74 dell’imputazione, indica, a parere della Corte, un “fatto” che, al di là del richiamo nominativo all’art. 416 bis c.p., integra in effetti la fattispecie prevista dall’art. 416 c.p., difettando nel caso di specie, per la configurazione della prima delle due ipotesi associative richiamate, l’espresso riferimento all’ulteriore elemento specificante del ricorso alla forza intimidatrice del vincolo associativo. Se, dunque, alla concreta enunciazione del fatto occorre far riferimento, si deve convenire che l’ipotesi associativa realmente contestata ai capi 49) e 74) della rubrica è quella prevista dall’art. 416 c.p.”.

La Corte, però, in un passo successivo osserva: “Orbene la motivazione sopra riportata quale data dai giudici di primo grado è una motivazione che meglio avrebbe potuto operare mantenendo per i fatti quali riscontrati e per le dichiarate responsabilità dei singoli l’ipotesi criminosa di cui all’art. 416 bis  c.p. ma poiché per la data qualificazione del reato il P.G. non ha avanzato gravame non può più la Corte di Assise di Appello dare al fatto la originaria qualificazione. Non può però non notare questa Corte di Appello come la ragione della qualificazione diversa e cioè la mancata prova della forza della determinazione del vincolo associativo come elemento di cui i singoli si siano avvalsi trovi smentite in moltissimi episodi della Corte di primo grado analizzati. (v. pp.526-527 della sentenza in esame).

Infatti la stessa Corte d’Appello, nell’ampia esposizione dei fatti criminosi accertati, riconosce l’esistenza dell’organizzazione criminale denominata ‘ndrangheta organizzata su basi territoriali in consorterie familiari tra loro collegate.

 

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