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8 luglio, noi non ci saremo

Le ragione per cui la Casa della Legalità e DemocraziaLegalità non saranno a Piazza Navona l'8 luglio 2008...



E' una questione di mentalità...
dell'Ufficio di Presidenza della Casa della Legalità

"Non ci verrà chiesto se siamo stati credenti, ma credibili". E' questo il messaggio che ci ha lasciato nel suo diario Rosario Livatino. E questo vale per i credenti ma anche per i laici dinnanzi alla propria coscienza.
La ragione fondamentale per cui, martedì 8 luglio alla manifestazione promossa da Antonio Di Pietro e MicroMega, noi non ci saremo, sta proprio in quella frase.
La lotta per la giustizia, contro l'illegalità, le mafie e la corruzione, non è questione di parte. E' una questione civile. E' soprattutto - in Italia - una questione culturale. Trasformare, o anche solo dare l'idea, la percezione, che invece sia una battaglia politica, significa tradire questo impegno ed affossare la speranza.
In Italia la giustizia, la legalità, sono considerate un peso. La "regola", di cui ci parla Gherardo Colombo nel suo ultimo libro, è percepita come ostacolo. Questa è la mentalità diffusa, maggioritaria, e quindi dominante... da cui trae il consenso il "berlusconismo".
Questo è confermato da un dato: la giustizia in Italia non funziona, anzi funziona sempre peggio, eppure il Parlamento dal 1996 ad oggi ha varato ben 195 leggi sulla giustizia, compresa la cosiddetta riforma del "Giusto Processo", la contro-Riforma della Giustizia e la debole riforma della contro-riforma. Ma i processi sono sempre più lunghi, la prescrizione è una spada di damocle permanente, le eccezioni procedurali la norma per bloccare i giudici, e la giustizia civile è impraticabile, quindi non è giustizia.
Questo significa semplicemente una cosa: tutti, ma proprio tutti, coloro che hanno avuto la maggioranza in Parlamento - o che avevano di volta in volta il potere di condizionare le decisioni - hanno sempre varato - o permesso di varare - provvedimenti sulla giustizia contro la giustizia.
Le leggi canaglia o vergogna, come le si voglia chiamare, le hanno fatte e permesse tutti i governi succedutisi, dai Governi Berlusconi, ai Governi Prodi, D'Alema ed Amato. Spesso con voti unanimi. Nessuno ricorda più la Commissione Bicamerale presieduta da D'Alema? Nessuno ricorda la catastrofica riforma della legge sui collaboratori di giustizia predisposta da Napolitano e Flick? Nessuno ricorda che nessuna legge vergogna è stata abrogata? Nessuno ricorda che la disperata ricerca dell'immunità è passata dal lodo Meccanico (ora lodo Alfano) e da attacchi senza precedenti all'autonomia della magistratura portati durante l'ultimo Governo di centro-sinistra? Nessuno ricorda che i tagli di fondi per Procure e reparti investigativi, come delle scorte, li hanno fatti tutti i Governi? Nessuno ricorda nemmeno che Di Pietro - che minacciava le dimissioni un giorno sì e l'altro pure - non ha mai fatto valere il suo "manipolo" di parlamentari, quando questi erano determinanti per la vita del Governo e si ri-sveglia solo ora che tanto non condiziona nulla in Parlamento?
Sembra di no. Noi lo ricordiamo, tutto questo, e non ci stiamo ad un gioco delle parti che non serve a nulla, se non a far credere che ci siano una maggioranza ed un opposizione.
Non solo: siamo convinti che se non si cambia la mentalità degli italiani la legalità continuerà a dare l'orticaria, perchè se non fosse così, le mafie sarebbero già state sconfitte, non ci sarebbe una corruzione dilagante e devastante, non ci sarebbe una massoneria straponente, non ci sarebbe stata (e non sarebbe sopravvissuta) la P2 di Licio Gelli.
Quindi noi non ci saremo e continueremo ad impegnarci, a sporcaci le mani, combattendo quell'illegalità diffusa che vede a braccetto tutta - ma proprio tutta - la "casta" politica, compresi i cosiddetti "moralizzatori". Continueremo a lavorare per sostenere la magistratura autonoma ed indipendente, andremo avanti per informare sui fatti, dando quel contributo essenziale per far comprendere che la legalità conviene, perché significa sviluppo, concorrenza, rispetto dei diritti di ciascuno, risorse pubbliche utilizzate correttamente e non depredate.
Non è questione di destra o sinistra, per noi le "leggi canaglia" sono tali quando le promuove la destra, come quando le promuove la sinistra. Per altri sembra di no e con questi noi non ci stiamo, non per antipatia o per paura di essere strumentalizzati, ma perché crediamo che l'indignazione e la rivolta civile dinnanzi alla demolizione dello Stato di Diritto, non debba avere bandiere di parte, se non quella della Costituzione e, soprattutto, che per incidere, debba essere fatta da persone "credibili" e non da "credenti". Anche questo, per noi significa rispetto per quell'autonomia e indipendenza della magistratura che tutti a slogan sostengono, ma che, con determinate scelte, rischiano, invece, solo di minare.


Una scelta laica
di Roberta Anguillesi (caporedattrice DemocraziaLegalità)

La sana indignazione e il sano panico che prese le coscienze di molti italiani all'avvento del secondo governo Berlusconi, finì con l'intervento di apertura di Nanni Moretti alla Festa di Protesta del 14 settembre 2002 a piazza san Giovanni: "non perdiamoci di vista" esordì "Noi continueremo a delegare ai partiti, ma visto che un po' ci siamo svegliati la nostra delega non sarà sempre in bianco" concluse.
E così si concluse  quello che poteva essere l'inizio di un cambiamento. Finì l'opportunità per la  società italiana di conoscere se stessa  e affrontare i propri vizi, mancanze e fantasmi, per tentare di liberarsene.
Tornò  ad essere il rassicurante esorcismo a cui anni e anni di piazza ci avevano ammaestrato, mentre sopra le nostre teste marcianti si lavorava per costruire un paese immobile, capace di generare solo ciò che poi ha generato. Per quella stessa manifestazione , Paolo Sylos Labini  aveva preparato un intervento, voleva raccontare cosa era ( ed è ) l'Italia parlando anche di mafia, ma molti tra gli organizzatori reputarono che non fosse ‘pertinente'. La festa di protesta era contro Berlusconi. Il resto rischiava di interrompere l'emozione e riportare il tutto sul terreno infido della storia patria, magari inoculando il dubbio in qualcuno su come e perché il cavaliere del male avesse potuto arrivare a fare della repubblica il suo feudo, tra l'indifferenza di molti e la compiacenza di tanti.
Comunque di vista non si persero e il movimento dei girotondi continuò per qualche tempo, diventando a poco a poco una spirale di scontri, personalismi e sgomitamenti, leader sempre più leader, martiri e compagnie di giro.
La costituzione italiana difesa dagli attacchi del nuovo Attila mano nella mano  con vecchi consumati Attila, coordinatori di Girotondi con la tessera di Partito in tasca e dei curriculum di tutto rispetto tra dirigenze di compartecipate e segreterie, indignazione a palate convogliata e disarticolata per renderla consenso.
Niente di nuovo, niente di niente, nessun progresso nelle coscienze e nelle conoscenze, nessun mutamento sociale e culturale rilevabile neppure con lo scandaglio, il profondo della società non è toccato dalla piazza, non è toccato neppure dalla propria indignazione.
Finiscono i Girotondi, un democristiano di lungo, ma lungo,  corso viene indicato come la salvazione e nessuno si sente indignato per questo, nessuno si chiede perché quelli che venivano chiamati  movimenti si erano fermati appena assolto il loro antico ruolo di ammortizzatori sociali senza aver saputo partorire altro che un vecchio consunto e pericoloso rito, tutti a casa e   sul selciato resta qualche palloncino sgonfio e un paio di cartelli sagaci,  mentre molti  si defilano e tornano alla propria arcadia personale, ed  altri ancora si dimettono dalla politica per tornare agli applausi, ed  altri ancora cercano un modo, uno qualsiasi, per continuare ad riscaldarsi alle  luci della ribalta, qualcuno è amaramente sconfitto e qualche altro si sente vincitore, qualcuno poi si erge a bandiera e sventola tra un compromesso e l'altro nelle stanze del potere, molti sono tornati a casa e molte hanno riposto i pennarelli e i cartoncini in attesa di momenti migliori.
Noi a San Giovanni non c'eravamo, noi non ci saremo l'8 di luglio a Piazza Navona perché rifuggiamo tutte le messe, anche quelle solenni, tutti i predicatori anche quelli spiritosi;  vogliamo un paese laico, senza processioni e santi, senza l'enfasi mortale della eroica resistenza a tempo, senza il  fumo dei turiboli agitati nelle piazze senza un prima e soprattutto senza un dopo.

 

Tags: roma, 8 luglio 2008, piazza navona, non ci saremo, laicità

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