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I furbetti del Botteghino

Micromega, 5/2005, ottobre 2005
I furbetti del Botteghino

di Gianni Barbacetto

Strana estate, quella del 2005. Estate di patti occulti, scalate sotterranee, finanza d’avventura, personaggi spregiudicati, arbitri venduti, matrimoni da vip, feste al Billionaire, intercettazioni telefoniche, declassamenti dell’Italia, commistioni tra affari e politica, ritorno della “questione morale”, polemiche vere e polemiche false. Le contese per conquistare un paio di banche italiane, l’Antonveneta di Padova e la Banca nazionale del lavoro di Roma, e l’assalto al principale giornale italiano, il Corriere della sera, sono diventati il grande giallo dell’estate. Tracimati fuori dalla finanza, sono diventati da una parte questione politica, dall’altra materia di gossip.

All’inizio potevano sembrare tre diverse storie, tre distinte scalate. Si sono invece presto dimostrate un’unica vicenda: un grande assalto al potere, in un momento per l’Italia di declino economico e di confusione politica; un tentativo di ridisegnare il volto del (debole) capitalismo italiano. Con istituzioni e partiti che, in maniera occulta, facevano il tifo per i contendenti e intervenivano nelle contese. Tangentopoli, al confronto, è archeologia. E non ci sono soltanto le tre scalate ufficialmente dichiarate. Sotto pressione, in Borsa, sono stati anche i titoli Mediobanca, Fiat, Generali...

Ora, con l’autunno, sono cadute alcune delle foglie che coprivano protagonisti, comprimari, tifosi. Ed è apparso il disegno, fallito ma non del tutto, dell’avventura d’estate. I protagonisti di prima fila sono un poker d’assi: il banchiere della Popolare di Lodi Gianpiero Fiorani, il finanziere bresciano Emilio Gnutti, l’immobiliarista romano Stefano Ricucci, il manager di Unipol Giovanni Consorte. Sono loro il commando d’assalto che si è lanciato, fuori da ogni regola, nelle operazioni.

Alle loro spalle: il governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio, l’istituzione che rinuncia finanche al decoro, l’arbitro della partita che si trasforma in commissario tecnico di una delle squadre in campo; poi una folla di “amici”, sostenitori e complici; e infine tutta una schiera di politici, parlamentari, uomini di partito, di destra e di sinistra, che si muovono sotterraneamente, contando sul fatto che delle loro mosse e delle loro parole nulla trapelerà. Invece: la professionalità della Guardia di finanza, l’intelligenza di alcuni magistrati e soprattutto le norme europee (quelle sul market abuse), da poco diventate legge italiana, fanno venire alla luce almeno parte della trama.

Dei quattro campioni della compagnia scalante, ognuno ha un suo piano da realizzare, un suo disegno di potere. Progetti diversi, anche con margini di competizione tra di loro: c’è chi sogna la Grande Banca Padana, chi persegue l’ingresso nei Salotti Buoni dopo tanto purgatorio, chi vuole la Banca Rossa e chi, semplicemente, tanti, tanti soldi... Ma ciascuno entra nella partita convinto che potrà approfittare degli altri e portare a casa il suo risultato. Antonveneta, Bnl, Rcs, poi – chissà – Fiat, Capitalia...

Il governatore Fazio è il grande protettore istituzionale, senza di lui nulla sarebbe potuto accadere. Silvio Berlusconi, invece, è il grande beneficiario, colui che, a lungo respinto dai “salotti buoni” della finanza italiana, ha tutto da guadagnare dalla destabilizzazione degli attuali equilibri: per “normalizzare” il Corriere e poi magari puntare a due prede che gli stanno particolarmente a cuore: Telecom e Generali. Sarebbero davvero un bel premio di consolazione, in caso di sconfitta elettorale.

Ma c’è anche la sinistra, in questa grande storia italiana di soldi, banche, giornali e potere. Perché se la variopinta compagnia degli scalatori cerca sponde a destra e conta sull’aiuto di Berlusconi per conquistare Antonveneta e Corriere, ha a sinistra una sua solida sponda per portare Bnl a Unipol. Questa sotterranea complicità produce effetti. Il primo, già devastante: l’impossibilità per la sinistra, che ha interessi nella partita, di osservare serenamente ciò che sta succedendo, di capire davvero, di giudicare criticamente gli assalti.

Le parole/1. D’Alema sdogana Ricucci


Questa storia d’estate ha una lunga gestazione. Ma s’impone all’attenzione dell’opinione pubblica quando appare chiaro che un sconosciuto immobiliarista romano noto fino ad allora per essere il fidanzato di Anna Falchi, Stefano Ricucci, che nel 1995 (a 32 anni, mica a 18) dichiarava redditi per 5 milioni di lire, nella primavera 2005 è miliardario e scala il Corriere della sera. Inevitabili le domande: Ma chi è ’sto Ricucci? Chi c’è dietro? Dove prende i soldi?

Ci sono i finanziamenti dell’amico Fiorani, certo. Le alchimie immobiliari della razza mattona. I “capitali scudati” rientrati in Italia grazie al governo Berlusconi... Ma qualcuno, alle soglie dell’estate, suggerisce che c’è anche una “pista rossa” da seguire, per tentare di rispondere a quelle domande. Il settimanale Diario la spara in copertina già agli inizi di giugno: «Compagno Ricucci». È un modo giornalistico per sottolineare, in un contesto ancora in gran parte opaco e oscuro, le strane alleanze e le cattive compagnie degli scalatori.

Gran finanziatore di Ricucci è la Deutsche Bank, guidata in Italia da quel Vincenzo De Bustis passato alla storia, o almeno alla cronaca, come il banchiere vicino a Massimo D’Alema fin dai tempi della Banca del Salento. E poi chi è il grande alleato del gruppo Ricucci-Fiorani-Gnutti in tutte le partite più rischiose che ha in corso? È Giovanni Consorte, il finanziere creativo di Unipol, l’uomo che ha trasformato il vecchio mondo delle cooperative rosse in una macchina da guerra da scatenare nelle operazioni finanziarie più spregiudicate: dalla madre di tutte le opa, lanciata da Gnutti su Telecom, fino agli odierni arrembaggi a Bnl e Antonveneta. Consorte ha stretto un patto di ferro con Fiorani e Gnutti, con cui fa cordata nelle operazioni benedette dal governatore Fazio.
La “pista rossa”, dunque, porta ad ambienti vicini a D’Alema. Chi lo conosce è pronto a giurare che al presidente Ds piace l’attacco al cuore dello stato di cose presente sferrato dai nuovi capitani coraggiosi. Dopo la «rude razza padana» è la volta della «rude razza romana»?

In tutta sincerità, alle soglie dell’estate 2005, questi sono solo indizi. Ma giornalismo, quando l’opacità trionfa, è cercare di porre domande, seguire piste, allineare indizi. A questo punto però già succede una cosa inaspettata: quella parte della sinistra chiamata giornalisticamente in causa sul «Compagno Ricucci», invece di cavarsela con una secca smentita e un bell’elogio della trasparenza, s’incammina su un percorso tortuoso.

«Non conosco nessuno di quei personaggi che si citano. Io questo Ricucci non so neanche chi sia», dichiara D’Alema il 10 giugno 2005 all’Unità. Ma poi aggiunge: «Certe campagne si concludono perché, immagino, si vogliono tutelare degli interessi specifici, di persone che ritengono che i loro interessi personali sono una nobile battaglia in difesa degli interessi del mercato, mentre gli interessi degli altri sono un ignobile complotto dietro cui si cela un qualche Belzebù». Dunque gli assalti finanziari in atto sono, per D’Alema, un corretto scontro di mercato a cui assistere con distacco, tanto una parte vale l’altra, e vinca il migliore.

Così D’Alema sdogana Ricucci, che non è un Belzebù. E il capitalismo non è questione di pedigree. Torna sulla questione il 2 luglio con una battuta sulla (risaputa) debolezza del capitalismo italiano: «Se degli oscuri immobiliaristi, dietro ai quali si è finalmente appurato che non ci sono io, spaventano i salotti buoni del capitalismo italiano, evidentemente c’è una fragilità di quegli assetti proprietari che non ha uguali al mondo». Gli risponde indirettamente Vittorio Merloni, sostenendo che nel capitalismo non conterà il pedigree, ma la trasparenza sì: «Ricucci è un mistero. Quanto meno, si può dire che il suo percorso non è tracciabile».

Claudio Velardi, che fu il braccio destro di D’Alema a Palazzo Chigi (anche se oggi, civettando un po’, si definisce un «disilluso del dalemismo»), parla ancora più chiaro. L’11 giugno sul Corriere della sera ammette che sì, D’Alema quando era presidente del Consiglio avrebbe fatto meglio a stare zitto, a non dire in pubblico ciò che pensava dei protagonisti dell’opa su Telecom («Avrebbe dovuto risparmiarsi quella frase sui capitani coraggiosi»). Ma poi gli scappa che cosa pensa, oggi, dei nuovi capitani coraggiosi, della rude razza romana degli immobiliaristi d’assalto: «Effettivamente Caltagirone è un grande imprenditore. Ma Ricucci cos’ha, la rogna?».

Il giornale di cui Velardi è editore, il Riformista, è più esplicito e afferma (nell’editoriale del 7 giugno) che «gli outsider, i lanzichenecchi, gli immobiliaristi, i redditieri» non sono un problema per il capitalismo italiano. Anzi, ce ne vorrebbero di più. «Il problema italiano è proprio quello di una certa carestia di outsider; sì, proprio di gente che viene dal nulla e si fa da sola, e mentre si fa da sola produce sviluppo, pil e benessere». Come Michele Sindona? Come Roberto Calvi? Come Giancarlo Parretti e tanti altri outsider della finanza italiana (i fratelli Canavesio, Florio Fiorini, Orazio Bagnasco, Paolo Federici, Vincenzo Cultrera, Luciano Sgarlata, Gianmario Borsano, Giorgio Mendella, Virgilio De Giovanni e, per non parlare di Sergio Cragnotti e Calisto Tanzi, tanti altri il cui elenco completo riempirebbe pagine e pagine)?

C’è sempre qualcuno che resta affascinato dall’assalto dei “nuovi”, spregiudicati ma pieni d’energie, contro i “vecchi”, spompati e senza una lira. Evviva, dunque, Ricucci, Coppola, Statuto, Fiorani, Gnutti...?

Pierluigi Bersani – ministro di D’Alema all’epoca della scalata Telecom da parte della «rude razza padana» riunita attorno al finanziere bresciano Chicco Gnutti – dichiara che è un «ragionamento preistorico» affermare di vedere lo zampino della «finanza rossa» dietro le operazioni in corso, solo perché «fra i player c’è una cooperativa»: perché è una cooperativa che «agisce sul mercato nel modo che ritiene più appropriato, senza chiedere il permesso a nessuno».

I «player rossi», dunque, si muovono liberamente sul mercato. Chi li critica, invece, è parte di un complotto: «E che dubbio c’è? Non siamo mica nati ieri», dichiara D’Alema. «Conosciamo i salotti e le persone che contribuiscono a tutto questo». Il presidente Ds non fa nomi. I salotti evocati sono quelli di Giuliano Amato e Franco Bassanini, che remano contro le scalate? O ce l’ha con l’asse Montezemolo-Della Valle-Rutelli, spalleggiato da Corriere della sera e Sole 24 ore?

Fatto sta che mentre l’Italia intera s’interroga preoccupata e cerca di capire da dove venga questo Ricucci e la sua rude razza romana, chi lo sdogana è – chi l’avrebbe mai detto – la sinistra dalemiana
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Le parole/2. Fassino sdogana Ricucci


Il segretario dei Ds Piero Fassino interviene nel dibattito il 23 giugno e, a sorpresa, scavalca lo stesso D’Alema nella difesa di Stefano Ricucci e compagnia scalante: «Incomprensibile la puzza sotto il naso» che circonda i palazzinari, dichiara a Sky Tg24. Lo stesso giorno diventa pubblica la notizia che Ricucci e la sua holding Magiste, come anche Chicco Gnutti e la sua Fingruppo, sono indagati dalla procura di Milano per aggiotaggio.

Il 7 luglio, con un’intervista al Sole 24 ore, Fassino rincara la dose: «Non c’è un’attività imprenditoriale che sia pregiudizialmente migliore o peggiore di un’altra. È tanto nobile costruire automobili o essere concessionario di telefonia, quanto operare nel settore finanziario o immobiliare».

Tenta di rispondergli Andrea Pininfarina, vicepresidente della Confindustria: «Non mi pare il caso di mettere sullo stesso piano, dal punto di vista dello sviluppo di tutto il Paese, chi fa impresa e chi di mestiere fa il raider finanziario».

Ma mentre Ricucci va sotto indagine penale e la sua trasparenza è vicina allo zero, Fassino sembra non vedere il problema: «Spetta a Consob, Antitrust, Autorità delle comunicazioni, Vigilanza della Banca d’Italia garantire le regole, non a me», dichiara al Sole il segretario Ds, che concede la sua benedizione invece alla scalata di Unipol su Bnl: «Se le cooperative crescono, a me fa piacere».

Replica bruciante, sempre sul Sole, di Marco Follini, segretario dell’Udc: «Credo che ci sia un certo eccesso di zelo in una cultura politica che ha scoperto il mercato in tarda età e ha finito qualche volta per farsi affascinare dai suoi aspetti più ambigui e tortuosi. E non mi convince una sinistra finanziaria che benedice, come ha fatto Fassino, l’eventuale opa di Unipol su Bnl ponendo le sue mani sul mercato al modo di quei re taumaturghi che nel Medioevo guarivano gli scrofolosi».

Il 21 luglio diventa noto che la procura di Roma sta indagando anche sulla scalata di Ricucci su Rcs. Lo stesso giorno, torna in campo D’Alema, che dichiara ad Alberto Statera di Repubblica: «Gnutti non lo conosco, come non conosco quello che è stato definito il “compagno” Ricucci. Compagno di chi? Falsità montate ad arte per depistare, per difendere altri interessi. In questo Paese è fortissimo l’intreccio tra interessi in campo e proprietà dei giornali. E il giornalismo economico è inquinato». I nomi, gli chiede Statera? «Non ne faccio». Subito dopo D’Alema dedica però un accenno benevolo agli immobiliaristi: «Gli speculatori fanno plusvalenze. Se rispettano le leggi dello Stato, perché criminalizzarli?».

Nessuno naturalmente li vuole criminalizzare per le plusvalenze. Semmai qualcosa da dire c’è sui metodi con cui le realizzano, visto le indagini e le condanne per insider trading. E nessuno ha mai detto o scritto che D’Alema sia il «socio» di Ricucci: la critica era semmai rivolta al sistema delle alleanze e alle “cattive compagnie”. Ma il presidente dei Ds preferisce drammatizzare, per poi sostenere che la “finanza rossa” non esiste: «Lo dimostra il fatto che su Bnl il Monte dei Paschi di Siena ha fatto come voleva». Vero: Montepaschi ha rifiutato di seguire Consorte nella scalata a Bnl, ma lo ha fatto rompendo con i vertici Ds e dopo insistenti pressioni di Roma e ripetute telefonate di Fassino.

D’Alema si spinge fino a difendere Gnutti, variamente indagato per reati finanziari e già condannato per insider trading. L’8 agosto dichiara infatti a Orazio Carabini del Sole 24 ore: «E che cos’ha che non va Gnutti? È socio anche di Olimpia (la finanziaria che controlla Telecom Italia, ndr) e nessuno ha mai detto niente. In queste critiche c’è un evidente elemento di ipocrisia». E poi: «Non si può fare di ogni erba un fascio. Da una parte un capitalismo buono, produttivo. Dall’altra quello degli speculatori legati al mondo politico. È una rappresentazione deviante, falsa... La verità è che il sistema è fragile. Raffigurarlo come sano, produttivo, aggredito dall’esterno da speculatori manovrati dal mondo politico è lontano dalla realtà. E si può fare solo perché gran parte dei giornali fanno capo agli stessi gruppi. Purtroppo il dibattito è inquinato perché i giornali possono scrivere male dei politici, ma non dei loro proprietari».

E Unipol? «Io nell’operazione Unipol non c’entro nulla», risponde D’Alema a Statera su Repubblica. «Quella è un’azienda, una grande azienda quotata in Borsa da anni. Se l’operazione che sta facendo sarà buona o cattiva lo giudicherà il mercato. A me sembra un’operazione del tutto limpida, fatta con tre grandi banche internazionali. Ma sa che le dico? Nei confronti dell’Unipol c’è una campagna razzista».

Comunque, conclude D’Alema, «se ci sono profili illeciti, intervengano le procure della Repubblica». Qualcosa di simile aveva detto anche Fassino: «Spetta a Consob, Antitrust, Autorità delle comunicazioni, Vigilanza della Banca d’Italia garantire le regole, non a me». Ma la politica non ha proprio nulla da dire, prima che arrivi la magistratura? Esistono comportamenti che non sono reati penali, ma possono essere politicamente inopportuni?

Le parole/3. Quanta cautela su Fazio


Lo scandalo scoppia quando le trame sotterranee vengono svelate dalle intercettazioni telefoniche: diventano visibili a tutti il disegno dei quattro scalatori, le connessioni tra loro, le alleanze reciproche, l’incredibile “concerto” con Fazio, i rapporti con la politica. Reazioni? Una parte della sinistra se la prende non con gli intercettati ma con le intercettazioni. E quanta cautela, agli inizi, su Fazio...

La situazione è più grave che dopo il più grave crac italiano, quello Parmalat, perché questa volta è compromessa la massima istituzione bancaria del Paese, Bankitalia. Eppure il vertice Ds fa a gara per tenere, per giorni e giorni, bassi i toni, per non insistere sulle dimissioni: non si può cacciare il governatore, sostiene una parte dei Ds, perché sennò poi, eliminata l’anatra zoppa, dovremo tenerci per chissà quanto un nuovo e più forte governatore messo lì da Berlusconi; e perché Fazio – ma questo lo sussurrano solo i critici interni – serve anche a quella parte della sinistra che è impegnata nella scalata di Unipol su Bnl.

Prudenti. Cauti. Cautissimi. Dichiarazioni a scandalo caldo, il 27 luglio. Il segretario Ds Piero Fassino: «Dobbiamo stare attenti a non indebolire l’istituzione Bankitalia». Pierluigi Bersani, europarlamentare Ds ed ex ministro di D’Alema ai tempi dei “capitani coraggiosi”: «Non possiamo aprire adesso il tormentone estivo “Fazio sì, Fazio no”, in questo modo si va allo sfascio». Un altro ex ministro del governo D’Alema, Vincenzo Visco, il 3 agosto: «Dimissioni? È una decisione che deve valutare a livello personale... No, non c’è stata una richiesta di dimissioni da parte dei Ds... Le riforme in corso comunque non toccherebbero l’attuale governatore, intervenire sarebbe contrario al trattato della Banca centrale europea. L’eventuale mandato a termine riguarderà il successore... Al momento, non vedo illeciti in senso stretto».

D’Alema in persona, l’8 agosto, sul Sole 24 ore dichiara che, a proposito delle dimissioni di Fazio, «la scelta è affidata alla sua sensibilità. Non tocca certo all’opposizione». Fino al 7 settembre, quando Bersani dichiara alle agenzie che per Fazio «andarsene in queste condizioni sarebbe come cedere alla canea» (anche se subito viene corretto e smentito da altri esponenti del suo partito: ormai a sinistra è finalmente prevalsa la linea del rigore; del resto di lì a poco lo stesso Berlusconi giungerà a “sfiduciare”, almeno formalmente, Fazio).

Le parole/4. Contro le intercettazioni


Anche le intercettazioni telefoniche e ambientali, permesse nelle inchieste sui reati finanziari dalla nuova disciplina europea introdotta in Italia con la Legge comunitaria del maggio 2005, sono guardate con sospetto e fastidio da una parte della sinistra. Eppure sono uno dei pochi metodi d’indagine efficaci per scoprire ciò che viene progettato e realizzato in segreto, ai danni del mercato e dei risparmi di milioni di cittadini.

Eppure, ecco come le giudica Visco il 27 luglio: Fazio ha avuto un «comportamento discutibile, ma non bisogna esagerare con le intercettazioni». E il 3 agosto: «Le intercettazioni, comunque, sono assolutamente disdicevoli...». D’Alema rincara la dose: «C’è qualcosa di violentemente impudico in quanto sta succedendo. Intrufolarsi nelle conversazioni private della signora Fazio è roba da tricoteuses, da voyeurs».

Fin qui, le parole. Ma ci sono anche i fatti. Ai tempi dell’opa Telecom, la madre di tutte le scalate, Guido Rossi criticò il ruolo in quella vicenda di D’Alema, che nel 1999 era presidente del Consiglio, sentenziando: «Palazzo Chigi è l’unica merchant bank dove non si parla inglese». Ma al confronto delle scalate dell’estate 2005, quella Telecom (che non è né una banca né un giornale) era un modello di correttezza.

I fatti/1. Soldi ai mattonari


Il 18 luglio Giovanni Consorte diventa ufficialmente il protagonista (player, direbbe Bersani) della scalata a Bnl. Acquista le quote rastrellate sotto traccia nei mesi precedenti dagli immobiliaristi. Così chi continuava a chiedersi chi c’è dietro a Ricucci, chi gli ha dato i soldi, ha finalmente una risposta: «La finanza rossa», dice sorridendo un banchiere, indicando i 408 milioni di euro che saranno versati a Ricucci da Unipol. I cosiddetti “contropattisti” incassano infatti dalla compagnia bolognese oltre 2 miliardi di euro e portano a casa delle belle plusvalenze: complessivamente 1,2 miliardi: Ricucci 210 milioni di euro, Francesco Gaetano Caltagirone 255, Danilo Coppola 230, Giuseppe Statuto 207, Vito Bonsignore 180, Ettore Lonati 105, Giulio Grazioli 42.

Così Ricucci, Statuto, Coppola, Bonsignore e compagnia scalatante avranno carburante per nuove avventure: l’assalto a Rcs? a Mediobanca? a Generali? Commenta a caldo un banchiere del Montepaschi: «I partner degli affari vanno scelti. Che senso ha dare più di 2 miliardi di euro a gente come quella? È carburante per nuovi incendi».

Continua qualche irriducibile critico: se ora Ricucci conquisterà il Corriere, magari per offrirlo a Berlusconi o a qualcuno dei suoi alleati, sarà chiaro da quale Bicamerale sotterranea della finanza sarà nata la spartizione delle spoglie degli ex salotti buoni del capitalismo italiano in declino... Ma questa, a fine luglio 2005, era solo un’ipotesi, fantascienza, delirio complottista. Nel giro di qualche settimana, quell’ipotesi si è trasformata in una possibilità concreta.

I fatti/2. Concerto rosso


Tra i protagonisti della composita compagnia di scalatori, schierati a geometria variabile su diversi fronti, esiste una solidarietà di fondo. I contatti tra Fiorani, Gnutti, Ricucci e Consorte sono fittissimi. Insieme decidono tutte le loro mosse. Si parlano e prendono decisioni solo dopo essersi consultati. Fra i quattro del poker d’assi sembra esserci una comunicazione costante e un continuo scambio d’informazioni.

Esiste, allora, una scalata “cattiva” (quella di Fiorani su Antonveneta) e una scalata “buona” (quella di Consorte su Bnl), come hanno ripetutamente affermato Fassino («La vicenda Bnl è molto diversa dalla scalata Antonveneta») e D’Alema («Non possiamo omologare le storie, in Antonveneta c’è la magistratura che indaga, staremo a vedere»)?

Certo, Fiorani è inarrivabile, nei pasticci che ha creato dentro i conti della sua banca, nei prestiti agli “amici”, nei fondi creati ai Caraibi, nell’aumento di capitale, nelle finte cessioni messe in scena per ricostruire il patrimonio... Ma che le due scalate siano radicalmente diverse è difficile da dimostrare. Non ne sono convinti gli investigatori: scrive infatti il giudice preliminare Clementina Forleo, nella sua ordinanza su Antonveneta, che «dalle intercettazioni emerge l’esistenza di accordi riservati in ordine a entrambe le scalate bancarie». Ma non ci credono neppure i diretti protagonisti, che nelle telefonate del 23 luglio, temendo le indagini in corso, discutono addirittura se anticipare i magistrati e dichiarare essi stessi l’allargamento del “concerto” anche a Unipol: discutono cioè se ammettere formalmente che l’alleanza sotterranea Fiorani-Gnutti-Ricucci (e compagnia scalante) è allargata anche a Consorte.

È la giornata più delicata per il manager “rosso”. Ecco com’è raccontata nel brogliaccio della guardia di finanza:

Ore 19.02, Fiorani per Gnutti. Fiorani gli dice che sta mettendo a punto un ricorso al Tar e parla di estendere il patto a Ricucci, ma allo stesso prezzo. «L’unica cosa che cambierebbe è che il patto parasociale è di quattro soci e non più di tre, dichiarando che prima non c’era e che questo patto è nuovo». A quel punto Fiorani propone di «estendere il patto anche a Unipol».

Ore 19.25. Gnutti dice a un certo Manuele che «ieri sera pareva che volessero concertare anche Unipol». Manuele commenta che «è tutta politica, è una partita che stanno giocando a colpi bassi».

Il “concerto” non sarà dichiarato dagli scalatori, né richiesto dai magistrati di Milano Eugenio Fusco e Giulia Perrotti, coordinati da Francesco Greco (che indagano su Antonveneta, non su Bnl, su cui lavora la procura di Roma). Ma che i rapporti tra i quattro siano costanti e intensi è fuor di discussione.

Nella settimana tra lunedì 18 e venerdì 22 aprile (la settimana in cui, secondo la Consob, si mostra l’evidenza del “concerto” per Antonveneta), avvengono imponenti movimenti d’azioni Bnl. Passa di mano il 10 per cento della banca romana, per un valore di 700 milioni di euro. Ricucci, Coppola, Statuto portano pacchi di titoli Bnl alle banche (soprattutto alla Popolare di Lodi, ma anche a Meliorbanca, al Sanpaolo, al Banco di Sardegna controllato dalla Popolare dell’Emilia). In cambio ottengono nuove aperture di credito, che usano per rastrellare azioni Antonveneta. Mario Gerevini, sul Corriere della sera del 19 maggio, scrive che è in atto una «partita doppia» tra cordata Bnl e cordata Antonveneta. Un doppio “concerto”, con connessioni pianificate tra le due scalate, che coinvolge anche Consorte.

Un appunto della guardia di finanza, il 3 luglio riferisce che Caltagirone (chiamato nelle telefonate «l’ingegnere») secondo Fiorani vuole troppo. Il banchiere di Lodi dice, a questo proposito, che bisogna aiutare invece Consorte:

«Fiorani dice che l’ingegnere, rivendicando il fatto di controllare loro tre e anche Lonati, vuole la presidenza per almeno nove anni, e il diritto di veto: non vuole nessuno che gli giri intorno, vuole mettere i suoi uomini. Fiorani riferisce che sotto questo profilo fa fatica a dare torto a Gianni (Consorte)». Gnutti risponde che «se c’è bisogno di aiutare Gianni non c’è nessun problema». La conclusione di Fiorani è che prima bisogna chiudere la vicenda Antonveneta, «dopo di che salderanno Bnl».

Il 5 luglio Consorte parla con un certo Pierluigi (Bersani?) e a proposito dei rapporti con gli immobiliaristi del “contropatto” gli dice: «Si sta mettendo bene e quindi domani tornerò a Bologna perché bisogna convocare un po’ di cooperative» (povere cooperative, ridotte a massa di manovra per i progetti di Consorte). Pierluigi gli chiede se usciranno tutti da Bnl. Consorte risponde che sì, uscirà anche Caltagirone, perché tra loro, banche, Hopa e coop hanno il 52 per cento.

Il patto segreto tra gli scalatori delle due banche, Antonveneta e Bnl, prevede che tutti i “concertisti” abbiano la possibilità di guadagnare da entrambe le operazioni. Poi non esclude che, alla fine, alcuni degli alleati possano lanciarsi in altri affari: l’assalto a Rcs, grandi manovre su Capitalia, un’opa sulla Fiat... Giovanni Consorte ne parla il 6 luglio con il tesoriere Ds Ugo Sposetti. E a lui chiede di avere notizie per sapere se davvero nel progetto di opa sulla Fiat «c’è di mezzo anche Berlusconi». Il brogliaccio annota:

«Consorte dice che ha chiuso l’operazione con quelle persone (i sette che hanno il 27,5 per cento di Bnl) e spiega che domani sarà a Roma per definire le ultime cose e chiudere definitivamente». Poi riferisce a Sposetti dei contatti con i suoi interlocutori politici. «Dice che più tardi chiamerà Fassino per informarlo della vicenda. Spiega che Isvap e Bankitalia gli hanno dato l’autorizzazione. Dice che anche con Berlusconi non ci sono problemi, dato che uscendo l’ingegnere (verosimilmente Caltagirone) diventa un’operazione totalmente della sinistra (Unipol, Popolari e cooperative)». Poi si parla di una possibile nuova scalata. «Consorte chiede a Sposetti di fare una cosa per lui e cioè di verificare la notizia secondo la quale sembra che stiano preparando una opa sulla Fiat, e che nell’opa c’è di mezzo anche Berlusconi. Sposetti sostiene che la cosa è molto possibile». A questo punto «Consorte raccomanda di usare la massima discrezione perché il conflitto di interessi è enorme».

I contatti tra Consorte, Fiorani e Gnutti restano intensi. Si delinea l’esistenza di un «progettone» comune, si palesa la presenza di prestanome e s’intuisce la speranza di uno scambio tra i due fronti («Più piaceri ora fanno di qua e più Gnutti potrà chiedere di là»):

7 luglio, ore 19.29. Un certo Ettore (Lonati?) dice a Gnutti «che hanno finito e si ritroveranno lunedì a Roma a vedere di concludere. Ettore dice che Unipol deve riunire i suoi per vedere di fare accettare quello che hanno proposto. Aggiunge che non perderanno una cifra e che più piaceri ora fanno di qua e più Gnutti potrà chiedere di là».
10 luglio. Un certo Ugo dice che «Fazio ha dovuto prendere le distanze da Fiorani e dai vari Geronzi e ora si trova con persone per bene che siamo noi di Unipol. Se non ci fossimo stati noi, Fazio sarebbe stato perso».

12 luglio. Caltagirone chiama Consorte e gli chiede di «confermare i tre nomi romani». Consorte gli risponde che «il terzo nome non può dirlo perché è il prestanome di una banca».

13 luglio, ore 20.06. Consorte comunica a Gnutti che per Bnl «è tutto fatto». Gnutti gli risponde che anche loro per Antonveneta «hanno chiuso con i giapponesi, con tutti, col governatore» e aggiunge che «ora stanno chiudendo gli accordi insieme a Caltagirone e domenica faranno tutto».

15 luglio, ore 9.02. Cirla, dirigente di Interbanca (gruppo Antonveneta), chiede a Gnutti «se ci sono novità». Gnutti dice che prenderanno il 5 per cento di Bnl e lo faranno per Gianni (Consorte) perché «nel progettone finale giustificheranno industrialmente l’operazione».

Il 15 luglio alle 15.11 c’è una importante conference call sulla scalata di Unipol a Bnl. Una riunione telefonica a cui partecipano Fiorani, Gnutti, Ricucci e altri, in cui si accenna a un «documento segreto» che Gnutti farà girare e poi conserverà in copia unica. Così l’assemblea via cavo è ricostruita dalla guardia di finanza:

«Gnutti dice che gli amici di Unipol vogliono lanciare l’opa volontaria su Bnl... e che è stato chiesto anche a loro di entrare nel patto parasociale previo acquisto del 4,99 per cento del capitale sociale di Bnl. Dice che prevede una call a trenta giorni a loro favore nel caso in cui l’opa non raggiunga il 51 per cento». E poi spiega che «la firma della costituzione del patto parasociale li coobbliga con loro nel lancio dell’opa, e che tutto quello che verrà dall’opa se lo pagheranno loro». Poi Gnutti parla di un documento che dovrà rimanere segreto: «Gnutti dice che farà circolare un documento che ribadirà questo discorso e che manterrà solo lui come unico esemplare».

L’impegno su più fronti del gruppo continua. Il 17 luglio, alle 20.48, Stefano (Ricucci) chiama Gianni (Consorte) per chiedergli un posto nel consiglio d’amministrazione della futura Bnl:

«Consorte dice che ormai sono in dirittura d’arrivo. Stefano fa le sue richieste riguardo al suo posto in consiglio. Gianni risponde che il suo posto in consiglio sarà disponibile alla sola condizione che Bilbao non faccia blocco, perché in quel caso ci sarebbe spazio solo per otto consiglieri che dovrebbero essere tutti di Unipol. Stefano convalida, dicendo che in quel caso lui sarà disposto a dimettersi per lasciare il posto ai consiglieri Unipol».

Il 19 luglio, altre telefonate tra Consorte e Fiorani. Il primo si rivolge al banchiere di Lodi perfino per chiedere qualche buon nome per la presidenza della banca, dopo che sarà conquistata:

Consorte chiede a Fiorani di «pensare a due-tre possibili presidenti di prestigio, che loro possono avvicinare». Fiorani dice che Montani è venuto fuori da Leoni che avrà avuto l’imbeccata dal governatore. Fiorani fa il nome di Paolillo. Consorte dice che va bene. Poi gli dice che la settimana prossima mangeranno insieme «così mi dici tutti i tuoi pensieri».
Che la partita in corso sia una, pur divisa su più fronti, è confermato anche da Luigi Gargiulo, il ragioniere di fiducia di Ricucci. Il 19 luglio, Gargiulo conferma infatti che:

«Alla fine venderanno anche Antonveneta e poi punteranno tutto su Rcs e che gli serve anche il titolo Capitalia».

Il 22 luglio è Fiorani ad annunciare a Gnutti che «Bilbao ha rinunciato» a Bnl perché «Unipol ha fatto prima di loro». Fiorani parla di Gianni Consorte e dice di fare «un incontro la settimana prossima»:
«Gnutti dice che gli fanno dei problemi. Consorte risponde che gli spagnoli si sono ritirati. Consorte dice che Spinelli e gli altri hanno detto che gli danno tutti i soldi che vuole per fare Bnl».
Il “concerto” destra-sinistra appare dunque evidente. Dall’inizio alla fine della battaglia.

I fatti/3. Telefono rosso


A leggerli, i testi delle intercettazioni, si capisce subito il fastidio di alcuni politici, anche di sinistra: è il fastidio degli intercettati. Sono infatti rimaste registrate anche alcune loro telefonate. Non per scelta degli investigatori, che avevano legittimamente sotto controllo alcuni banchieri e finanzieri. Ma questi telefonavano anche a parlamentari e uomini politici; e poi tra di loro commentavano e riferivano quelle telefonate. Così, malgrado gli omissis di legge subito apposti dai magistrati, sappiamo che a parlare di affari con gli scalatori sono in molti, dal senatore Luigi Grillo di Forza Italia al deputato Udc Ivo Tarolli, dal presidente Ds Massimo D’Alema al segretario del partito Piero Fassino, dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga al sottosegretario alla Difesa Salvatore Cicu, dal senatore della Quercia ed ex segretario di D’Alema Nicola Latorre al senatore e tesoriere Ds Ugo Sposetti, dal senatore di Forza Italia Romano Comincioli, compagno di scuola e poi prestanome di Silvio Berlusconi, al presidente della Regione Lazio Piero Marrazzo, fino a Gianni Letta, che del governo Berlusconi è l’eminenza grigia... Coinvolto direttamente nella vicenda anche il ministro Giulio Tremonti, a cui Consorte ha chiesto una consulenza attraverso il commercialista Claudio Zulli, socio di studio del ri-ministro dell’Economia.

Molte intercettazioni non le leggeremo mai: perché sono processualmente inutilizzabili, e anzi da distruggere, tutte quelle trascrizioni in cui a parlare sono i deputati o i senatori. Eppure, anche a fermarsi a quel che si può legittimamente conoscere, il quadro è desolante.

In questa storia di soldi, politica, informazione e potere, la notte tra l’11 e il 12 luglio 2005 è cruciale: è la notte in cui Fazio annuncia il suo sì a Fiorani, ricambiato con un bacio in fronte. Quella sera Gnutti è a cena con Berlusconi. Subito dopo l’annuncio, il quartetto delle scalate si scambia la notizia e festeggia.
Berlusconi viene subito messo al corrente della decisione del governatore e, almeno secondo quanto dice Fiorani, si mostra «commosso della cosa».

Che la regia delle tre scalate sia unica, quella notte appare evidente: Gnutti riferisce a Fiorani di aver detto a Berlusconi «che andremo avanti con Rcs e che ci deve dare una mano», altrimenti «la sinistra prende tutto»; e Fiorani gli risponde che però, «in questo momento», «la sinistra ci ha appoggiato più di quanto abbia fatto il governatore...».
Poi Gnutti riceve una chiamata da Ricucci. E infine chiama Ivano: con tutta probabilità si tratta di Ivano Sacchetti, il numero due di Unipol. Fiorani, Gnutti, Ricucci, Sacchetti (dunque Consorte): nel giorno del tripudio il poker d’assi festeggia al gran completo.

Consorte in persona chiama anche Fassino. E poche ore dopo contatta un certo Pierluigi (Bersani?). Gli annuncia che «per domani lo ha chiamato il governatore». Poi gli riferisce «che Letta ha chiamato Caltagirone e si è adirato perché voleva che lui ci fosse, perché l’operazione non sembrasse di sinistra». Consorte dice «che Gnutti ne ha parlato con Berlusconi». L’aria di Bicamerale degli affari è ormai chiarissima.
Ecco il dialogo del 12 luglio, ore 10.03, tra Ivano Sacchetti (il numero due di Unipol) e Chicco Gnutti:

Ivano: «Ho letto sui giornali che vai a un pranzo con Berlusconi».
Gnutti: «Ci sono già stato ieri sera».
Ivano: «Avresti dovuto parlargli di...».
Gnutti: «...L’ho fatto! ...quindi a Berlusconi ho detto che con buona probabilità andrò in appoggio anche di là perché mi pare corretto e giusto e Berlusconi ha detto che faccio bene... Io ho detto a Berlusconi che a noi interessa molto appoggiare Gianpiero perché dall’altra parte stiamo facendo quell’altra... Per cui, per una questione di equilibrio, si fa una per uno. Berlusconi mi ha detto che faccio bene».

Lo scambio è chiarissimo: «Per una questione d’equilibrio, si fa una per uno». Una a te, una a me; una a destra, una a sinistra. Antonveneta a Fiorani, Bnl a Consorte. Dunque destra e sinistra, in questa storia, non sono alternative, ma complementari. E Berlusconi, almeno secondo quanto riferisce Gnutti, è informato in diretta di quel che sta accadendo. E approva.

Anche Consorte, come Fiorani, parla direttamente con la Banca d’Italia (mentre per i suoi concorrenti, i baschi del Banco di Bilbao, i contatti sono chiusi). Il suo interlocutore è, oltre che il governatore, Francesco Frasca, il capo della Vigilanza. A lui riferisce, alle 18.21 del 12 luglio, le operazioni in corso. E gli chiede aiuto: «Gianni gli dice che ha bisogno di lui», riporta il brogliaccio. Alle 19.01 Frasca lo richiama: «Dice che il governatore voleva incontrarlo per capire bene tutta la struttura... Frasca gli farà sapere dell’incontro con il governatore...». I contatti proseguono nei giorni seguenti.

Il capo della Vigilanza tira poi un sospiro di sollievo – con Fiorani e tutta la compagnia scalante – quando il 20 luglio il Tar del Lazio dà ragione agli scalatori: «La procura di Roma prima andava su un’autostrada a sei corsie, ora ha davanti una strada di montagna». Ma Frasca, inverità, pare preoccupato delle indagini di Milano, non di quelle di Roma.

Il 21 luglio, alla vigilia della vittoria in Bnl, Consorte è già subissato da sms di congratulazioni. Ed entra in scena anche il ministro Giulio Tremonti. Consorte chiama Claudio Zulli, commercialista associato al suo studio. Tremonti, dice Zulli, è a conoscenza dell’operazione e «si è mosso e ha seguito questa vicenda con molta ammirazione», anzi, ha addirittura «fatto il tifo». Consorte gli è grato: «Tu sai che il governo ci ha dato una mano e sai come ragiono io, la riconoscenza va data al punto giusto». Dunque: il governo (Berlusconi) ha dato una mano alle scalate e a Unipol, dice Consorte. E ora arriverà la «riconoscenza». Qual è il «punto giusto»?

I fatti/4. La Bicamerale degli affari


Il movimento cooperativo è un grande fenomeno imprenditoriale, con 400 mila occupati, 7 milioni di soci, 45,7 miliardi di euro di giro d’affari. Non sono le cooperative ad essere oggetto di odio «razzista». E nemmeno Unipol, che è una grande compagnia assicurativa nata e cresciuta in quel mondo. Ciò che viene criticato è semmai l’attivismo di Giovanni Consorte, la sua spregiudicatezza, le sue alleanze. È impressionante vedere la ragnatela di intrecci azionari che lega tra loro i quattro protagonisti delle scalate d’estate, il poker d’assi Fiorani-Gnutti-Ricucci-Consorte.

Giovanni Consorte, cinquantasettenne ingegnere di Chieti, è entrato in Unipol quando questa era “l’assicurazione dei comunisti” e l’ha portata a veleggiare nel mare aperto del mercato. L’ha “laicizzata”, l’ha fatta crescere, l’ha collocata nel gruppo di vertice delle assicurazioni italiane. Stringendo alleanze prima impensabili.

Ha legami diretti (e incrociati) sia con Fiorani, sia con Gnutti. Con il banchiere di Lodi, Consorte è stato socio nell’assalto ad Antonveneta, di cui Unipol è giunta a controllare il 3,7 per cento. Poi, attraverso Aurora Assicurazioni, ha una partecipazione del 5,7 per cento in Reti Bancarie, una subholding della Popolare di Lodi. Viceversa, la Popolare di Lodi possiede il 2 per cento di Unipol.

Vittorio Malagutti sull’Espresso ha raccontato anche il miracoloso fido di 4 milioni di euro della Popolare di Lodi a Consorte: chiesto il 27 dicembre, tra Natale e Capodanno, è stato concesso in ventiquattr’ore, senza bisogno d’alcuna garanzia. Proprio nelle settimane seguenti, altri 38 “amici” di Fiorani hanno ottenuto finanziamenti per 1,1 miliardi di euro poi utilizzati per comprare azioni Antonveneta. E proprio in quelle settimane sono partite, sotto traccia, le scalate incrociate: Unipol ha rastrellato il 3,7 per cento di Antonveneta, mentre Lodi ha messo insieme l’1,4 di Bnl. Ben prima che le due scalate fossero dichiarate al mercato: miracoli della preveggenza.

Con il finanziere bresciano Chicco Gnutti i legami di Consorte sono più antichi e ancora più stretti. Unipol possiede infatti il 7,1 della sua finanziaria Hopa. D’altra parte, Hopa e Fingruppo (altra finanziaria di Gnutti) insieme avevano il 15 di Unipol Merchant. E Hopa aveva anche il 20 per cento di Finsoe, la società che controlla Unipol. Ma questi due legami sono stati prima annacquati, poi azzerati. Hopa è completamente uscita da Unipol il 1 aprile 2005. Gnutti aveva anche il 21 per cento di Finec, la finanziaria che controllava, a cascata, Ariete, che controllava Holmo che controllava Finsoe che controllava Unipol. Un’architettura societaria così arzigogolata e autoreferenziale, piena di scatole cinesi e partecipazioni incrociate, da far invidia perfino alla vecchia «costruzione gotico-castrense» delle 23 holding berlusconiane. Alla faccia della trasparenza che ci si aspetterebbe dal movimento cooperativo.

Solo nella primavera 2005 Consorte aveva fatto ordine in casa (in previsione della scalata Bnl?), semplificando la catena di controllo ed eliminando i controlli incrociati. Finec, per esempio, si era fusa in Ariete ed erano stati allentati i rapporti con le società di Gnutti. Allentati, ma non annullati. Hopa, per esempio, ha mantenuto un 5 per cento in Finsoe.

Se c’è una Bicamerale della finanza, questa si chiama Hopa. È proprio in questa holding controllata e presieduta da Gnutti che siedono insieme i protagonisti della “finanza rossa” e gli amici e consiglieri di Berlusconi. Vicepresidente di Hopa è Giovanni Consorte, tra i consiglieri ci sono Stefano Bellaveglia (il dalemiano vicepresidente di Montepaschi), ma anche Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci e Ubaldo Livolsi (il finanziere di Berlusconi operativo nella scalata al Corriere tentata da Ricucci).

Nel collegio sindacale di Hopa, infine, c’è Achille Frattini, professionista di fiducia di Berlusconi, che l’ha messo in una moltitudine di collegi sindacali. È, tra l’altro, presidente del collegio sindacale di Mediaset e anche di quello di Idra, la società che custodisce le proprietà immobiliari del Cavaliere, prima fra tutte Villa Certosa. Insomma: Hopa, la plancia di comando delle scalate tenuta appositamente fuori dai movimenti dei “concertisti”, è il salotto della Nuova Bicamerale.

Cerniere, punti d’incontro tra i due fronti, però, ce ne sono anche altri. Claudio Sposito, ex amministratore delegato di Fininvest, è indicato nelle telefonate intercettate come colui che finanzierà l’avventura di Consorte acquistando, attraverso il suo fondo Clessidra (il più grande fondo di private equity italiano) un buon pacchetto di Aurora Assicurazioni, controllata da Unipol.

Federico Imbert, l’uomo di Jp Morgan in Italia, nell’aprile 2005 ha realizzato per Berlusconi l’imponente collocamento del 17 per cento di Mediaset. Ma è anche nel pool di banche che assistono Consorte nell’operazione Bnl e Jp Morgan possiede il 2 per cento di Finsoe, la cassaforte che controlla Unipol. Il 25 maggio Imbert è stato ricevuto a Palazzo Chigi, secondo quanto annunciato da un comunicato della presidenza del Consiglio che non spiega però i motivi della visita.

E poi c’è Earchimede. E qui la faccenda si fa delicata. La società è una subholding di Hopa ed è presieduta da Gnutti. Ma è partecipata da Lodi (11,92 per cento) e tra i soci ha altri “concertisti” bresciani, come i fratelli Lonati (7 per cento). E poi Unipol: Consorte, attraverso Unipol Merchant e Aurora Assicurazioni, controlla il 14 per cento del capitale, dunque è l’azionista più importante dopo Gnutti.

Ha una strana storia, Earchimede. Nasce come incubator per il web, per tutto il 2002 non fa granché, fatturato minimo, perdite consistenti. Poi diventa holding di partecipazioni e nel 2004 comincia a fare utili. Ma sempre con piccoli affari, mentre il capitale è diventato imponente: 212 milioni. Inspiegabile un tale immobilizzo di denaro. «A meno che si fosse in attesa del grande affare», scrive il Sole 24 ore il 28 luglio. E il grande affare arriva nell’estate 2005, quando a Earchimede finisce una delle più grandi tra le cessioni fatte da Fiorani per far quadrare, almeno apparentemente, i suoi conti patrimoniali: le arrivano le quote di Efibanca e Bpl Ducato.

In una telefonata del 29 giugno, ore 15.10, Fiorani parla dell’operazione con Consorte. I due fanno riferimento a un consiglio d’amministrazione della società Earchimede, durante il quale dovranno deliberare «un acquisto di partecipazioni nostre che sono Ducato».

Fiorani: «Ecco un’altra cosa! Oggi c’è un consiglio Earchimede e tu hai un tuo consigliere dentro e anche un sindaco».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Loro deliberano, diciamo temporaneamente con la T maiuscola, dell’acquisto di partecipazioni nostre che sono Ducato».
Consorte: «Aspetta un secondo che non sento... deliberano?».
Fiorani: «Sì! Deliberano l’acquisto di due partecipazioni quota minimale di Ducato e di... e di aspetta... Efibanca».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «E vengono deliberate con lo scopo di fare un’operazione diciamo così di...».
Consorte: «Ho già capito!».
Fiorani: «Hai già capito! Tutto lì! Dopodiché è un’operazione che però renderà a Earchimede 2.500.000 di fees».
Consorte: «Mmmmmmmmmmm».
Fiorani: «Che è l’ammontare che serve a Earchimede per avere il bilancio in utile dopo le svalutazioni che deve fare che ha potuto fare purtroppo il fondo là di quel di Capomolla & Company».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Quindi allora sono garantiti e un utile guadagnano te lo dico perché se tu hai dentro uno in consiglio di amministrazione e hai un sindaco tuo».
Consorte: «Sì!».
Fiorani: «Se gli mandi un accenno che è tutto ok».

Poco dopo, alle 17.24, Fiorani contatta Gnutti, che lo aveva cercato perché voleva un affidamento di 30 milioni per comprare azioni Eni. Ma prima Fiorani gli dice che la questione Earchimede «la sta mettendo a posto Giovanni». Concerto rosso. Roba da “furbetti del quartierino”.

I fatti/5. No anche dentro i Ds


Chi critica la “scalata rossa” (e i suoi sostenitori dentro la politica) lo fa perché pregiudizialmente ostile ai “riformisti”? Perché affetto da “girotondismo rancido”? Perché fa gli interessi di una parte del capitalismo italiano (l’asse Della Valle-Montezemolo)? O perché ha interessi di partito e, dentro il centrosinistra, vuole sottrarre voti ai Ds?

Alcuni partiti dell’Unione, dalla Margherita all’Udeur, hanno preso a pretesto le scalate per aumentare il loro peso nell’alleanza e rosicchiare voti al primo partito della sinistra: «Per spolpare l’osso dei Ds», dice Vannino Chiti alla Stampa il 7 agosto. È così?
Può darsi che ci siano anche queste componenti nelle intenzioni di chi, nell’estate 2005, ha voluto riaprire la “questione morale”. Ma la storia dell’osso da spolpare non spiega una cosa: il vasto disagio provocato da queste vicende dentro i Ds e il loro mondo. Molti non lo esprimono all’esterno, per timore di indebolire il partito alla vigilia di un cruciale scontro elettorale. Ma il disagio c’è, profondo e diffuso.

Nettamente contrari agli scalatori sono Franco Bassanini, Giuliano Amato, Roberto Barbieri, Enrico Morando, tutti perplessi sul ruolo giocato da Unipol in questa partita. Un no chiaro a Consorte e ai suoi piani è arrivato dall’altro grande polo della “finanza rossa”, il Monte dei Paschi, e da tutti i Ds di Siena. Cauto e insoddisfatto si è mostrato Lanfranco Turci, in passato presidente di Lega coop e oggi senatore Ds, che è andato significativamente nella città tascana sede del Montepaschi e capitale dei diessini “dissidenti” per un affollato dibattito su «Siena, città della finanza». Fredda nei confronti dell’operazione Unipol-Bnl è una parte dello stesso mondo cooperativo, da Turiddu Campaini di Unicoop Toscana alle coop dell’Umbria, fino a Silvano Ambrosetti della Coop Lombardia.

Contrario il mondo sindacale della Cgil. A partire dal numero uno Guglielmo Epifani, che il 19 luglio ha dichiarato: «Per quello che riguarda la Cgil, non eravamo né siamo convinti che questa sia la soluzione migliore per Bnl. Unipol si caricherà di troppi debiti per un’azienda, la Bnl, che è in difficoltà da anni, che avrebbe bisogno di una grande banca internazionale per essere rilanciata. Questa era l’opinione della Cgil, e questa resta l’opinione della Cgil. Poi Unipol agisce secondo quanto ritiene utile pe sé».

Carlo Ghezzi, ultimo consigliere d’amministrazione Unipol espresso dalla Cgil, ricorda come il sindacato decise di uscire dalla compagnia bolognese: «Era il 1999, l’Unipol finì per partecipare alla scalata Telecom. Fu allora che, con il segretario generale Sergio Cofferati, prendemmo la decisione: uscire dal consiglio d’amministrazione. Questa scelta, vista ora, appare lungimirante. In queste scalate vedo solo un gran movimento di capitali che puntano alla rendita. Legittimo, per carità. Ma dalla sinistra mi aspetterei attenzione ai progetti innovativi per rilanciare l’economia reale».

Netta l’opposizione dei sindacati bancari. Il segretario dell’Emilia-Romagna della Fisac (i bancari della Cgil), Giorgio Romagnoli, definisce quella di Unipol «una cattiva soluzione, non certo un esempio di trasparenza. Un’operazione pericolosissima, azzardata, sbagliata». Domenico Moccia, che della Fisac-Cgil è il segretario generale, è durissimo quando afferma che Consorte sta mettendo a rischio il patrimonio materiale e morale delle cooperative e che «la sinistra non può accettare il modello Pretty Woman, film in cui il finanziere interpretato da Richard Gere vuole distruggere un’impresa, strangolandola finanziariamente, per poi realizzare un’operazione puramente speculativa».

C’è insomma tutto un universo, non nemico o concorrente, ma interno alla sinistra e alla Quercia, che non applaude neanche un po’ il boss dell’Unipol Giovanni Consorte, le sue scelte e le sue cattive compagnie. Anzi. Dentro questo mondo ci sono motivazioni e toni diversi, ma tutti, con belle maniere, accenti differenti e modi gentili, mostrano un’unica preoccupazione: che la partita giocata da Consorte coinvolga tutto il partito. E magari finisca per trascinarlo nel fango.

 

Tags: ds, banche, scalate, fiorani, bnl, consorte, unipol, furbetti

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