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«Matacena puntava a screditare i pentiti»

REGGIO CALABRIA Non solo l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena ha sempre fatto affari con le ‘ndrine di Reggio Calabria, ma quando i primi pentiti hanno iniziato a svelarne…

REGGIO CALABRIA Non solo l’ex parlamentare di Forza Italia Amedeo Matacena ha sempre fatto affari con le ‘ndrine di Reggio Calabria, ma quando i primi pentiti hanno iniziato a svelarne i segreti, dal suo scranno a Montecitorio ha cercato di screditarli. Parola del pentito Paolo Iannò, ex capolocale di Gallico e braccio destro del superboss Pasquale Condello. 

LA VERITÀ DEL CAPOLOCALE Chiamato oggi a testimoniare al processo che vede imputati l’ex ministro dell’Interno, Claudio Scajola, l’ex deputato Matacena, oggi latitante a Dubai, la moglie, Chiara Rizzo, e la storica segretaria dei due, Mariagrazia Fiordelisi, Iannò risponde in modo puntuale alle domande del pm Giuseppe Lombardo, ricorda, precisa, spiega. Elenca gli affari in cui, insieme e grazie alle ‘ndrine Matacena sarebbe stato coinvolto – dalla costruzione della scuola allievi, alla gestione dei traghetti da Reggio, alla costruzione del lungomare – ma soprattutto racconta dei legami “politici” che l’ex deputato armatore avesse con le ‘ndrine.

IN RAPPORTI CON CONDELLO «A livello politico, era legato a Pino Liuzzo e Peppe Aquila». Il primo – spiega il pentito – è un imprenditore del clan Rosmini, al pari del secondo che da uomo del medesimo clan è divenuto presidente della provincia di Reggio Calabria, anche grazie all’appoggio di Matacena. Ma questo per Iannò non deve ingannare perché «Matacena manteneva i rapporti con Pasquale Condello». I Rosmini – con cui il parlamentare era in stretti rapporti anche secondo la Cassazione che lo ha condannato definitivamente per concorso esterno – erano solo un’interfaccia di quello che all’epoca era il massimo vertice della ‘ndrangheta reggina.

ANNI COMPLICATI Un dato di cui Iannò è certo, non solo per le che personalmente è riuscito ad avere negli anni passati a fare da ombra al superboss Condello, ma anche per quelle che per ruolo e rango gli sono state fornite durante la latitanza, che ha coinciso con uno dei periodi più complicati nella storia della ‘ndrangheta reggina. All’epoca, i primi pentiti – Giacomo Lauro e Filippo Barreca – hanno aperto ai magistrati della Dda le porte dei clan di Reggio Calabria, descrivendo in dettaglio organigrammi e ruoli all’interno dei due schieramenti che per sei anni si erano fatti la guerra nelle strade cittadine. Dichiarazioni devastanti, grazie alle quali alla sbarra – e con accuse costate decine di ergastoli – sono finiti quasi tutti i massimi vertici di tutte le ‘ndrine della città, mentre gli altri erano costretti alla latitanza.

DEMOLITE LA DDA «Olimpia 1 è stata l’indagine che ha sconfitto la struttura nostra, ma in generale tutte le famiglie della Calabria». Per questo tutti hanno cercato di intervenire per “limitare i danni”. «Per i De Stefano se ne sono occupati l’avvocato Giorgio De Stefano e l’avvocato Romeo, che hanno cercato di aggiustare il processo», ma anche Condello – spiega il pentito – non è rimasto con le mani in mano. Prima avrebbe tentato di avvicinare il fratello del collaboratore Barreca per convincerlo a far ritrattare il fratello, poi avrebbe chiesto aiuto ad Amedeo Matacena.

L’INTERVENTO DI AMEDEO «All’epoca – ricorda Iannò – era già parlamentare». E proprio dai banchi di Montecitorio, racconta il collaboratore, ha lavorato per smantellare i successi investigativi che quella prima Dda con gran fatica stava costruendo. «Ho saputo che avrebbe dovuto portare in Parlamento dei fogli bianchi con la scritta di Lauro, in modo da screditare il pentito». In più – aggiunge – «in Olimpia 2 si parlava di screditare la presidente Grasso a livello giornalistico, sempre grazie all’aiuto di Matacena». Una prova ulteriore, per il pm Lombardo, del rapporto viscerale che ha sempre legato il politico -armatore alle ‘ndrine, confermando quello che in maniera confusa già il pentito Nino Fiume aveva accennato nelle scorse udienze.

IL CONSULENTE INGOMBRANTE Medesima canzone, sebbene da diversa prospettiva, ha “cantato” Luca Salvi, ex socio di minoranza della Fera srl, l’azienda che secondo quanto emerso dall’inchiesta Breakfast avrebbe beneficiato dei finanziamenti Industri 2015 quando a dirigere il competente ministero era Claudio Scajola. Una “coincidenza” – sempre smentita dall’ex ministro oggi imputato – che sarebbe stata favorita dal “consulente” Amedeo Matacena, proprio in quel periodo assunto alla Fera, nonostante la condanna per mafia rimediata nel primo processo a suo carico. Circostanze che all’epoca avevano fatto imbestialire Salvi perché «per me non è normale ospitare in azienda una persona che aveva un processo per mafia in corso, non la ritenevo una persona con cui si potesse costruire un dialogo per avviare alcunché in Calabria», ha spiegato oggi in aula.

IL CAPITALE SOCIALE Ma secondo la ricostruzione della Dda, l’assunzione di Matacena sarebbe stata tutto fuorché casuale. L’ex parlamentare avrebbe dovuto essere il garante dell’azienda, tanto sul territorio, come negli ambienti romani. Una figura speculare a quella di Alberto Acierno, ex deputato prima del Popolo delle Libertà, poi di Forza Italia, approdato nel 2001 al consiglio regionale siciliano grazie al listino dell’allora presidente Salvatore Cuffaro, prima di inciampare a fine 2009 in un’indagine per peculato. Proprio un corposo scambio di mail fra quest’ultimo e Matacena avrebbe svelato ai magistrati i contatti romani che – oltre a quelli sui territori ad alto rischio mafie, come la Calabria e la Sicilia – avrebbero indotto il socio di maggioranza Cesare Fera a inserire i due in azienda.

GALEOTTA FU L’EMAIL E proprio di Fera è la mail che da inizio alla conversazione divenuta per la Dda una preziosa prova. «La settimana prossima definiscono le graduatoria per i progetti presentati a Industria 2015 lo scorso settembre. Sappiamo che abbiamo superato la prima selezione che da 80 ha portato a 24 i progetti ammissibili. Ne passeranno solo 8\10. Hai più avuto feedback da Scajo?», chiede il patron ad Acierno, che la gira ad Amedeo Matacena, mentre meno di un’ora dopo si preoccupa di rassicurare Fera «prima di Natale ho avuto garanzie di buon esito». Gli interessi in ballo sono pesanti e l’impazienza cresce, così due giorni dopo Acierno – che di Matacena è buon amico, tanto da far registrare agli uomini della Dia diverse conversazioni di carattere confidenziale con Chiara Rizzo – riscrive a Matacena: «Scusami se ti rompo, ma se leggi l’email che ti ho girato, capisci il perché della mia insistenza – dice con apprensione il consulente della Fera –. Se per caso non riesci ad avere un aggiornamento, dimmelo comunque, perché non posso rischiare di fare cattiva figura con loro».

OBIETTIVO FINANZIAMENTI Ansie destinate a finire poco più di dieci giorni dopo, quando alla Fera – come velatamente anticipato da Matacena – verrà comunicata ufficialmente l’aggiudicazione di un contributo di 5,9 milioni dal ministero dello Sviluppo economico per la realizzazione del progetto Free Sun, mirato a studio, progettazione e costruzione di impianti basati sulla tecnologia solare termodinamica a concentrazione (Csp, Concentrated solar power)». Quei finanziamenti – ha spiegato oggi Salvi in aula – poi hanno tardato ad arrivare e il progetto che avrebbero dovuto finanziare alla fine sarebbe partito solo anni dopo. Ma per l’accusa poco importa, perché il dato – filtra da ambienti di procura – è il filo che lega la Fera srl all’ex ministro Scajola e al suo – allargato e scivoloso – entourage.

BENEFICENZA? MAI! A provarlo – è emerso oggi dalla deposizione di Salvi – ci sarebbe anche la partecipazione della moglie dell’ex ministro, Maria Teresa Varda, in qualità di madrina, all’inaugurazione del parco eolico della Fera a Pontinvrea. Circostanza che il consorte, tramite i suoi legali, ha sempre giustificato con un concomitante evento benefico. Ma anche su questo punto, Salvi è stato cristallino: «Parallelamente all’inaugurazione non ricordo alcun tipo di manifestazione benefica. Generalmente invitavamo le scolaresche e c’era una cartellonistica per loro, ma non abbiamo mai fatto eventi benefici. C’era la pro loco di Ivrea, con formaggi tipici e vini… ma altro proprio no».

 

 

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