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Il suicidio del colonnello Pace resta un mistero

ROMA Domani ricorre un anno dalla morte del tenente colonnello Omar Pace, l’ufficiale della Guardia di Finanza distaccato alla Direzione investigativa antimafia che l’11 aprile dello scorso anno si è…

ROMA Domani ricorre un anno dalla morte del tenente colonnello Omar Pace, l’ufficiale della Guardia di Finanza distaccato alla Direzione investigativa antimafia che l’11 aprile dello scorso anno si è ucciso nel suo ufficio sparandosi un colpo di pistola. «Pur comprendendo la necessità di termini più lunghi per una indagine accurata – afferma il legale della famiglia, Pablo De Luca – rimango sbigottito per il fatto che, a distanza di un anno, non sia arrivata, dalla Procura di Roma, alcun tipo di risposta. Ritengo opportuno che venga sensibilizzata l’opinione pubblica riguardo a questo ritardo». La moglie in diverse occasioni ha fatto intendere di non credere che il marito volesse suicidarsi e chiede che l’inchiesta sulla morte del coniuge faccia emergere la verità. Sulla stessa linea l’avvocato De Luca, il quale non crede che Pace avesse motivi per cercare il suicidio. Pace si è tolto la vita due giorni prima della data in cui avrebbe dovuto testimoniare al processo a Reggio Calabria in cui è imputato l’ex ministro Claudio Scajola.
Il tenente colonnello aveva fatto parte del pool di investigatori che aveva condotto, coordinato dalla procura reggina, l’indagine nei confronti di Scajola – imputato per aver favorito la latitanza dell’ex parlamentare di FI Amedeo Matacena – e per questo avrebbe dovuto essere sentito dai giudici. Il colonnello, che aveva 47 anni, una moglie e due figli di 6 e 8 anni, 11 aprile dell’anno scorso è arrivato in ufficio attorno alle 6.30, ha chiuso la porta della sua stanza e si è sparato. In quel momento in ufficio non c’era nessuno e a trovare il corpo è stato il suo collega di stanza, dopo aver aperto la porta con una chiave di riserva attorno alle 8.30. Alla Dia, fino a poco prima del suicidio, Pace guidava l’ufficio che si occupava dell’analisi delle segnalazioni sospette (Sos). Ma nell’ambito di una riorganizzazione interna, il direttore della Direzione investigativa antimafia Nunzio Ferla aveva disposto una serie di trasferimenti di uomini e di funzioni, che hanno interessato anche il colonnello. Il suo ufficio, infatti, è stato spostato dal secondo al primo reparto e lui trasferito alla sezione antiriciclaggio. Un incarico che Pace non aveva digerito tanto che aveva chiesto rapporto al comando generale della Guardia di Finanza per presentare le proprie dimissioni.
Nei giorni scorsi il senatore dei Cinque Stelle Mario Michele Giarrusso, componente della Commissione Antimafia, ha presentato una interrogazione parlamentare «per denunciare la perdurante inerzia da parte dell’autorità giudiziaria». «Chissà perché il colonnello Pace – osserva Giarrusso – si sarebbe curiosamente “suicidato” soltanto un paio di giorni prima di essere sentito come testimone in un importantissimo processo di ‘ndrangheta in corso a Reggio Calabria, in cui è imputato un importante uomo politico che ha ricoperto alte cariche governative». Per Giarrusso, «è incomprensibile e sospetta l’inerzia della magistratura competente, che solo dopo diversi mesi e solo su sollecitazione dei legali della famiglia avrebbe iscritto il relativo fascicolo a ruolo, omettendo per tanto, troppo, tempo di effettuare accertamenti importanti, sia sullo stato dei luoghi, sia sulle circostanze del pedinamento, alcuni dei quali resi oramai impossibili dal frettoloso mutamento dello stato dei luoghi dove si è svolta la tragedia». Anche il deputato del Pd Davide Mattiello, componente della Commissione Antimafia, chiede «a chi sa di parlare: non c’è onore nell’omertà». «Ad oggi – osserva Mattiello – non sappiamo cosa intenda fare la Procura di Roma che ha un fascicolo aperto da allora; non conosciamo il contenuto della lettera rinvenuta accanto al corpo; non sappiamo chi e perché pedinasse Omar Pace; non sappiamo se davvero fosse preoccupato per la deposizione che avrebbe dovuto fare all’indomani nell’ambito del processo che a Reggio Calabria vede imputati Scajola e Rizzo per aver favorito insieme a Speziali la latitanza di Matacena. Sappiamo però che il suo lavoro di decodificazione del materiale informatico non era finito e sappiamo che a dispetto di ogni denuncia le latitanze di Matacena e Speziali resistono spudoratamente. Cosa c’è dietro le parole ritrovate dalla moglie in un biglietto “in qualche occasione bisogna sacrificare il bene supremo, la vita per una causa superiore”? Omar Pace era ricattato? C’entra questa vicenda con l’inchiesta Occhionero? Domande per le quali pretendiamo risposte: questa Repubblica ha pagato un prezzo troppo alto ai segreti del potere», conclude il deputato

 

 

Tags: 'ndrangheta, D.I.A., claudio scajola, Guardia di Finanza, dubai, morte, amedeo matacena, latitanza, chiara rizzo, vincenzo speziali jr, libano, omar pace, martino politi, Maria Grazia Fiordelisi, testimone, mistero

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