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Non liberate l'assassino di Graziella

dal sito di AntimafiaDuemila e del sito dell’Associazione Rita Atria

L’APPELLO DELL’ASSOCIAZIONE ANTIMAFIA RITA ATRIA
L'assassino di Graziella Campagna lascerà il carcere per decorrenza dei termini di custodia cautelare...

Graziella Campagna a soli 17 anni vittima di mafia. Ci sono voluti 18 anni per consegnarle almeno i suoi assassini. Ci sono voluti 2 anni per distruggere le fatiche di una famiglia, quelle della società civile, quelle di un avvocato che oggi non può che gridare la sua sofferenza come uomo e come professionista.
Chiediamo con forza che il Ministro di grazia e giustizia dimostri che questo stato ha ancora un po' di dignità. Chiediamo gli ispettori alla procura di Messina.
Associazione Rita Atria

 

La redazione di ANTIMAFIA Duemila aderisce all'appello e all'indignazione dell'Associazione Rita Atria di fronte a questo ennesimo scempio della giustizia.

La CASA DELLA LEGALITA’ aderisce all’appello ed invita ad aderire, sconcertata da questo perpetuarsi delle conseguenze delle leggi-vergogna.


Raccolta Firme - Giustizia per Graziella Campagna
http://www.ritaatria.it/raccolta_firme.aspx  


(ANSA) - PALERMO, 23 SET - E' stata annullata per decorrenza dei termini di custodia cautelare l'ordinanza emessa dalla corte  d'assise di Messina a carico di Gerlando Alberti iunior, nipote dell'omonimo boss palermitano, condannato all'ergastolo nel dicembre del 2004 per l'omicidio della diciassettenne Graziella Campagna, uccisa 21 anni fa a Villafranca Tirrena.  Dal verdetto sono trascorsi quasi due anni e i giudici non hanno ancora depositato le motivazioni della sentenza, rendendo impossibile la fissazione del processo di appello che avrebbe bloccato la decorrenza del cosiddetto termine di fase di un anno e sei mesi previsto dalla legge tra i due gradi di giudizio e trascorso il quale la custodia in carcere diventa illegittima.   E' una vicenda scandalosa - denuncia il legale della famiglia Campagna, l'avvocato messinese Fabio Repici - su cui deve intervenire il ministro della Giustizia Mastella. Invece di inviare gli ispettori nelle procure che fanno le indagini, come accaduto in passato, il Guardasigilli cerchi di capire come, nonostante le decine di sollecitazioni da me fatte alla corte d'assise, dopo un anno e nove mesi, non è ancora stata depositata la sentenza. Ma a preoccupare il penalista non è solo l'annullamento del provvedimento di custodia cautelare. Alberti, infatti, finora rimasto in cella per altri reati, lascerà il carcere a novembre. Avendo già scontato una condanna per traffico di droga - dice - e potendo beneficiare dell'indulto per gli altri reati di cui è stato ritenuto colpevole tra un mese tornerà un uomo libero. Per tutto questo dobbiamo ringraziare anche il Parlamento.
Il verdetto di condanna a carico del nipote del capomafia palermitano è arrivato a dicembre del 2004 al termine del secondo processo aperto per il delitto. Il primo si era concluso nel 1989 con il proscioglimento del boss e del suo presunto complice Giovanni Sutera. I giudici hanno condannato all'ergastolo entrambi gli imputati, accusati di avere assassinato a colpi di fucile nel dicembre 1985 Graziella Campagna. In quel periodo i due mafiosi erano latitanti nel comune di Villafranza Tirrena. Gerlando Alberti, che poteva contare su una fitta rete di connivenze, si spacciava per l'ingegnere Cannata, un professionista del settore costruzione, Sutera per il suo geometra. Per circa un anno non ebbero problemi, ingannando persino i carabinieri della stazione, ma poi dimenticarono una agendina compromettente all'interno di una giacca lasciata per il lavaggio nell'esercizio dove lavorava, come stiratrice, Graziella Campagna. Così secondo l'accusa, una sera la aspettarono alla fine del lavoro, la condussero in auto nei boschi e l'uccisero dopo aver recuperato il documento. Nello stesso processo è stata condannata per favoreggiamento Franca Federico titolare della lavanderia.
23 settembre 2006 (ANSA).


ULTIMORA - ULTIMORA - ULTIMORA
La Sicilia on line 25/09/2006

Mafia - Scarcerazione omicida, Mastella invia ispettori a Messina

ROMA - Il ministro della Giustizia, Clemente Mastella, ha dato incarico agli ispettori del dicastero di Via Arenula, guidati da Arcibaldo Miller, di procedere a un'ispezione a Messina per verificare eventuali ritardi o inadempienze nel procedimento a carico di Gerlando Alberti junior, nipote dell'omonimo boss palermitano, uscito per decorrenza dei termini di custodia cautelare, dopo essere stato condannato in primo grado all'ergastolo per l'omicidio della diciassettenne Graziella Campagna, uccisa 21 anni fa a Villafranca Tirrena. Alberti junior è stato scarcerato perché dal verdetto della Corte di Assise di Messina sono trascorsi quasi due anni e i giudici non hanno ancora depositato le motivazioni della sentenza, rendendo perciò impossibile la fissazione del processo di appello che avrebbe bloccato la decorrenza del cosiddetto termine di fase di un anno e sei mesi previsto dalla legge tra i due gradi di giudizio e trascorso il quale la custodia in carcere diventa illegittima.

 

(da Antimafia Duemila n. 9, Gennaio 2001)

Chi ha ucciso Graziella, la ragazzina della lavanderia? 

Un delitto di tanti anni fa, insabbiato da falsi carabinieri e magistrati
corrotti per proteggere due boss di Cosa Nostra
di Nichi Vendola *

Dov’è finita la piccola Graziella? Giù alla fermata dell’autobus, giù all’angolo della strada che porta da Villafranca a Saponara – da villaggio a villaggio nel cuore di una “provincia babba”, giù sotto la pioggia fitta di un giorno livido di dicembre? Giù in quale fuga romantica o dirupo criminale è precipitata con i suoi fragili e timidi diciassette anni Graziella Campagna? Quel giorno, anzi quella maledetta notte, era il millenovecentoottantacinque – son passati tre lustri e poco meno di un secolo – un lieve, impercettibile sisma entrò nelle viscere di un paese, di una famiglia e di una “quasi” bambina: lasciò un cadavere vilipeso e abbandonato, un mucchio di stracci e di sangue. A lato e sotto la carta patinata delle storie ufficiali lasciò un mistero di provincia subito archiviato, insabbiato, manipolato dalla lurida cabala giudiziaria del distretto di Messina. Dov’è finita per quindici anni l’insepolta voce di Graziella, il senso della sua modesta vita e della sua immodesta morte, il guizzo di giustizia che fu meticolosamente imbalsamato da carabinieri veri e falsi, da magistrati falsamente veri, da testimoni veramente falsi? 

Questa è una storia difficile da dire e da sentire, un Paese civile dovrebbe fermare il suo tran tran per ascoltarla e piangere, il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbe convocarsi in seduta diurna e notturna per verificare e deliberare, il Comando generale dell’Arma dovrebbe aprire subito la più drastica delle indagini interne, i Ministri competenti dovrebbero studiare ogni dettaglio dell’orribile caso e annunciare gli interventi di sanzione e di pulizia, la stampa dovrebbe convocare un congresso sulla propria incapacità ad accorgersi della realtà quando la realtà è scomoda per i padroni e per i servi dei padroni, forse dovremmo tutti tornare in quello spicchio sudicio di Sicilia – in quelle curve metafisiche di mare a fronte delle isole Eolie – per fare daccapo un funerale per Graziella Campagna: ammazzata, ancora ragazzina, dalla mafia per proteggere la mafia protetta dai giudici e dai carabinieri protetti dalla mafia. Questa morte nasce sotto un ferro da stiro, in una bottega piena di giacche e camicie. La lavanderia “la Regina” era un posto ben frequentato, a quei tempi: e le piccole stiratrici stiravano e guardavano, stiravano e ascoltavano i discorsi di quel microcosmo di adulti, dove brillavano di luce speciale il maresciallo Giardina, comandante della locale stazione dell’Arma (prototipo di tutti  quei marescialli nei secoli infedeli), e quei distinti borghesi, l’Ingegnere e il Geometra. In quella bottega di panni e in quella vicina da barbiere – in quei pochi metri gestiti da parenti stretti e da famiglie devote alla Famiglia – si svolgevano incontri e conciliaboli di gente perbene. Un giorno l’ingegnere, che si faceva chiamare Toni Cannata, porta a lavare la sua roba, ma in un giubbino dimentica una “carta”, cioè un documento rivelatore della sua identità vera: non era lui un Ingegnere né l’altro un Geometra. Lui e l’altro erano due pericolosi latitanti palermitani, due boss mafiosi rifugiati nella calda ospitalità della campagna “babba”: Gerlando Alberti e suo cugino Gianni Sutera. Entrambi protetti dal padrino messinese Santo Sfameni, il caro amico, o il protettore-protetto di un bel pezzo della magistratura peloritana. Il padrino, i latitanti, i carabinieri di complemento mafioso, i giudici togati e “toccati”, i buoni negozianti di periferia, il lavandaio con la sua signora il barbiere con la sua signora…Neppure un romanzo di Leonardo Sciascia potrebbe rappresentare la vividezza e la potenza letteraria del set in cui si gira la tragedia di un adolescente inconsapevole. Dunque la “carta”, il foglio, il documento, la lettera, chissà cosa, che dice che quel signore ha un nome diverso e più inquietante: quella carta vola, vola e si posa, Graziella la raccoglie e lancia un’occhiata, poi lancia un’esclamazione, insomma capisce che quello è un altro. Che strano, pensa, e lo sussurra alla mamma, senza ancora capire fino in fondo il pericolo che avvolge quella sua rapida curiosità e quel suo normale stupore. 
La punteggiatura e la mimica dei bambini dicono molto di quell’innocenza che spesso gli adulti mutano in retorica: Graziella scrisse con le sue labbra perplesse e la sua sorpresa - forse un rossore, forse uno sguardo confuso, forse un ghigno esibito - una sentenza che non le dava grazia possibile né appello. Il guaio è che la piccola aveva un fratello carabiniere, un servitore dello Stato, un giovane che poteva raccogliere il senso preciso di quella strana scoperta su due “uomini d’onore” in divisa borghese. Povera Graziella. La presero a tradimento, la sera alla fermata dell’autobus, con il buio e la pioggia. La presero a tradimento, perché lei credette che quel suo rapimento fosse solo un passaggio fino a casa. A casa non giunse mai. La portarono nelle mani di un boia implacabile. Che hai detto, che hai fatto, a chi hai parlato, cosa hai visto? Fu seviziata, poi sparata, poi sfigurata con quel colpo finale di lupara in pieno volto: il suo bel volto, di ragazzina timida, chissà quanto spaventato a morte prima di essere sciupato a morte.
Ma non finì qui l’omicidio e neppure l’inganno: qui solo cominciò, per poi crescere velocemente e dilagare per campagne e per procure, per replicarsi nelle mille pagliacciate istituzionali con cui, per mille volte ancora, veniva uccisa Graziella Campagna. 
A coordinare le indagini fu il colonnello Donia, un colonnello di niente visto che non era neppure un carabiniere, ma un niente al cui falso cospetto obbedirono carabinieri sottoposti e sovrapposti, un colonnello patito di armi e di depistaggi che, in questa Sicilia appartata e uccisa col silenziatore, poteva spezzare le gambe ad una inchiesta neonata. Quello che non fecero certi carabinieri, oggi tutti candidati a qualche comodo prepensionamento, lo fecero taluni giudici che a chiamarli giudici manca il fiato. In questa rete  di magliari in doppiopetto e di divise posticce, finì il cadavere senza giustizia di Graziella Campagna. Ecco – questo lo scrivo per le autorità che eventualmente saranno indotte a leggermi – io voglio spendere quel poco di ruolo istituzionale che svolgo, signori giudici e carabinieri e politici e giornalisti, per dire a Piero Campagna – carabiniere esemplare e fratello inconsolabile – che c’è qualcosa  di pulito oltre lo strato di sporcizia che lui ha sollevato e che noi stiamo sollevando. Che non tutto rassomiglia al maresciallo Giardina o al colonnello Donia o ai giudici Lembo e Mondello, che  con il padrino degli assassini di sua sorella fecero patti e affari. Per dire ad una madre che anche noi sappiamo che sua figlia non è morta per questioni di cuore e di sesso, come sempre in Sicilia, come anche questa volta si è detto. Per dire a noi stessi che non si può accettare che una piccola, sorella di tutti, venga risucchiata in uno spavento così immane, venga triturata da una bestialità covata in nidi di potere. Per dire a Graziella: scusa di questo freddo di morte e di silenzio che ti ha spaccato e ci ha spaccato il cuore.

* Vicepresidente della Commissione parlamentare antimafia
(attuale Presidente della Regione Puglia ndr)

UNITA'  24 SETTEMBRE 2006 
La Corte non deposita le motivazioni e scadono
i termini di carcerazione: fuori l’assassino di Graziella Campagna
di Marzio Tristano/ Palermo

Graziella aveva 17 anni e lavorava in una lavanderia di Villafranca Tirrena, nel messinese, stirando camicie e pantaloni. Nel dicembre dell’86 trovò nella tasca di una giacca dell’ing. Cannata un agendina con nomi di mafiosi e magistrati. La sequestrarono e la uccisero con cinque colpi di fucile a canne mozze, uno sparato in faccia.
Adesso il suo assassino, Gerlando Alberti jr. rampollo di una delle famiglie mafiose doc di Palermo, quella di Danisinni, condannato all’ergastolo dai giudici di Messina uscirà dal carcere, perchè gli stessi giudici da un anno e nove mesi non depositano le motivazioni del verdetto di condanna impedendo l’avvio del processo di appello e provocando la scadenza dei termini di custodia cautelare. Uscirà perchè, nonostante i termini siano scaduti, il boss resta in carcere ancora un mese, per scontare il residuo di un’altra condanna accorciata dal provvidenziale indulto che, di fatto, gli spalancherà le porte della cella.
«È una vicenda scandalosa - denuncia il legale della famiglia Campagna, l’avvocato messinese Fabio Repici - su cui deve intervenire il ministro della Giustizia Mastella. Invece di inviare gli ispettori nelle procure che fanno le indagini, come accaduto in passato, il Guardasigilli cerchi di capire come, nonostante le decine di sollecitazioni da me fatte alla corte d’assise, dopo un anno e nove mesi, non è ancora stata depositata la sentenza».
Un ritardo incredibile, anche per i tempi della giustizia messinese, che già una prima volta, nel 1989, aveva prosciolto in istruttoria Alberti jr. e il suo presunto complice Giovanni Sutera. Ora Repici si chiede: «Non se è solo ignavia o se vi sia altro - dice il penalista - certo è che se qualcuno poteva sperare che Alberti jr. parlasse sulle sue complicità eccellenti di quel periodo messinese, adesso questa speranza si è dissolta».
Complicità eccellenti e protezioni istituzionali sfociate in veri e propri depistaggi emersi dal processo ai due mafiosi, nell’ambito del quale altre due donne, la proprietaria della lavanderia e una collega di Graziella, sono state condannate per favoreggiamento.
Quell’agendina ritrovata in una tasca del sedicente ing. Cannata, in realtà Gerlando Alberti, rischiava di far scoprire la rete di mafiosi, magistrati e investigatori che avrebbero garantito gli equilibri nella gestione degli affari nel territorio di Villafranca affidato al capomafia don Santo Sfamemi, un ex infermiere del reparto di neurologia dell’ospedale Regina Margherita di Messina tra le cui braccia, negli anni ‘60, morì il mitico boss palermitano Paolino Bontade, il padre di Stefano, il principe di Villagrazia che, secondo la sentenza confermata dalla Cassazione, avrebbe incontrato Giulio Andreotti. E dopo la sua morte quell’infermiere amorevole si sarebbe trasformato in un abile imprenditore ed ancora più abile capomafia.
Imputato di associazione mafiosa nel processo Witness, Sfamemi ha visto il giudizio nei suoi confronti sospeso a causa di una malattia. Si procede invece nei confronti di Marcello Mondello, il gip che nel 1989 prosciolse Alberti jr. e Sutera ammettendo poi di conoscere Santo Sfamemi e di avergli anticipato l’esito del proscioglimento che tanto stava a cuore al boss. Ed anche ad un colonnello dei carabinieri che maneggiò i reperti balistici senza averne titolo, ad un maresciallo che andava a cena con il boss e che tentò di indirizzare le indagini verso il tradizionale movente passionale e alla proprietaria della lavanderia, condannata per favoreggiamento e sospettata di avere restituito la famigerata agendina al boss. Che tra un mese uscirà dal carcere. «Avendo già scontato una condanna per traffico di droga - dice l’avvocato Repici - e potendo beneficiare dell’indulto per gli altri reati di cui è stato ritenuto colpevole tra un mese tornerà un uomo libero. Per tutto questo dobbiamo ringraziare anche il Parlamento»

 

Tags: appello, graziella campagna, associazione, rita atria

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