Palermo, patto fra mafia e camorra

scritto da Repubblica il .

Un gruppo di killer siciliani pronto a intervenire a Napoli
L'indagine coordinata dalla Dda, 19 persone in manette

Palermo, patto fra mafia e camorra
arrestato un agente penitenziario


Un altro agente confessa: "In carcere ho favorito un traffico di droga dei calabresi"
di SALVO PALAZZOLO

PALERMO - Nel capoluogo siciliano i camorristi del clan Di Lauro si sentivano a casa. Potevano contare sui servizi di un agente della polizia penitenziaria, che faceva entrare di tutto nelle celle di Pagliarelli, dov'è detenuto Antonio Mennetta, uno dei giovani più influenti della famiglia di Ciruzzo 'O Milionario. I camorristi contavano soprattutto sulla fedeltà della cosca palermitana dell'Acquasanta: un gruppo di killer di Cosa nostra era pronto a partire per la Campania, armato secondo regola, per punire alcuni ribelli che continuavano a non riconoscere l'autorità del clan Di Lauro.

Un'indagine dei carabinieri e della polizia penitenziaria, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, ha bloccato la missione di morte e ha portato all'arresto dell'agente Fabrizio Esposito, ma anche di Antonio Mennetta, e dell'emissario che faceva la spola fra Napoli e Palermo, Alberto Sperindio.

A marzo, era finito in cella un altro poliziotto della penitenziaria, con l'accusa di aver portato dei telefonini all'interno del carcere di Pagliarelli. Ha confessato, e adesso le sue rivelazioni, che riguardano anche un traffico di droga gestito da due detenuti calabresi, sono diventate l'atto d'accusa per 16 ospiti di Pagliarelli.

In cella entrava davvero di tutto: dai telefonini ai profumi, dalle penne di marca alla droga. E fra le insospettabili talpe c'era pure un educatore del "Centro addestramento professionale Endo Fap", Benedetto Sardisco, pure lui finito in manette. Dall'alba di questa mattina, i militari hanno eseguito diverse perquisizioni nelle celle di Pagliarelli, proprio alla ricerca di quegli oggetti che entravano illegalmente.

L'indagine, coordinata dai pm Roberta Buzzolani, Maurizio De Lucia e Michele Prestipino, è iniziata grazie alla segnalazione di un confidente, che si è subito rivelata preziosa. Era all'aeroporto Falcone Borsellino che il messaggero del clan Di Lauro doveva consegnare all'agente della penitenziaria un pacco destinato a Mennetta. I carabinieri del Reparto Operativo si sono finti turisti e hanno ripreso ogni momento dell'incontro. Poi l'emissario è andato a incontrare proprio Mennetta, per un normale colloquio in carcere. Ma c'erano le microspie a registrare ogni parola.

"Mi ha detto Forza Napoli, vieni con me", così Alberto Sperindio confermava a Mennetta l'incontro con il poliziotto. Per farsi riconoscere, il messaggero della camorra aveva indossato un cappellino della squadra di calcio. "Mi ha detto: "I soldi, quanti sono?" Gli ho detto: "Non li contare, sono 350"". Questo era stato il prezzo della corruzione, 350 euro.

Ma il compito dell'emissario era anche un altro a Palermo. "Quando esci di qua - ordinava Mennetta - prendi il taxi e dici di portarti nella zona di Borgo Vecchio, vicino al porto, al ristorante "Piccolo Napoli". Ti stanno aspettando certi amici miei...". Lì, Sperindio avrebbe dovuto incontrare un emissario delle famiglie siciliane. I carabinieri hanno ripreso con discrezione anche questo incontro. All'appuntamento, c'era il fratello di tre esponenti di spessore del clan dell'Acquasanta, i Matassa. Il camorrista detenuto aveva spiegato al suo rappresentante: "Vedi che ti devono dare un'ambasciata, e gliela porti a lui...". "Lui" era un misterioso "zio Totore". L'ambasciata puzzava di sangue: "O la prendono sul serio questa decisione o li faccio uccidere a tutti quanti". E ancora: "Se non mi rispondono, li faccio scendere e poi vedi cosa combinano". Erano i palermitani che erano pronti a "scendere" a Napoli.

Era nata in carcere l'allenza fra mafia e camorra. Antonio Mennetta era in cella con Vito Galatolo, padrino riconosciuto dell'Acquasanta, parente di quei Matassa che avevano inviato un loro rappresentante al "Piccolo Napoli".

Quel giorno, era il 6 settembre, il rappresentante della famiglia Di Lauro e quello del clan di Palermo mangiarono in uno dei ristoranti più caratteristici del mercato popolare del Borgo Vecchio. Poi si diressero verso l'aeroporto.

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