Con clientelismo ed assistenzialismo non si sconfigge la cultura mafiosa, anzi...

scritto da Ufficio di Presidenza il .

[in coda AGGIORNAMENTO E RISPOSTA A DAVIDE MATTIELLO, deputato PD, storico braccio destro di Don Ciotti]
Pensare di contrastare la cultura mafiosa promuovendo un nuovo clientelismo ed assistenzialismo è pura follia. E' l'esatto opposto di ciò che è necessario fare. Assistenzialismo e clientelismo sono pratiche devastanti che alimentano la pratica, oltre alla mentalità, dell'assoggettamento “al favore” da parte delle persone. Mentalità e pratica antitetiche al Diritto. Mentalità e pratica affine a quella mafiosa.

Purtroppo in troppi, anche dichiarando buone finalità sociali, finiscono per muoversi nel perpetuare questa cultura e questa pratica, proponendo una nuova stagione di assistenzialismo e clientelismo. Non è possibile assecondare questa logica perversa che, ricordiamolo, non ha aiutato il “riscatto” di alcuno, sia esso individuo o collettività.

Ancora una volta con slogan e dichiarazioni di intenti lodevoli, in Italia, si nascondono proposte assurde, come quella nata dalla proposta di legge promossa da Libera, Cgil, Lega Coop & C., sotto lo slogan "Io riattivo il lavoro"... 

 

Nell'ambito della gestione di quelle “briciole” di beni confiscati che vengono oggi riutilizzati questo tipo di mentalità è purtroppo dilagante.

E' vero che è stata attivata l'Agenzia Nazionale ma ancora non si è a regime nell'attuazione di questa “riforma” e la svolta, contro l'impostazione monopolistica che si è consolidata “nei fatti” e che si autoalimenta, non c'è stata.

Prima di tutto grande parte dei beni che vengono sequestrati non finiscono a confisca definitiva prima di lunghi, lunghissimi anni, e quelli che vanno a confisca vengono riutilizzati solo in minima parte. Nella maggior parte dei casi c'è l'abbandono, poi ci sono i casi non rari, da sud a nord, in cui i beni confiscati vengono lasciati in mano ai mafiosi. Quei pochi che vengono assegnati spesso finiscono in una sorta di monopolio di gestione che, alla fine, anziché portare “riscatto” produce nuovo assistenzialismo e clientelismo, perché senza contributi pubblici non reggono e si promuovono e sopravvivono contro ogni logica di “libera concorrenza”.

Certo ci sono casi di beni confiscati che vengono riutilizzati al meglio e onestamente, ma sono solo piccole particelle di gocciole di un oceano.

Purtroppo questo è un tema che non si vuole affrontare e che agli scandali già evidenziatisi ne riserverà ancora molti, pronti ad esplodere se le inchieste andranno a avanti.
Noi sollevammo la questione documentandola nel dicembre 2009 (vedi qui). Risposte ricevute: zero.
E' un tema tabù, se osi affrontarlo finisci all'indice di certa “antimafia”, a partire da quella che con i beni confiscati si è snaturata in preda ad una sorta di morbo del business, in una logica di assegnazione che è negazione stessa della libera concorrenza e quindi antitetica ai principi che dovrebbero essere alla base di ogni azione antimafia concreta e, per questo, intransigente.

L'assenza di svolta e coraggio nel riformare questo “tassello”, essenziale elemento del contrasto al potere ed alla cultura mafioso, rappresenta un fallimento. Un fallimento come quei tempi interminabili tra sequestro e confisca che ancora ostacolano l'efficacia del contrasto alle mafie quale è l'aggressione risoluta ai patrimoni illecitamente accumulati.

Le riforme approvate nella scorsa legislatura hanno semplificato e ampliato l'azione di aggressione ai patrimoni mafiosi ma non sono ancora sufficienti. Vi sono stati, possiamo dire così, dei passi avanti a cui però buona parte dell'antimafia sociale ha contribuito a porre il freno con la demagogia e la retorica.

 

Emblematica di questa perversa mentalità è l'ipocrisia di alcuni soggetti che hanno promosso una proposta di Legge di iniziativa popolare (vedi qui), oggi in discussione in Parlamento, sulla questione delle aziende sequestrate e confiscate. Che ora esaminiamo partendo dai promotori e dalle premesse...

Si legge nelle premesse: “Con la mafia si lavora e con lo Stato no. Questa è una delle frasi che in molti hanno dovuto ascoltare in questi anni”. Ed i soggetti che si lamentano, giustamente, di questa mentalità (“Con la mafia si lavora e con lo Stato no”) chi sono? Vediamoli...

C'è la CGIL che a parte i proclami, in molteplici occasioni e territori ha omesso la denuncia dei cantieri (ben noti) dove operano le imprese mafiose, dove vi è lavoro nero e caporalato, dove sono le cosche a decidere le forniture come l'uso di cemento depotenziato. Quella stessa CGIL che in molteplici casi ha assecondato il negazionismo e l'omertà in molteplici realtà del territorio. Quella CGIL che ha coperto dirigenti sindacali amici di famiglie mafiose ed ha allontanato chi invece “rompeva” con denunce e verifiche nei cantieri.

C'è la LEGACOOP che ha tra i propri principali consociati imprese cooperative che nel nome dell'economicità dei fornitori hanno fatto lavorare nei propri cantieri (e fanno lavorare nei propri cantieri) società di famiglie mafiose e/o di uomini “cerniera” tra mafia – impresa e politica. I grandi colossi delle cooperative emiliane con i loro cantieri sono un monumento all'ipocrisia del parlare bene, magari anche sponsorizzare associazioni antimafia, e poi razzola male garantendo lavoro ad imprese di soggetti legati alle cosche che soffocano la concorrenza ed il libero mercato.

C'è AVVISO PUBBLICO che dovrebbe raccogliere gli Enti Locali impegnati nel contrasto alle mafie ma che poi ha tra i propri soci alcuni Enti Locali e Regioni ove la presenza, il condizionamento e l'infiltrazione mafiosa sono conclamati, o che negavano (e negano) la presenza delle mafie sui propri territori, agevolando così la mimetizzazione delle imprese mafiose ed il loro assalto ad economia locale e appalti. Il caso della Regione Liguria con i Burlando, Monteleone e Saso è emblematico. Ancora di più, per fare un altro esempio, è esemplare dell'ipocrisia l'adesione del Comune di Isola Capo Rizzuto.

C'è l'ARCI che in molteplici realtà ha “riconosciuto” cosiddetti “circoli” che erano usati dalle organizzazioni mafiose (vedesi il caso del Circolo “Falcone e Borsellino” di Paderno Dugnano dove si tenne la riunione dei “locali” della 'Ndrangheta di Lombardia per nominare il reggente successore dell'assassinato NOVELLA; il caso del circolo Arci di San Luca che era gestito dai PELLE-VOTTARI; il caso di una Casa della Popolo toscana dove avevano il proprio deposito i promotori dei cd dedicati ai “canti di 'ndrangheta”; o molteplici circoli, ad esempio, genovesi, in Valpolcevera, che sono stati usati per decenni da esponenti di Cosa Nostra come i Maurici o i gelesi legati agli Emmanuello). Ente di promozione sociale che se conta esempi di attività coerenti con i valori enunciati (come ad esempio nell'ambito di Savona), ha in gran parte del territorio nazionale omesso ogni sorta di controllo sui proprio circoli affiliati così che potessero essere aperti, sotto l'insegna ARCI, anche luoghi dediti al gioco d'azzardo (dalle più antiche “bische” o con le più recenti videolottery e slot).

C'è LIBERA che ha chiuso più volte gli occhi su chi gli dava i finanziamenti (vedi Unipol, Monte dei Paschi, Unieco...) e su amministrazioni pubbliche e politici con pesanti contiguità che se era bene tenere lontani invece vedevano Libera al loro fianco nella promozione di “percorsi” nel nome della Legalità e dell'Antimafia. Una struttura che ha perso la sua spinta ideale originaria (custodita ormai da poche locali realtà sparse nel paese), finendo “prigioniera” di in una sorta di monopolio, costruito nell'ambito dell'antimafia, anche per quanto concerne la gestione dei beni confiscati, parallelamente al consolidato rapporto con un blocco politico-economico a cui si offriva come "paravento" per garantire una sorta di "patentino" antimafia. In troppi casi ha piegando la propria azione alle esigenze di “accreditamento” degli esponenti politici ad essa vicini che invece sarebbe stato bene tenere distanti e nonostante inviti al confronto ed a correggere gli "errori" non ha mai voluto rispondere se non a malo modo.

 

Venendo al merito della Proposta di Legge sulle aziende sequestrate e confiscate, promossa da questi soggetti, si può dire che essenzialmente pare scritta da chi non conosce (e non è così perché conoscono) cosa sia la mafia.

Pare infatti essere sfuggito un punto. Le imprese mafiose non stanno sul mercato perché competitive, bensì perché riciclano soldi, corrompono e si impongono con le estorsioni.

Che siano Ditte Individuali o imprese, anche con molti dipendenti, le imprese mafiose “reggono” (e reggono anche in periodo di crisi) perché hanno una disponibilità di risorse e condizionamento che gli permettere di non conoscere crisi, di non subirla! Se le si pone sul mercato della libera concorrenza, togliendogli la capacità di “drogare” il mercato e gli appalti, queste imprese crollano. In una parola semplice: falliscono.

Certo esistono eccezioni, ma sono eccezioni che comunque dimostrano – se andiamo a guardare – che il “fatturato” in caso di sequestro o confisca, ed una gestione onesta e regolare, crolla. Se prima guadagnava tanto con le forniture di calcestruzzo depotenziato, nel momento in cui opera nella legalità quel guadagno centrato sulla frode nella fornitura viene meno. Se prima smaltiva i rifiuti speciali tossici con smaltimenti illeciti, siano con roghi o interramenti, avendo ampio margine di guadagno, operando nel rispetto delle norme quei margini di guadagno che l'impresa macinava svaniscono. E così via...

Inoltre ci sono anche altro dettagli che pare sfuggano a chi promuove la proposta di Legge. Nelle imprese mafiose che finiscono sotto sequestro e poi a confisca, non sempre, ma quasi sempre, buona parte del personale è “manovalanza” della cosca, se non addirittura esponenti della cosca. I macchinari e le attrezzature utilizzate, a partire dai mezzi per il movimento terra, vengono sempre più spesso non acquistati ma presi in leasing. Il livello “occupazionale” come i parchi mezzi sono figli della conquista di lavori (pubblici o privati) “drogati”. E' questo che determina la produttività ed un fatturato elevato. Con una gestione corretta ed onesta dell'impresa, in competizione libera corretta e non viziata con le altre imprese, non potrebbe avere quei livelli di produttività e di fatturato, non potendo quindi permettersi quei livelli occupazionali e di parco mezzi.

Ora viste questi aspetti risulta incomprensibile pensare di proporre, come avviene invece con la proposta di Legge in questione, che lo Stato di faccia carico di garantire tutto il personale (compresa la manovalanza e/o gli esponenti delle cosche) ed i livelli di fatturato e produttività (realizzati con riciclaggio, frodi fiscali, lavoro nero, corruzione, estorsioni e quant'altro) realizzati durante la gestione precedente, ovvero con la “gestione mafiosa”.

Lo Stato non può farsi carico di spendere per tenere in piedi aziende fallite nel momento stesso in cui escono dal circuito della gestione mafiosa. Lo Stato può invece dare incentivi, questo sì, alle imprese sane, che assorbono il personale (non legato alle cosche) delle imprese mafiose poste sotto sequestro e quindi a confisca, ma non può garantire manco per un centesimo il credito bancario per imprese il cui fatturato era “drogato” dalla gestione mafiosa. Non sta in piedi nemmeno la proposta avanzata nel disegno di Legge di garantire una sorta di “corsia preferenziale” per l'assegnazione di incarichi, forniture o lavori che siano, alle imprese sequestrate e confiscate da parte delle Pubbliche Amministrazioni e/o società pubbliche o partecipate.
La lotta alle mafie è una cosa seria ed il contrasto alle imprese mafiose sottratte alla mafia non può prevedere deroghe alla libera concorrenza ed all'eguaglianza alle altre imprese. L'accesso ai sostegni pubblici non può essere privilegiato per un'impresa che è stata posta sotto sequestro o confisca, deve essere garantito equamente a tutti.

Se le imprese mafiose, poste sotto sequestro e confisca non possono reggere sul mercato, lo Stato non può salvarle dal fallimento. Con quale criterio infatti si va a dire alle imprese oneste, magari schiacciate dalla concorrenza sleale delle imprese mafiose, portate al fallimento che loro devono fallire ma quelle che erano mafiose no?

L'amministratore giudiziario incaricato della gestione, a seguito del provvedimento della Magistratura – e servirebbe un albo nazionale in cui vengono inseriti professionisti dopo attento “esame del sangue”, così da evitare incarichi a professionisti legati, contigui o a libro paga delle cosche – dovrà esaminare lo stato dell'impresa e nel caso di insostenibilità della gestione dovrà procedere con la liquidazione della stessa. Se invece sussistono le condizioni per il mantenimento, certamente anche con riduzione (ovvia) del fatturato, allora l'impresa potrà essere gestita durante il sequestro a seguito della necessaria riorganizzazione aziendale e, una volta andata a confisca, dovrà andare all'asta perché possa essere assorbita o rilevata anche come ramo d'azienda da altra impresa “sana” o rilevata integralmente da un imprenditore o imprenditori su cui sia stata effettuata un'adeguata verifica con apposita informativa antimafia.

Vi è poi l'ennesima surreale proposta nel disegno di Legge promosso da Libera, Cgil, Legacoop e compagni. Se sappiamo tutti che è necessario alleggerire la burocrazia ed i tempi nell'affrontare la gestione di imprese poste sotto sequestro o confisca, e che tale gestione deve essere fatta dall'Agenzia Nazionale e dal professionista individuato e delegato all'amministrazione giudiziaria, nella proposta di Legge vi è un elemento che davvero non si comprende. Infatti viene proposto di realizzare un bel “tavolo” presso le Prefetture con i Sindacati e l'associazione con maggiore esperienza nella gestione dei beni confiscati (che, guarda caso, nel sistema “monopolista” venutosi a creare in Italia è LIBERA) con cui l'Agenzia Nazionale si deve rapportare e che deve anche esprimere pareri obbligatori (pur se non vincolanti) sui singoli casi.

Secondo noi, quindi, siamo davanti ad una proposta insostenibile e viziata di quella cultura e pratica di assistenzialismo e clientelismo puro, inaccettabile perché fuori da ogni logica del libero mercato e della concorrenza. Una proposta che pare scritta da chi non conosce la mafia e le imprese mafiose. Una proposta che sarebbe bene respingere con anche tutta l'ipocrisia che la avvolge.

Sulla questione delle aziende poste sotto sequestro e confisca, così come sui beni sequestrati e confiscati, occorre promuovere proposte serie, non figlie di logiche assistenzialiste e clientelari. Noi abbiamo avanzato da tempo riflessioni e proposte in merito. Siamo disponibili ad un confronto serio per portare il nostro contributo. Un confronto che purtroppo mai si è voluto aprire nell'ambito dei movimenti antimafia, altro pessimo segnale... visto poi cosa hanno prodotto quelli del "blocco rosso", ovvero Libera, Cgil, Lega Coop & C., con la proposta che qui abbiamo contestato nel merito.

 

P.S.

Vi facciamo un esempio molto pratico e concreto di come si è mosso un Sindacato di primo piano, quale la CISL (che siede anche nel coordinamento di LIBERA a Savona), in merito ad un'impresa posta sotto interdizione antimafia.
Il Prefetto di Savona ha promosso (dopo l'interdizione temporanea disposta dal GIP per l'operazione DRUMPER) un'interdizione antimafia alle imprese dei FOTIA, indicati dai reparti investigativi dello Stato come referenti della cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI nel savonese e con consistenti rapporti con gli esponenti della cosca GULLACE-RASO-ALBANESE.
La CISL ha promosso le mobilitazioni di piazza dei lavoratori della SCAVO-TER davanti alle sedi istituzionali savonesi, a partire dalla Prefettura, per chiedere l'annullamento dell'interdizione antimafia emessa nei confronti delle imprese del FOTIA GROUP. Una delle frasi celebri di queste mobilitazioni era “Legalità sì, ma prima il lavoro”.
Ecco, se questo è contrasto alle mafie allora significa che quelli della CISL (come di LIBERA LIGURIA) hanno un grossa confusione... Anche perché se è vero che senza appalti pubblici le imprese dei FOTIA avrebbero dovuto ridurre il personale, i lavori pubblici che non potevano più essere eseguiti dalle società del FOTIA GROUP avrebbero visto l'assegnazione ad altre imprese che, davanti alla concorrenza sleale dei FOTIA, non riuscivano a lavorare. Quindi il dire, come ha fatto la CISL, che si creava “disoccupazione” se i FOTIA non potevano lavorare con le pubbliche amministrazioni, per “colpa” dell'Interdizione, era una balla colossale. Non avrebbero lavorato loro ma altri si. Altre imprese che, soffocate dalla posizione dominante dei FOTIA, erano ridotte ai minimi termini avrebbero potuto assumere personale per far fronte a nuovi lavori.

 



AGGIORNAMENTO E RISPOSTA A DAVIDE MATTIELLO (deputato PD, storico braccio destro di Don Ciotti)
 
La questione che abbiamo sollevato è stata ripresa da Antonio Amorosi su Libero (vedi qui in formato .pdf).

Nel frattempo Davide Mattiello, storico braccio destro di don Luigi Ciotti al vertice di LIBERA, in risposta alle critiche alla proposta di legge sulle aziende sequestrate e confiscate (figlia della cultura e pratica clientelare ed assistenzialista), sul sito della sua Fondazione "Benvenuti in Italia", pone una domanda: “Chi fa il gioco dei mafiosi?”.

E' un ottima domanda a cui, crediamo di poter dare una risposta, prima di entrare nel merito, nuovamente, della proposta di legge, con alcuni esempi...

Il gioco dei mafiosi, ad esempio, lo fa chi:

- si fa “paravento” ad amministrazioni pubbliche e politici che hanno contiguità, quando non addirittura connivenze e complicità, con esponenti delle organizzazioni mafiose e con gli “uomini cerniera” da questi posti in campo, in ogni parte del territorio ove abbiano appetiti, per perseguire i propri interessi criminali;

- si fa complice del negazionismo sulla presenza mafiosa (negandone se non la presenza gli interessi concreti e le influenze su politica ed economia) in determinati territori per compiacere la classe politica che foraggia con contributi e sostegni di varia natura la c.d. "antimafia";

- accetta sovvenzioni e contributi da Pubbliche Amministrazioni e/o soggetti privati (dalle banche alle cooperative), facendo iniziative comuni con questi e/o ricambiando con promozione dei “marchi”, quando queste Amministrazioni Pubbliche e questi privati “benefattori” intrattengono rapporti d'affari con soggetti appartenenti o pesantemente legati alle organizzazioni mafiose ed ai loro interessi;

- vede la mafia, le contiguità e complicità dei mafiosi solo quando ad amministrare la cosa pubblica sono esponenti dalla parte politica avversa ai “propri amici”, con uno strabismo perverso che mina alla radice la credibilità di quella che professa il proprio impegno “antimafia”;

- si rifiuta di pretendere dai propri sponsor (a partire dalle banche ai soggetti privati) coerenza nella pratica, con effettive e "normali" attività di contrasto all'illegalità;

- si rifiuta di denunciare con nomi e cognomi le reti di relazione delle organizzazioni mafiose con politica, economia, finanza, professionisti, garantendo così quella “mimetizzazione” ed “omertà” che le mafie perseguono in quanto radice principale della propria forza;
- assume logiche monopolistiche, contro ogni principio di equità e libera concorrenza, cercando di “isolare” gli “altri”, anche nell'ambito della gestione dei beni confiscati.

Può bastare per dare l'idea no? Crediamo di si, ed allora passiamo oltre.

Anni fa il Presidente della Casa della Legalità incontrò Davide Mattiello a Torino, in un bar davanti alla stazione di Porta Susa. “LIBERA LIGURIA” non era ancora nata, ma il “blocco rosso” si stava muovendo per costituirla facendo fuori chiunque non facesse parte di quel "blocco", mettendo quindi al bando, oltre alla Casa della Legalità, tutti quei soggetti che si erano mobilitati in Liguria contro quel “partito del cemento” che, trasversale, non solo devastava (e devasta) il territorio, ma che aveva, nei fatti, garantito (e garantisce) gli interessi e gli affari di faccendieri e famiglie mafiose.

A Davide Mattiello vennero fatti leggere alcuni rapporti della Guardia di Finanza relativi alle indagini sui MAMONE (quelli relativi ai vari filoni dell'inchiesta PANDORA che, per una fuga di notizie, finirono per divenire pubblici), per mettere in evidenza che chi stava “costruendo” LIBERA in Liguria erano i soggetti legati a quel blocco di potere che emergeva essere strettamente compromesso con i MAMONE, ovvero con chi è stato individuato ed indicato dalla Guardia di Finanza, come il “punto di contatto” tra cosche e mondo della politica e delle imprese. Quei MAMONE che già nel 2002 la DIA indicava chiaramente nella propria relazione pubblica in merito all'infiltrazione della 'ndrangheta negli appalti pubblici a Genova e provincia. Mattiello ha letto quelle carte.
Mattiello è stato poi delegato a coordinare il percorso fondativo di LIBERA in Liguria e che cosa è successo? Ha tenuto conto di quanto era indicato in quelle carte o, ad esempio, nel libro-inchiesta “Il Partito del Cemento”? No. Hanno fondato LIBERA in Liguria con quel “blocco di potere” inquinato e compromesso. Chi combatteva quel “blocco” (e con quel "blocco" combatteva ed indicava anche le collusioni e complicità con esponenti delle cosche e promotori degli interessi delle cosche) è stato fatto fuori, con tentativi perpetui di delegittimazione finalizzata ad annientare ed isolare (che Mattiello rilancia chiaramente anche ora).

Tornava un'accusa, scritta nero su bianco anni prima, ad esempio, contro la Casa della Legalità, che era proprio quella di aver "osato" indicare i rapporti tra i MAMONE e la classe dirigente del centrosinistra genovese, sino a quelli diretti con BURLANDO già quando era parlamentare e consolidatisi con la sua guida della Regione Liguria. E così mentre tutti i rapporti indecenti degli Amministratori del centrosinistra ligure emergevano dalle inchieste, LIBERA promuoveva iniziative nel nome della “legalità” e della c.d. “antimafia” con questi, e da questi riceveva contributi e sostegni... Non meno importante, anche si tratta di un piccolo Comune, è il consolidato e perpetuato rapporto con BERTAINA, l'ex Sindaco ed ora vice-Sindaco di Camporosso (IM), per la promozione del “progetto legalità”... Questo mentre il BERTAINA risultava essere “gradito” alla cosca del MARCIANO' – capo locale della 'ndrangheta a Ventimiglia – e formava liste elettorali con le candidature di uomini della 'ndrangheta, come il MOIO Vincenzo, CASTELLANA Ettore e il GIRO Tito (che gli uomini della 'ndrangheta avrebbero voluto vedere come nuovo sindaco di Ventimiglia).

E chi ha promosso le denunce alle Autorità preposte? Chi ha, in questi anni, raccolto segnalazioni e fatto sì che arrivassero ai reparti investigativi e Procure? Chi ha osato chiedere le Commissioni di Accesso o misure interdittive? Chi ha indicato pubblicamente nomi e cognomi dei mafiosi, le loro società, gli appalti e gli intrecci con la politica e l'economia in Liguria, come in basso Piemonte ed altrove? E stata la Casa della Legalità. LIBERA era troppo impegnata, per poterlo fare, con le Amministrazioni Pubbliche, con i politici dalle pesanti ombre, con l'incassare fondi, sostegni e visibilità a braccetto con quella politica ma anche con, ad esempio, la Rosy CANALE portata anche a Genova, come a Milano o in Emilia e Toscana, da LIBERA, che la presentava come simbolo del “riscatto” (sic) e dell'antimafia.

A noi, e soprattutto al Presidente della Casa della Legalità, Abbondanza, così come anche a Marco Ballestra, sarebbe stato più utile avere una LIBERA attiva e coerente in Liguria. Se non fossero e fossimo stati isolati e lasciati soli nelle denunce (riscontrate!!!), le promesse di morte da parte degli uomini della 'ndrangheta non le si avrebbe, probabilmente, ricevute. Ma questo, per Mattiello è un dettaglio su cui sorvolare. Così come sorvola sulla storia del bene confiscato di Vico delle Mele a Genova che ha rappresentato una pessima storia - come denunciato dagli stessi abitanti della zona, impegnati insieme alla Casa della Legalità, nelle denunce e segnalazioni delle attività dei vecchi boss del centro storico -.

Vogliamo ricordarci ora la domanda posta da Mattiello: “Chi fa il gioco dei mafiosi?” ? ...e soprattutto, a questo punto, forse è più chiaro chi vuole "impantanare l'antimafia”... e non certamente Abbondanza e la Casa della Legalità, come invece vorrebbe far credere il Mattiello.

Veniamo ora alla questione dell'assurda Proposta di Legge di cui Mattiello è relatore e che, nella sua risposta, rivendica con forza.

Mattiello rivendica la logica clientelare ed assistenzialista della proposta di cui è relatore e che è stata scritta da LIBERA, LEGA COOP, CGIL & C...

Afferma, nella sua replica, ad esempio: “La Commissione parlamentare anti mafia ha recentemente raccolto l’allarme dei magistrati siciliani su questo punto. A preoccupare sono certo le minacce al pool di Palermo che ha in mano il processo sulla “trattativa”, ma non di meno le minacce sistematiche che arrivano ai magistrati che nel trapanese si occupano delle misure di prevenzione. Perché?”

Cosa c'entra la “TRATTATIVA” con la questione dell'assurdità della proposta di Legge non è dato saperlo, ma è di moda e fa tendenza citarla e così Mattiello la mette nel minestrone, dimenticando che ad oggi, il Tribunale di Palermo ha già espresso un chiaro pronunciamento su tale “teorema” (della TRATTATIVA) con la sentenza che assolve MORI e OBINU, in cui smonta non solo "teorema" ma anche la “bocca della verità” (ovvero della calunnia e del depistaggio) del neo "eroe" di certa c.d. “antimafia” quale è il CIANCIMINO Massimo.
Il fatto che i mafiosi siano (a Trapani ed altrove) preoccupati e inferociti con lo Stato per l'azione di aggressione ai patrimoni mafiosi è ovvio. Ma questa azione non è mica figlia di LIBERA e della proposta di legge di LIBERA di cui si sta parlando...
E' figlia del lavoro dei reparti investigativi e dalla magistratura. E' conseguenza del meticoloso lavoro – così come le interdizioni antimafia o le altre misure preventive e repressive – di DIA, GICO, SCO, ROS, e delle diverse DDA che coordinano le indagini. Forse nella foga di essere in “Commissione Antimafia” il Mattiello pensa che sia frutto del suo lavoro e di quella proposta di legge tutto questo? Pensiamo di no, sinceramente pensiamo che anche mettendo in conto l'auto-esaltazione non possa arrivare a tanto... Ed allora, di nuovo, cosa c'entra questo passaggio con l'assurda proposta di legge che hanno promosso? Nulla...
Ma già che cita il tema delle aggressioni a beni mafiosi e Trapani, vediamo... Quante denunce e segnalazioni sulle reti dei beni delle cosche e sulle loro attività sul territorio ha fatto LIBERA all'Autorità Giudiziaria, ai Reparti Investigativi e Prefetture? Noi sappiamo quelle che abbiamo fatto noi. E sono tante... come ad esempio le denunce sul FAMELI che, a seguito delle indagini, hanno portato a confisca di 10 milioni di beni da parte del Tribunale di Savona; le denunce sul NUCERA che hanno portato, a seguito delle indagini, alla confisca del maxi cantiere della T1 di Ceriale ed al crollo dell'impero; le denunce sui GULLACE-RASO-ALBANESE e sui traffici illeciti di rifiuti che coinvolgono anche i MAMONE nel basso Piemonte; quelle sui FOTIA oggetto di procedimenti aperti di carattere preventivo e interdittivo, oltre al procedimento per frode, corruzione e riciclaggio; ci sono quelle fatte sugli uomini ed affari del “locale” del basso Piemonte, acquisite dagli inquirenti per sostenere l'accusa contro gli 'ndranghetisti... e via discorrendo, per arrivare alla mole immane di segnalazioni e denunce sulle cave, tra cui quella di Rocca Croaire dove operavano gli SGRO', i PELLEGRINO, i FOTIA & C... o quella dei FAZZARI-GULLACE a Balestrino, su cui vi sono molteplici procedimenti aperti.

Ed a proposito di Trapani, realtà che lui cita... Come lo spiega Mattiello che una delle imprese individuate nell'inchiesta GOLEM III (che riprende alcuni filoni dell'Operazione “EOLO”), che per far lavorare nel Parco Eolico "Vento Di Vino" le imprese facenti capo a Matteo MESSINA DENARO operava coscientemente per aggirare i vincoli del “protocollo di legalità”, è proprio quell'impresa tanto amata dall'Amministrazione della Regione Liguria di BURLANDO (quella Regione che Don Ciotti ha ringraziato per l'azione antimafia)?

Mattiello prosegue poi dando un dato reale: “il 90% delle aziende sequestrate e confiscate fallisce”. Usa questo dato per sostenere l'utilità della proposta di legge da neo assistenzialismo e clientelismo promossa da LIBERA & C. Ma questo dato significa una cosa semplice e ben diversa: le imprese mafiose se si elimina la capacità di “drogare” il mercato da parte delle mafie non reggono la libera concorrenza. Non possono reggere perché: gli viene la disponibilità di fondi derivanti dal riciclaggio del denaro sporco; gli viene meno l'acquisizione di lavori attraverso l'estorsione o la corruzione. Non reggono nella "legalità" perché la gestione mafiosa dell'impresa avveniva in sfregio alle norme, nell'illegalità, e nel momento in cui quella stessa azienda deve operare correttamente (con lavoratori in regola e non in nero, con materiali conformi, con il rispetto delle norme,...) diviene un'azienda NON competitiva e con una gestione antieconomica.

Vediamo poi alcuni esempi per far comprendere meglio, nel concreto, la questione.

1) Prendiamo la nota TERRA DEI FUOCHI (o qualsivoglia caso di smaltimento illecito di rifiuti tossico-nocivi). Prendiamo le imprese mafiose che hanno effettuato i trasporti e gli interramenti. Dobbiamo forse tutelare l'occupazione ed il reddito di quegli autisti che ben sapendo cosa facevano l'hanno fatto pur di portare a casa lo stipendio?

2) Prendiamo le imprese che producono ed utilizzano il CEMENTO DEPOTENZIATO. Dobbiamo forse tutelare l'occupazione ed il reddito di quegli operai, geometri o ingegneri che hanno prodotto e usato quel materiale scadente ben consci di ciò che facevano  pur di portare a casa la busta paga?

3) Prendiamo l'esempio delle imprese che fanno MOVIMENTO TERRA E BONIFICHE. Dobbiamo forse tutelare l'occupazione di quanti facevano i “giri bolla”, con finti conferimenti della terra scavata in un appalto che poi andavano a conferire per un'altro appalto? Oppure dobbiamo tutelare l'occupazione di quanti hanno fatto bonifiche fasulle consci di ciò che stavano facevano?

Per Mattiello, LIBERA & C, pare proprio di si. Per noi questo è un assurdo. Anzi inaccettabile.

Il personale “pulito” delle imprese che vanno a sequestro e confisca deve essere ricollocato con agevolazioni (questo si) nelle imprese “pulite” che spesso, tra l'altro, erano massacrate e soffocate dalla concorrenza sleale dell'impresa mafiosa. Il personale delle imprese mafiose poste sotto sequestro e confisca che risultava essere “manovalanza” per la cosca, nell'ambito delle attività dell'impresa, ci spiace, non merita sostegno da parte dello Stato.

Dire che bisogna combattere la crisi, garantire l'accesso al credito bancario ed altre agevolazioni, è un principio ed una pratica che lo Stato deve a tutti, non può essere frutto di un provvedimento specifico ed esclusivo per le "imprese mafiose” poste sotto sequestro e confisca. Lo Stato il sostegno alle imprese lo deve deve alle imprese che stanno sul mercato, a partire da quelle vittime dell'inquinamento mafioso del mercato e della competizione “drogata” dalle mafie nell'ambito dei lavori pubblici, con equità e non con occhi di riguardo per alcuni e indifferenza per altri.

Andiamo avanti.

Se si affida la gestione aziendale a chi ne cura l'amministrazione giudiziaria a seguito del sequestro o confisca, e questi sono selezionati con attenzione e severità assoluta, sono questi e solo questi Amministratori che devono verificare se l'impresa mafiosa posta sotto sequestro o confisca può stare in piedi economicamente o se invece deve essere liquidata. Non è concepibile che si costituiscano dei “tavoli” con sindacati, associazioni e chi si vuole d'altro, e che sia questo "tavole" che debba “valutare”. No! Chi assume l'amministrazione giudiziaria del bene, incaricato dallo Stato, valuta, non altri.

Non scherziamo quindi... Assegnare a “tavoli” politico-sindacali la valutazione è assurdo. Così come è assurdo che vi siano fondi dello Stato (anche se derivanti da altre confische) che vengano destinati per tenere in piedi imprese sequestrate o confiscate che non reggono da sole sul mercato. Prevedere assistenzialismo, anche sotto forma di ammortizzatori sociali, per le imprese mafiose finite sotto sequestro o confisca è follia pura. E' un'azione chiaramente ed inequivocabilmente clientelare, fuori da ogni logica di libero mercato. Anche perché, ancora una volta, se questo modello promosso da LIBERA entrasse in funzione, voglio vedere con che faccia si presenta poi lo Stato davanti all'impresa onesta che è stata soffocata dalla concorrenza mafiosa e che deve chiudere, mandare a casa i propri dipendenti o operai, portare i libri in tribunale e fallire, visto che non ha avuto “agevolazioni” (come la garanzia per l'accesso al credito ed altro) che LIBERA & C. propongono di destinare alle imprese sequestrate e confiscate (e non ad altre).

Se si vuole essere seri si pretende, molto semplicemente, una norma che riconosca incentivi alle imprese sane che assorbono i dipendenti “puliti” delle imprese sequestrate o confiscate che falliscono. Allo stesso modo si deve prevedere, semplicemente, che l'impresa mafiosa che viene confiscata e può reggere sul mercato (con le proprie forze e risorse) vada all'asta... così come, invece, che i beni delle imprese confiscate che sono in situazione di “fallimento” siano posti all'asta per ricavare allo Stato quanto possibile dalla loro liquidazione.

Mattiello dice che sono pronti a migliorarsi. Bene, ritirino questa assurda proprosta di legge e ne presentino una seria!
Poi sulla finalità di garantire l'occupazione, il diritto al lavoro, contrastando così anche l'acquisizione di consenso sociale che le mafie costruiscono "facendo lavorare", impone di stroncare la pratica clientalare, la corruzione ed i condizionamenti mafiosi negli appalti pubblici e nella selezione dei fornitori da parte delle grandi imprese... LIBERA inizi con il pretendere dalle amministrazioni pubbliche amiche, dalle banche amiche e dalle grandi cooperative amiche che operino in questo senso.
Il consenso sociale alle mafie serve per condizionare la politica, i voti... per stringere patti con questo e quel politico... per trattare con quell'amministratore pubblico... per conquistare uno spazio di agibilità che gli permetta di agire in violazione delle norme e dei controlli per offrire servizi a basso costo alle imprese... E' questo il circuito da rompere per garantire la libera concorrenza tra le imprese e per garantire quindi un mercato del lavoro pulito, secondo Diritto e non quindi secondo clientela, assistenzialismo o peggio.


P.S.

Usare il generale Dalla Chiesa, come fa Mattiello, non è bello. Usare altri per far sembrare che questi fossero d'accordo con questa assurda proposta di legge è anche di pessimo gusto, soprattutto quando si usano quelli che non ci sono più e non possono replicare.

 

 

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