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Giuseppe Statuto, storia del primo miliardo

21.10.2005 - L'inchiesta vecchio stile
Giuseppe Statuto, storia del primo miliardo

È più defilato di Stefano Ricucci. Più presentabile di Danilo Coppola. Meno provvisorio di entrambi. Ma non meno misteriosa è l’origine della sua improvvisa ricchezza. Che ha una data: 22 maggio 2003. E un luogo di nascita: le Isole Vergini Britanniche. Ecco, società per società, come è avvenuto il parto
di Domenico Marcello


Non porta stivali texani e chiome alla spalla come Danilo Coppola. Non ha le frequentazioni patinate del socialite de noantri Stefano Ricucci. Eppure è amico, e socio, di entrambi. La stampa finanziaria, che apprezza il basso profilo, lo tratta con rispetto. Gli evita le insinuazioni che, a volte, riserva ad altri immobiliaristi scalatori di banche. Lui è serio. Lui si sa da dove viene. Lui non si paragona a Bill Gates, come è incredibilmente riuscito a fare il Magiste elegantiarum in un’intervista al Corriere. Lui ha un modello che incute reverenza e si chiama Francesco Gaetano Caltagirone, uomo fra i più liquidi d’Italia con 2 miliardi di baiocchi in contanti, padrone di giornali che non parla coi giornali, suocero del successore politico di Silvio Berlusconi, Pierferdinando Casini. Direbbero a Roma: uno che mena.
Giuseppe Statuto, di anni 38, ha molto in comune con il costruttore ed editore del Messaggero. Come le origini dei Caltagirone sono sicule, così quelle di Statuto si trovano a Casaluce, nell’agro aversano, dove nacque il capostipite Raffaele, appaltatore. Gli Statuto sono arrivati nella capitale in tempi recenti. Hanno incominciato a costruire, cose piccole. Ma non è questo l’importante. A Roma, l’importante è parlare latino, la lingua per niente morta del potere. E il latino, o lo sai o non lo impari. Gli Statuto lo sapevano per dono di natura, soprattutto Giuseppe. E lui, secondo di tre figli, ha saputo conquistarsi i canali giusti. Una volta consolidatosi a Roma, è sbarcato in forze nella capitale morale del mattone, Milano.
Tutto questo è successo in poco più di dieci anni in totale, contando dalla scomparsa del capofamiglia. Quando Raffaele Statuto è morto, nel 1992, le redini dell’azienda sono passate a Giuseppe, non al primogenito Domenico, maggiore di tre anni. Laureato in Filologia musicale all’università di Pavia ed esperto suonatore di clavicembalo, Domenico oggi si dedica principalmente alla ristorazione (Il bicchiere di Mastai e la Cappa Manzoniana a Roma, la Città della scienza a Napoli), mentre il minore, il trentenne Ivan, fa esperienza in società minori del gruppo Michele Amari.

Soldi Amari. Michele Amari: è così che si chiama la holding romana o, per esattezza, la ex holding della famiglia Statuto con sede in piazza San Bernardo, in cima a via Barberini. La società era stata fondata nel 1991 da un altro costruttore poco più anziano di Giuseppe Statuto ma, al tempo, molto più noto. A vendere la Michele Amari nel 1994 fu la Fimar dell’allora trentenne Alfio Marchini, il nipote di Alfio senior, detto il palazzinaro rosso perché era così comunista da regalare il palazzo di Botteghe Oscure al Pci. Ma non così comunista da disdegnare i soldi di Italcasse, banca dei palazzinari bianchi per eccellenza, i fratelli Caltagirone. Il rapporto si è conservato nelle generazioni. Marchini e Caltagirone a Roma sono un asse di ferro negli affari, confermato dalla tentata opa sulla spagnola Metrovacesa.
Ai tempi della cessione da parte della Fimar, Michele Amari era poco più che una scatola. Oggi è un prodigio dell’economia italiana del duemila, periodo che conta ben pochi miracoli. Alla fine del 2001, l’immobiliare degli Statuto era una piccola società che portava a casa 79 milioni di euro di ricavi con una perdita di bilancio di 1,4 milioni. Nel 2002 il fatturato era passato a 100 milioni con un utile di 10. Nel 2003, l’anno in cui inizia la scalata alla Banca nazionale del lavoro, ci sono vendite più che raddoppiate: 269 milioni di euro. L’anno scorso, il gruppo ha incassato 531 milioni di euro con 20 milioni di utile. Nel giro di tre esercizi, dal 2002 al 2004, Statuto è passato da piccolo imprenditore a Mister 1.000 miliardi di vecchie lire con un ruolo strategico non solo nella vicenda Bnl, ma in una serie di salotti e salottini finanziari dove si costruiscono plusvalenze di Borsa e bolle speculative assortite. Le ultime stime riferite al 2005, ed elaborate da lui stesso, parlano di un patrimonio che sfiora il miliardo di euro. L’ascesa di Statuto è di certo fulminante, ma non sembra provvisoria come quelle di Ricucci e Coppola, che sono emersi in cronaca prima del collega casertano e però oggi hanno il fiato corto. Coppola tenta di farsi perdonare le origini lussemburghesi e piuttosto oscure dei suoi investimenti portando le società in Italia. Ricucci si è visto presentare il conto dalle banche che lo hanno finanziato e che sono le vere vincitrici di questi anni di vacche magre.
Statuto, uno che sa stare al suo posto, continua invece ad andare d’amore e d’accordo con gli istituti di credito. Compra e vende a getto continuo, tanto che le immobiliari controllate dal gruppo Michele Amari sono diventate 19 nel bilancio consolidato dell’anno scorso. Come ha fatto? La sua versione è semplice.
Nel maggio 2003 Statuto ha costituito una joint-venture fra la sua Michele Amari e l’immobiliare della banca Lehman Brothers, rappresentata in Italia da Ruggero Magnoni. Questa società 50/50 è stata chiamata Resitalia scarl ed è domiciliata in Lussemburgo. Michele Amari avrebbe messo in Resitalia alcune immobiliari. In cambio, avrebbe ottenuto da Lehman Brother Real Estate Partners 105 milioni di euro. Con questi soldi, colto da illuminazione, Statuto si è messo a comprare azioni Bnl a più non posso. I valori sono cresciuti, lui ha continuato a comprare e, al momento di vendere nel mese di luglio, si è trovato straricco. L’acquirente Unipol ha consentito alla Michele Amari una plusvalenza valutata in circa 200 milioni di euro. Facile come scriverlo.
Non per sfiducia, ma le autobiografie dei nuovi immobiliaristi possono contenere aspetti romanzati alla Paperon de’ Paperoni. Per citare di nuovo Ricucci, il neosposo di Anna Falchi riuscì a fare scrivere che il primo miliardo lo aveva fatto con il trading di sportelli bancari, un’attività economica sulla cui natura gli esperti tuttora si interrogano.
Nel caso di Resitalia, i documenti parlano di quattro società conferite nel maggio 2003: Lodi, Agrippa, Magolfa e Navigli. Secondo quanto si legge nel bilancio 2003 della Michele Amari, si tratta di «quattro società che detengono ogn’una (sic) quattro distinte iniziative immobiliari nel Comune di Milano con valori di vendita totali stimati in euro 153 milioni». Si direbbe, quindi, che la metà di Resitalia valga al massimo 76,5 milioni, a non volere fare un soldo di profitto e comprando al prezzo di dettaglio. Invece, arrivano oltre 100 milioni.
Difficile pensare che il partner abbia largheggiato, soprattutto se il partner è uno come Magnoni, banchiere di lunghissimo corso, ottimo amico di Carlo De Benedetti, consigliere di Roberto Colaninno nella scalata alla Telecom e fratello di quel Piersandro che aveva sposato la figlia di Michele Sindona. Fatto sta che l’accordo con Lehman è una svolta. Nel giro di pochi mesi del 2003, l’oscuro immobiliarista aversano si avvia a diventare un protagonista. Un po’ di cronologia dei documenti della Michele Amari può aiutare a ricostruire questa fase cruciale.
Come per i giocatori di serie A, esiste una data certa di esordio. Il debutto in pubblico avviene il 5 novembre 2003 sul Sole 24 ore. Prima, Giuseppe Statuto o le aziende della sua famiglia non erano mai apparsi una sola volta sulla stampa nazionale. La cronaca si occupa del giovane imprenditore come del raider che ha già comprato un pacchetto di Bnl vicino all’1,6 per cento per un controvalore di 60 milioni. Sotto il 2 per cento, per i regolamenti Consob, non ci sarebbe l’obbligo di dichiarare l’investimento. Ma Statuto, sua sponte, rivela di avere incominciato a rastrellare sette mesi prima, ossia ai primi di aprile del 2003, ossia un mese prima di avere chiuso l’accordo con Lehman Brothers Real Estate Partners, dunque quando, in teoria, i soldi non li aveva.
Come gli sia venuto in mente di giocarsi tanti euro in Bnl (per lui, tantissimi) non lo dice. Avrà avuto i suoi motivi. Ma ci sono altre iniziative importanti che Statuto prende nel corso del 2003 e di cui non parlano né lui né la stampa. Il teatro dell’azione è fra Roma e il Lussemburgo dove il piccolo gruppo immobiliare viene riorganizzato in grande stile attraverso uno schema piuttosto complicato di ingegneria societaria.

Calendario del successo. Il giorno chiave è il 13 maggio 2003. Nel giro di poche ore vengono costituite quattro finanziarie attraverso due rami che confluiscono. Da una parte, la Michele Amari dà vita a Resitalia Equity che fonda Resitalia Management e l’accomandita Resitalia Holding. Il secondo tronco è quello di Vesta Italia Equity, fondata lo stesso giorno da una Vesta Italia allocata nel paradiso societario delle Bermude e rappresentata da Mark Newman ed Edward Williams, due uomini di Lehman Brothers International, Londra. Vesta Italia diventa proprietaria del 50 per cento di Resitalia Holding attraverso due aumenti di capitale fissati il 22 maggio e il 20 novembre 2003 (198 mila euro con facoltà di arrivare a 200 milioni). Vesta compra azioni privilegiate, che non votano in assemblea. Sembra il classico investimento finanziario che lascia la gestione all’altro socio. L’altro socio dovrebbe essere Michele Amari che, però, ha retto i fili di questa architettura per appena nove giorni. Al suo posto, è subentrata un’altra lussemburghese nuova di zecca.
Si chiama Statuto Lux Holding ed è nata il 22 di maggio 2003. Il socio unico di questa finanziaria si chiama Sidney Nominees Limited e ha sede a Tortola, Isole Vergini Britanniche. La Sidney è, quindi, una fiduciaria con sede in un paradiso offshore noto per la sua impenetrabilità. Oltre alle varie Resitalia, Statuto Lux diventa proprietaria di circa il 48 per cento della Michele Amari che, fino a quel momento, era stata posseduta direttamente da Giuseppe Statuto. Il 25 luglio 2003, l’immobiliarista cede il pacchetto alla finanziaria lussemburghese al prezzo non certo esorbitante di 14 milioni di euro da pagarsi entro il 31 dicembre dello stesso anno.
Nell’arco di un anno Statuto Lux Holding, la controllata di Sidney Nominees, rileva il 100 per cento delle azioni Michele Amari. A tutt’oggi, insomma, il gruppo da 1.000 miliardi è controllato da una fiduciaria di Tortola. Cioè da uno, nessuno e centomila. Chiunque siano, i fiducianti di Sidney hanno fatto un investimento spettacolare.
La Michele Amari è arrivata a comprare fino al 4,93 per cento di azioni della Banca nazionale del lavoro. Questo pacchetto è stato prima schierato nelle file dei cosiddetti contropattisti (oltre a Statuto, Caltagirone, Ricucci, Coppola, il socio di Emilio Gnutti Tiberio Lonati, l’eurodeputato Udc Vito Bonsignore, socio di Caltagirone nel terzo polo autostradale, e il principe don Giulio Grazioli) e poi venduto il 18 luglio 2005 a un prezzo di 2,7 euro per azione. Il guadagno netto di Michele Amari supera il 100 per cento nell’arco di circa due anni.
Ma non di sola finanza vive l’uomo. Statuto si dice infastidito dalla polemica su rendita e produzione, il nuovo manicheismo economico per cui i buoni fanno, i cattivi oziano e campano sugli interessi. L’imprenditore aversano fa. Non solo compravende case ma costruisce anche. E c’è una terza attività che sta in mezzo, lucrosissima: la ristrutturazione. Per dare qualche esempio, nell’ultimo anno le società del gruppo Michele Amari hanno costruito-ristrutturato a Roma un complesso in via Spalla per un valore di 20,7 milioni, un ex convento del diciottesimo secolo alla Camilluccia per 13 milioni e il villino Whitaker ai Parioli per 8,5 milioni.

Alchimie immobiliari. È andata ancora meglio a Milano con un palazzo di nove piani in via Brera per 34,5 milioni e altri 7.500 metri quadri in via Bagutta, nel quadrilatero della moda, per un valore di 36,4 milioni. Inoltre, sono partiti i lavori all’area di via Magolfa (quartiere Navigli) per 13 milioni e in via Segantini, sempre Navigli, per quasi 21 milioni.
I soldi veri si fanno nella fase successiva, quando l’immobile, che sia nuovo o ristrutturato, viene messo in vendita. Ancora qualche esempio dall’anno scorso. Milano: 45,5 milioni incassati da un immobile in Foro Buonaparte, 41 milioni in via Verri, 45 in via Manzoni, quasi 36 nella periferica via Scarsellini. Roma: 33,4 milioni via Naide, 21 milioni in via Piemonte e 38,5 milioni di euro per piazza San Bernardo, dove la Michele Amari ha la sua sede legale e i suoi uffici, venduti e riaffittati con una magia immobiliare che si chiama lease-back. Non è l’unico gioco di prestigio per rivalutare costantemente il patrimonio.
Il meccanismo funziona in modo abbastanza semplice. L’immobiliarista compra. Si fa finanziare la ricostruzione da una banca e rivende agli inquilini oppure a una società di leasing a prezzo molto maggiore. È successo quest’anno a Milano, quando Statuto ha rilevato l’hotel Duomo dalla famiglia bolognese Marabini e lo ha girato a Banca Italease. A ogni passaggio di mano, il prezzo sale. Funziona un po’ come nel calcio di qualche anno fa. Si decideva che Hernán Crespo valeva 100 miliardi di vecchie lire e così si scriveva sulle carte di bilancio. L’immobiliarista è contento, la banca è stracontenta. L’inquilino, giocoforza, un po’ meno.
Per le 312 famiglie di via Tintoretto 88, nel quartiere romano del Laurentino, l’arrivo di Statuto non è stata una grande notizia. Comprato per 61,2 milioni di euro, il complesso da 40 mila metri quadri è stato offerto in vendita per 92 milioni nel giro di qualche settimana. Anche confrontata ad altri casi d’archivio della bolla immobiliare, la plusvalenza si presenta eccezionale. Vediamo come è stata costruita.
La vicenda del complesso di via Tintoretto incomincia nel novembre 2003, cioè nei giorni in cui Statuto appare per la prima volta sui giornali. A Milano i commercialisti Angeloguido Mainardi e Giuseppe Berghella (oggi indagato come mediatore delle tangenti pagate da una società del gruppo Gavio a dirigenti dell’Agenzia delle Entrate) costituiscono una piccola srl, la Vis , attraverso due fiduciarie (Mythos e Fortune). Sei mesi dopo, il 20 aprile 2004, il proprietario, che allora è il gruppo Generali, delibera la cessione dei 312 appartamenti di via Tintoretto e firma un preliminare di accordo con la Vis.
Passan o altri sei mesi e il 21 ottobre 2004 la Michele Amari , holding di Statuto, firma a sua volta un preliminare di acquisto della Vis stimando 5,8 milioni le quote della srl e accollandosi 5,7 milioni di crediti vantati dai soci fondatori Mythos e Fortune. In tutto, sono 11,5 milioni promessi alla chiusura dell’affare. In quel momento, il patrimonio di Vis è costituito da un terreno di poco prezzo a Lerici e da negozi in una via periferica di Milano (zona viale Monza). Ma l’asset patrimoniale più pregiato è un pezzo di carta: appunto, il preliminare di acquisto di via Tintoretto. Il 15 novembre 2004 Derilca, controllata al 100 per cento da Michele Amari, subentra alla capogruppo come aspirante azionista di controllo della Vis e, un mese dopo, il 16 dicembre, Generali Properties firma la vendita dell’immobile libero da vincoli o ipoteche per un prezzo di 61,2 milioni. Lo stesso giorno è formalizzato il passaggio di Vis al gruppo Statuto che ottiene un finanziamento di 57,2 milioni dalla Banca popolare di Milano. Appena due settimane dopo, il 30 dicembre 2004, la compravendita viene registrata all’Agenzia del territorio di Roma. La perizia allegata attribuisce al portafoglio immobiliare Vis un valore di 95 milioni.
La plusvalenza è nell’ordine del 50 per cento in poche settimane e Statuto tenta di incassarla. Così apre una trattativa con le organizzazioni sindacali (Sicet-Cisl e Sunia-Cgil) chiamate a rappresentare gli inquilini dello stabile. Per fare cassa in tempi brevi, la Vis-Derilca di Statuto si accorda per cedere in blocco i 312 appartamenti a Conit Casa, un consorzio della Confcooperative, per 92 milioni di euro.

Alleanze d’oro. Ma gli inquilini, fra i quali c’è la parlamentare Ds Marcella Lucidi, respingono l’offerta, contestano la mediazione sindacale in quanto troppo morbida con la controparte e scatenano una guerra di interpellanze parlamentari ed esposti al sindaco Walter Veltroni. La trattativa con Conit salta e a fine giugno del 2005 Vis annuncia decaduta l’offerta da 92 milioni. «Quel prezzo di vendita», si legge in un documento della società di Statuto datato 13 luglio, «non è più applicabile perché fissato solo in funzione della straordinarietà degli eventi, vendita in blocco e tempi di attuazione». In via Tintoretto, per ora, il colpo non è riuscito. E se l’immobiliarista non fa cassa, anche le banche restano insabbiate. Per adesso, niente di allarmante. L’indebitamento finanziario netto della Michele Amari nel 2004 era di 721 milioni di euro. Di contro, Statuto dichiara di possedere oltre 600 milioni di euro di immobili e forse di più, dato che la bolla immobiliare non dà segno di sgonfiarsi. In più, ci sono pur sempre i circa 200 milioni e rotti di guadagno sul pacchetto Bnl.
Fra i sostenitori di Statuto, c’è la Banca intermobiliare (Bim) che ha appoggiato direttamente il rastrellamento dei titoli Bnl. La Bim , che ha finanziato anche Ricucci, è una piccola Mediobanca torinese che vanta fra i suoi soci e clienti un gruppo assortito in modo bizzarro. Nel circuito Bim figurano il contropattista Danilo Coppola, Luca Cordero di Montezemolo, amicissimo del pattista Diego Della Valle, il finanziere e ciellino di ferro Angelo Abbondio, il meglio della finanza ebraica torinese ( la Bim è presieduta da Franca Bruna Segre, socia della Carlo De Benedetti e figli, cassaforte dell’Ingegnere), l’opusdeista Giuseppe Garofano (ex Montedison), Salvatore Ligresti, l’immobiliarista di Risanamento Luigi Zunino e Massimo Caputi, l’uomo che rappresenta Francesco Gaetano Caltagirone nel comitato esecutivo del Monte dei Paschi di Siena, la cosiddetta banca rossa di cui Caltagirone è azionista storico.
Il piano delle alleanze non si ferma qui. Ad aprile del 2006 in Rozzano, paese turbolento dell’hinterland milanese, sarà inaugurata una colossale multisala realizzata da Michele Amari insieme all’altra immobiliare Aedes (già di De Benedetti, oggi della famiglia di acciaieri Amenduni con una quota Fininvest) e a Cinema 5 (Fininvest). Poi ci sono gli affari fra Statuto e la Netcorp. Anche questa è una realtà imprenditoriale recente, animata da giovani. I cognomi, però, sono di peso. Netcorp appartiene a Luigi Carraro, 28 anni, figlio di Franco, il presidente di Federcalcio e banchiere di Mcc (gruppo Capitalia), e a Benedetta Geronzi, 34 anni, figlia di Cesare Geronzi, numero uno della stessa Capitalia. Fra Michele Amari e Netcorp ci sono in ballo tre joint-venture, tutte a Roma: una in via Calamatta (quartiere Prati), una in via del Corso e una in piazza Pitagora ai Parioli. Uffici e abitazioni per un totale di 6.238 metri quadrati e un valore di diverse decine di milioni di euro.
La partnership con Netcorp è forse quella più indicativa per il futuro di Statuto. Un futuro molto simile al recente passato, diviso fra la passione immobiliare e i noiosi, pazienti, lucrosi movimenti sulla scacchiera delle banche. Appioppare etichette politiche (rossi/bianchi, destra/sinistra) in questo campo dove tutto si muove in diagonale, con il passo dell’alfiere, è insensato. Contano gli oligarchi della finanza e le loro amicizie mutevoli. Magnoni è amico di Matteo Arpe dai tempi in cui l’amministratore delegato di Capitalia era in Mediobanca. Arpe è, per ora, allineato al suo presidente Geronzi che ha pochi mesi di tempo per risolvere un problema colossale: l’uscita dall’azionariato di Capitalia già annunciata dagli olandesi di Abn-Amro per l’ottobre 2006. È azzardato riproporre, via Caltagirone, azionista di Mps, e via Marchini, azionista di Capitalia, il blocco fra Roma e Montepaschi già tentato in passato?
La risposta non è legata a varianti elettorali. Tutt’al più, dipende dal successo del resistente Antonio Fazio nel bunker di Bankitalia e da qualche problemino giudiziario (crac Cirio, Parmalat, Italcase) incombente su Cesare Geronzi. Una cosa, però, è certa. In qualunque modo prosegua la partita, Giuseppe Statuto sarà lì, disciplinatamente. Alla fine, quello che gli assomiglia di più è proprio il genero di Caltagirone, Casini. Magari entrambi hanno chiesto consiglio sulle rispettive carriere. E Caltagirone a dire: «Bboni, state bboni». Soprattutto, niente colpi di testa.

Tags: banche, coppola, ricucci, giuseppe statuto, caltagirone, speculazioni edilizie, immobiliari

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