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Bruno Contrada e Tindari Baglione

Non avevo mai sentito il nome del Procuratore Generale della Cassazione Tindari Baglione che ha rigettato l'ordinanza contraria alla scarcerazione di Contrada emessa dal Tribunale di Sorveglianza di Napoli affermando tra l'altro che nella predetta ordinanza sussiste vizio di motivazione che «risulta ancora più evidente se si tiene conto che nel provvedimento impugnato non si fa alcun riferimento alla attuale pericolosità sociale del ricorrente, valutato il percorso di reinserimento sociale all'interno della struttura carceraria e tenuto conto dell'età avanzata del ricorrente: Contrada Bruno è nato il 2/9/1931. Ha quindi quasi 77 anni»... Chissà perchè mi viene in mente  che Paolo Borsellino se non fosse stato ucciso nella strage di Via D'Amelio avrebbe oggi 68 anni.

E mi viene in mente nello stesso momento che piuttosto che pensare alla "attuale pericolosità sociale del ricorrente" sarebbe meglio pensare alla "passata pericolosità sociale del ricorrente" e avviare finalmente le indagini sulla sottrazione dell'Agenda rossa di Paolo Borsellino e degli eventuali coinvolgimenti al riguardo dello stesso Contrada.
Cercando informazioni sulla rete ho trovato, tra gli altri, un articolo di Gianni Barbacetto. E' un articolo comparso su Diario il 9 Gennaio 2004 e riguarda la vicenda Parmalat, ma mi hanno colpito alcuni passaggi che ho evidenziato in neretto.
La frase che più mi tormenta e' però la seguente ed è relativa a Rizzone, "un uomo che appartiene a quell'ambiente che tra il 1992 e il 1993 ha realizzato le stragi in cui sono morti, tra gli altri, due suoi colleghi magistrati di nome Giovanni Falcone e Paolo Borsellino", che continua a risonarmi nella mente insieme a quest'altra, pronunciata dal Procuratore della Repubblica Panenbianco durante il suo interrogatorio :
"Rizzone è amico di tanti magistrati di Firenze, lo sa lei?». Poi fa un piccolo elenco di giudici: Carlo Bellitto, Tindari Baglione, Massimo Maione. E Mario Persiano, della Cassazione.


1. Gennaio 2004.
Il Lattaio, il Giudice e il Mammasantissima


Il triangolo di potere nella cittý della Parmalat. Il banchiere Luciano Silingardi, il procuratore Giovanni Panebianco, l'imprenditore Antonino Rizzone

di Gianni Barbacetto

«Chiamare dottor Tanzi oggi alle ore 15». È un appunto manoscritto su carta intestata del dottor Giovanni Panebianco, procuratore della Repubblica di Parma. Il capo della procura e il padrone della Parmalat si conoscevano: e come potrebbe essere altrimenti, in una piccola città come Parma? Più strano è il luogo dove quell'appunto è stato trovato: nella cassaforte di un imprenditore di nome Antonino Rizzone. Un imprenditore speciale: amico e socio di mafiosi siciliani. Chissà se qualcuno si ricorderà di quel biglietto, oggi che a Parma è scoppiato il più grande dei suoi scandali, con Calisto Tanzi in galera, la Parmalat in fallimento e anche il procuratore Panebianco sotto inchiesta. Quell'appunto è stato sequestrato dalla polizia a Montecatini Terme, il 9 ottobre 2001, insieme a tanto altro materiale: ritagli del Giornale di Sicilia e del Corriere della sera, documenti della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, carte bollate che attestano prestiti milionari, atti di compravendita immobiliare, planimetrie... E tanti biglietti che riguardano magistrati.

Tra questi, un appunto su cui è scritto: «Panebianco...»; poi un paio di telegrammi inviati da Rizzone a Giuseppe Gennaro, alla procura di Catania; un altro telegramma di congratulazioni inviato il 16 marzo 2001 a Tindari Baglione, della procura di Pistoia; un biglietto di saluto inviato a Rizzone in data 11 agosto 1994 e intestato «Proc. generale della Repubblica di Messina»; un biglietto con scritto a mano «Dr. Gambino Proc. Rep. Patti, Messina»; un telegramma inviato da Rizzone al giudice Carlo Bellito, della Corte d'appello di Messina; copia della domanda di trasferimento da Nicosia ad altra sede del giudice Massimo Maione; il documento di nomina a magistrato di Cassazione del sostituto procuratore di Parma Francesco Brancaccio, con lettera di trasmissione alla Corte d'appello di Bologna firmata da Panebianco; un foglio con scritto, a mano, «Dr. Mario Persiani, Cassazione Roma»; una lettera del presidente del Tribunale di Parma Lanfranco Mossini. Nella cassaforte dell'imprenditore molto speciale c'erano anche sei fotografie, tra cui quella di Panebianco. C'erano molti biglietti con numeri di telefono, tra cui uno di «Pane».

Uno strano archivio, per un siciliano che ha fatto fortuna a Montecatini. Ma chi è davvero Antonino Rizzone? Non è un imprenditore qualsiasi. Siciliano, nasce nel 1939 a Nicosia, in provincia di Enna. Nei primi anni Settanta a Nicosia gestisce una bottega di alimentari, poi tenta di impiantare un bar. Ma nel 1975 cambia vita: si trasferisce dalla Sicilia a Montecatini Terme e diventa rapidamente un imprenditore di successo. Soldi non ne ha (è figlio d'agricoltori e a Nicosia non aveva trovato neppure i capitali per pagare la ristutturazione del bar), grandi studi non ne ha fatti (ha solo la licenza elementare), eppure deve avere delle doti nascoste, perché appena arivato in Toscana compra un alberghetto dal nome che gli ricorda casa («Pensione Trinacria») e avvia una folgorante carriera. Comincia a comprare, insieme ad alcuni soci, immobili commerciali e terreni. Certo, i suoi soci hanno nomi che per chi conosce le cose siciliane vogliono dire Cosa nostra: Paolo Francesco Alamia, Rocco Remo Morgana, i fratelli Berna Nasca...

Il gruppo di spezza negli anni Novanta: per disaccordi sugli affari, ma anche per l'uscita di scena di Morgana, arrestato per traffico di droga. Eppure l'ascesa di Rizzone non s'interrompe, anzi: si lega al gruppo Giambra, altra combriccola di personaggi in odore di mafia, definita in un'aula di giustizia «associazione per delinquere» specializzata in bancarotte e truffe alle banche. Il metodo del gruppo è collaudato: fabbrica falsi documenti a proposito di inesistenti progetti d'espansione immobiliari, li avvalora con ottime sponsorizzazioni da parte di persone importanti dentro e fuori le banche e infine li presenta alla Cassa di risparmio di Parma e Piacenza, che scuce un mucchio di soldi. La «persona importante» che sponsorizza Rizzone è davvero molto in vista: è Giovanni Panebianco, nato a Catania nel 1932, procuratore della Repubblica prima a Nicosia, poi a Massa, infine a Parma. Panebianco è ben inserito nella buona società parmense. Conosce tutta la gente che conta. Ma è soprattutto buon amico del commercialista di Tanzi, Luciano Silingardi, in quegli anni presidente della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza. È una raccomandazione del magistrato a convincere il banchiere, in mancanza di altre garanzie, a concedere fidi miliardari all'amico Rizzone.

L 'AMICO DEGLI AMICI DI COSA NOSTRA. A metà degli anni Novanta, Rizzone è proprietario, nella sola Montecatini, della Pensione Trinacria, dell'Hotel Florio, di un paio d'appartamenti, di un negozio di calzature, di una discoteca. È gestore dell'Albergo Londra. E in precedenza era stato titolare della Pensione Savoia, dell'Albergo Touring, nonché nientemeno che dell'Amaro Montecatini... I carabinieri di Pistoia, Montecatini, Pisa e Mistretta, però, non sono affatto convinti delle sue capacità imprenditoriali e lo segnalano come persona «legata a cosche mafiose» e «vicina ai corleonesi»: proprio per le sue amicizie e alleanze d'affari con Alamia, che fu uomo di Vito Ciancimino, con Antonino Berna Nasca, più volte implicato in indagini di mafia, con Rocco Morgana, pluripregiudicato siciliano, con Sebastiano Augello, appartenente alla cosca catanese di Nitto Santapaola.

Non basta. Dopo le stragi di mafia del 1993, gli affari dei siciliani in Toscana sono passati al setaccio dalla Direzione investigativa antimafia di Firenze che indaga sull'attentato di via dei Georgofili. Ebbene, Rizzone è uno dei personaggi che sono messi sotto controllo. Con esiti non entusiasmanti per il suo buon nome: «È organico ai corleonesi», scrive in una relazione il commissariato di polizia di Montecatini. E per i corleonesi ha svolto funzioni d'ambasciatore, avviando rapporti con il clan camorristico dei Galasso, con i quali ha messo a punto la compravendita del Kursaal di Montecatini. Ma Rizzone ha ottimi contatti con alcuni magistrati e vanta buoni rapporti anche con la politica.

La Direzione investigativa antimafia, comunque, nelle sue indagini per strage di Firenze redige una scheda relativa a Rizzone e non può fare a meno di rilevare «la frequentazione tra questi e il dottor Giovanni Panebianco, procuratore della Repubblica di Parma e in procuratore presso la procura di Massa». Parma e Massa: proprio le zone in cui «Rizzone ha effettuato investimenti immobiliari, con società a lui riferibili, che avevano attirato, per modalità d'acquisizione o per cointeresse con personaggi legati alla criminalità organizzata, l'attenzione investigativa di più forze di polizia».

«I rapporti tra Rizzone Antonino e il dottor Panebianco», scrive la polizia in un rapporto, «sono senz'altro di stretta amicizia personale». Dunque, l'ineffabile dottor Panebianco è amico di un uomo che appartiene a quell'ambiente che tra il 1992 e il 1993 ha realizzato le stragi in cui sono morti, tra gli altri, due suoi colleghi magistrati di nome Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Panebianco è amico, sponsor, presentatore e sostenitore di Antonino Rizzone, di cui «evidenzia la buone qualità» di fronte ad amici potenti. Come Luciano Silingardi, appunto, il commercialista di Tanzi, per tanti anni grande manovratore della Cassa di risparmio di Parma e Piacenza.

IL TRIANGOLO DEI POTERI. È un vero triangolo degli affari quello tra il Banchiere, il Magistrato e l'Imprenditore. Panebianco raccomanda caldamente Rizzone presso Silingardi, Silingardi finanzia generosamente Rizzone. Le sue società (la Top, la Albatros, l'Immobiliare Colombo) ricevono dalla Cariparma un fiume di miliardi. Per operazioni inesistenti, o fallimentari. E Panebianco, che cosa riceve da Rizzone, in cambio delle sue preziosissime «raccomandazioni»?

Sono stati individuati soldi che girano tra il procuratore e l'imprenditore. E complicati affari immobiliari in Sicilia, storie di terreni, di agrumeti. I giudici di Firenze hanno trovato almeno una traccia visibile: 80 milioni di lire che passano da Rizzone a Panebianco. E vorrebbero capire perché: il sostituto procuratore fiorentino Pietro Suchan è convinto che si tratti del prezzo di una corruzione in atti giudiziari (come quella, tanto per intenderci, che è costata al giudice di Roma Renato Squillante una doppia condanna in primo grado). Per il resto, gran parte dei comportamenti del procuratore Panebianco, del bamchiere Silingardi, dell'imprenditore Rizzone, benché moralmente censurabili e inammissibili (soprattutto per un alto magistrato), sfuggiranno alla giustizia: è passato troppo tempo dai fatti e la prescrizione azzererà tutto (a meno che il giudice delle indagini preliminari non aggravi le contestazioni).

A leggere le spiegazioni di Panebianco, interrogato da Suchan, vengono i brividi. Ma sì, ammette l'ineffabile procuratore, conoscevo Rizzone. Visite, incontri, perfino un capodanno insieme, a Montecatini: «Mi ha invitato a fare il capodanno là, che lui organizzava, e io sono andato con la famiglia». Ma Rizzone è un amico, una persona per bene, un galantuomo. Ha fatto i soldi grazie a un'eredità ricevuta da una coppia di coniugi, due nobili palermitani senza figli che gli volevano bene. Una persona così a modo che sono in rapporti con lui - e qui partono i primi siluri - anche magistrati di rilievo: come Giuseppe Gennaro, sostituto procuratore a Catania ed ex presidente dell'Associazione nazionale magistrati; come Giovanni Tinebra, ex procuratore di Caltanissetta e oggi direttore delle carceri italiane, essendo al vertice del Dap, il Dipartimento amministrazione penitenziaria. «Premetto: il Rizzone è molto amico del dottor Tinebra... In un'altra occasione è venuto Tinebra, quand'era procuratore di Caltanissetta, con la scorta... E alloggiava da lui... S'incontrano periodicamente, s'incontrano spesso a Roma, almeno a detta del Rizzone. Poi una volta è venuto nell'albergo di Montecatini e io sono stato là per incontrarlo». Anzi: è proprio Tinebra a presentare Rizzone a Panebianco: «Il dottor Tinebra, che era mio unico sostituto a Nicosia, con cui ancora intrattengo rapporti di amicizia... mi presentò casualmente questo Rizzone Antonino». Erano i primi anni Ottanta, Panebianco era procuratore di Nicosia, Tinebra il suo giovane sostituto.

Poi, altri siluri. Panebianco, durante il suo interrogatorio, si rivolge direttamente a Suchan: «Mi scusi, mi aiuti lei... che questo Rizzone è amico di tanti magistrati di Firenze, lo sa lei?». Poi fa un piccolo elenco di giudici: Carlo Bellitto, Tindari Baglione, Massimo Maione. E Mario Persiano, della Cassazione... Per il resto, Panebianco dimostra di non avere neppure l'idea di come si dovrebbe comportare un magistrato. Falcone non frequentava i salotti palermitani per non trovarsi in cattiva compagnia, Panebianco incontra tranquillamente la buona società parmense. Con il costruttore Paolo Pizzarotti, già imputato di Mani pulite, ha avuto complicati rapporti economici che gli sono costati un'inchiesta, poi finita con un'archiviazione. Ai vertici della Parmalat telefonava per ottenere qualche piccolo favore: «Pietro Tanzi, il cugino di Calisto... Sì, lo conosco, mi rivolgo spesso a lui per avere qualche biglietto dello stadio, quando c'è la partita... Ricorro sempre a lui per avere i biglietti allo stadio quando ci sono amici...». Ecco dunque spiegato il biglietto trovato nella cassaforte di Rizzone: il Tanzi citato è Pietro, non Calisto, giura Panebianco. È ora chiaro come la procura di Parma vegliasse sulla correttezza della Parmalat e con quali credenziali morali oggi la indaghi.

Ma che ci faceva il biglietto di Panebianco nella cassaforte di Rizzone? Mistero. E perché il procuratore doveva telefonare a Tanzi? Lo spiega Rizzone: «Io Calisto Tanzi l'ho conosciuto indipendentemente dall'intervento del dottor Panebianco... Panebianco intendeva farmi conoscere il cugino di Tanzi, Pietro Tanzi, in relazione all'intermediazione per la compravendita di un castello vicino a Parma». Su questo punto Panebianco, nel suo interrogatorio, balbetta: i panni del mediatore d'affari per l'acquisto di castelli padani sembrano troppo stretti perfino a lui.

Forse Rizzone in quella cassaforte aveva la sua assicurazione per la vita: difendetemi, voi toghe, altrimenti vi trascino tutti con me. Nella stessa busta dell'appunto su Tanzi, i poliziotti trovano un biglietto da visita: di Francesco Giuffredi, della Parmalat. «Non lo conosco», giura Panebianco. In un'altra busta trovano la raccomandazione di Panebianco per il suo sostituto, l'uomo forte della procura di Parma, Franco Brancaccio, per altre vicende sotto inchiesta ad Ancona. E qui la spiegazione del procuratore ha dell'incredibile: «Il dottor Brancaccio mi aveva espresso il desiderio... no, l'intenzione, di trasferirsi a Roma, in un incarico speciale: forse una commissione antimafia, una commissione parlamentare... E allora io parlai al telefono con Gianni Tinebra». Chissà perché a Tinebra: che potere ha di influire sulle carriere dei colleghi? Comunque sia, Panebianco decide di fare una copia «del rapporto per illustrare la figura del Brancaccio» per mandarla a Tinebra. Ma invece di spedirgliela per posta, o via fax, la consegna a Rizzone. Dice a Brancaccio: «Sai, Franco, la possiamo dare a Rizzone che s'incontra periodicamente con Tinebra...». Rizzone, interrogato separatamente, canta un'altra canzone: «Dovevamo andare insieme a Roma, poi Panebianco se l'è dimenticata da me...». Suchan insiste con Rizzone: «Ma poteva lei caldeggiare questa nomina? Conosce qualcuno al Consiglio superiore della magistratura?». Rizzone minimizza: «No, a questi livelli non ci sono...».

ZANICHELLI AVEVA RAGIONE. E la lettera del presidente del tribunale di Parma, Lanfranco Mossini, che cosa ci faceva nella cassaforte di Rizzone? «Non so spiegare come mai si trovasse a casa mia», risponde sobriamente l'imprenditore. Ma poi c'è Silingardi, il Gran Banchiere: «Lui è molto... devoto, diciamo devoto alla magistratura», dichiara Panebianco nel suo interrogatorio a Suchan. Perché «vittima» di un pugno di persone (Gian Luca Zanichelli, Luigi Derlindati, Luigi Grossi) che in assoluta solitudine, per anni, hanno denunciato le ingiustizie che ritenevano di aver subito dal Gran Banchiere. Denuncie naturalmente sempre prontamente respinte dalla magistratura parmense. Ricambiata dalla «devozione» di Silingardi.

Quanto ai rapporti con l'Imprenditore, il Magistrato taglia corto: «Io ho solo garantito che il Rizzone Antonino è persona onesta, è solvibile, solvibile, corretta eccetera...» (Panebianco meriterebbe una candidatura alla Consob, o all'Antimafia, chissà). Poi, un altro siluro: «Ma guardi, non so se sono stato io a presentare Rizzone a Silingardi o Rizzone a presentare Silingardi a me... tanta era la cordialità dei rapporti tra il Rizzone e Silingardi». Collusione ambientale: era davvero irresistibile, a Parma. Tanto che un dipendente della Cariparma, tal Dalla Valle, per fare carriera si rivolge al procuratore, che conferma: «Sì, mi chiese di intercedere con il presidente Silingardi per una promozione a funzionario». Normale.
Questa è Parma, la sua classe dirigente, il suo clima. Questa è la procura che indaga sul crac più grave della sua storia.

Diario, 9 gennaio 2004

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