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28. La storia "segreta" del "ciclone Teardo"

L'IMPUTATO SICCARDI SCRIVEVA: IN PROVINCIA NON PASSAVA UN CHIODO
Il giochino, tra imprese, dei ribassi e spartizione di appalti
C'è un documento autografo che racconta la confessione-verità di un "collettore di tangenti", Roberto Siccardi. Fu il secondo imputato a fare qualche ammissione utile all'accusa e descrivere come un "trust" di 5-6 imprese si spartivano i lavori di bitumazione delle strade, dei ponti, delle frane, nel ponente ligure. Siccardi voleva difendersi, ma aveva accennato pure ad una "pista romana" che con la Teardo-bis fu abbandonata dai successori di Granero e Del Gaudio

Savona - Dei 23 imputati finiti in appello a Genova del maxi-processo Teardo, ci siamo già occupati, due settimane fa, di Nicola Guerci, geometra all'Iacp, ora Arte, nel frattempo deceduto, unico "reo confesso", oggi si direbbe "pentito" che ha pure risarcito i danni.

In questa "tappa- story" ci occuperemo di Roberto Siccardi, pure deceduto, che fu il secondo imputato a fare poche, seppure lacunose, ammissioni.
Ma soprattutto a spiegare cosa accadeva negli appalti e nei rapporti tra l'Amministrazione Provinciale di Savona e il "cartello" delle maggiori imprese, dei maggiori imprenditori che si aggiudicavano le gare pubbliche. In che modo, con quali aumenti e a beneficio di chi.

Vogliamo ricordare che in questa altalenante ricostruzione dei "tempi di Teardo", abbiamo evitato di dar voce al contenuto delle intercettazioni telefoniche che pure ci furono, oggi tanto discusse, sia perché come spesso accade interpretazioni e trascrizioni lasciano aditi a dubbi, ma anche errori.

Sia perché ci siamo ripromessi di non entrare nella sfera e nella vita privata degli imputati, delle loro famiglie. Una scelta che, forse, farà mancare alcuni spaccati, da vita privata/pubblica, di quella storia che scosse la Liguria e l'Italia. Nessuna ce l'ha vietato, è una libera scelta.

Chi era Roberto Siccardi, classe 1930, nato a Finale, con residenza a Pietra Ligure e quale il suo ruolo?

Anziché dare la parola alla pubblica accusa, ai giudici inquirenti, lasciamo la descrizione alla Corte d'appello di Genova che nel luglio 1988, scriveva per mano del "relatore" del collegio giudicante, Francesco Rossini.

<La condotta di Roberto Siccardi si distingue per raffinata scaltrezza e ambiguità indicativa di una ben radicata vocazione per la vita parassitaria. Dichiarato fallito, l'imputato troverà nel gruppo Teardo l'habitat naturale  

per sperimentare la propria prevaricazione ai danni delle persone che poteva avvicinare più facilmente. Era ideatore e programmatore dello sfruttamento intensivo delle risorse economiche dell'impresa Ghigliazza. Il ruolo organizzativo svolto dal Siccardi nel settore del procacciamento dei fondi a beneficio dell'associazione sembra pacificamente acclamato>.

IL MEMORIALE SCRITTO DA SICCARDI

Trucioli  Savonesi,  con l'obiettivo di arricchire la conoscenza di quel periodo, offre ai lettori  il memoriale "inedito", allegato agli atti processuali e mai divulgato, che lo stesso Roberto Siccardi scrisse, quasi a tappe, due anni dopo il suo arresto avvenuto il 14 giugno 1983 (giorno della prima retata) e tornato in libertà per decorrenza dei termini il 16 agosto 1985.

Il testo, non integrale, delle quattro paginette scritte a mano.

<Il Ghigliazza entra nel giro fortunato per una mia intuizione come da mio verbale del 13 dicembre 1983. Piersanto Ghigliazza, al giudice Granero il 13 dicembre 1983, rappresenta la situazione...lamentando di non essere mai stato invitato alle gare d'appalto della Provincia di Savona. Si rivolse al sottoscritto per cercare di vincerne qualcuna. Anzi, il Ghigliazza afferma qualcosa di più e cioè che il sottoscritto, su sua richiesta,  gli suggerì la percentuale di ribasso da indicare, con la quale si aggiudicò finalmente l'appalto.

Ma in quella occasione fu il Ghigliazza a rivolgersi al sottoscritto e non il contrario e che per sua volontà ed interesse cercò di entrare nel giro degli appaltatori cosiddetti fortunati. Ed è stato lo stesso Ghigliazza a spiegarlo nella sua deposizione a Granero....

Eccola: <Ho già spiegato che tra le imprese interessate ci suddividevamo gli appalti in relazione alla zona in cui ognuno operava, senza darci fastidio l'un l'altro.

In pratica ci mettevamo d'accordo tra noi sull'offerta da fare in relazione al tipo di gara e tutti rispettavano i patti.

Era molto facile perché eravamo in 5 o 6, tutti eravamo d'accordo, non c'era problema.>.

Si domanda Roberto Siccardi nel memoriale: <Allora è stato il sottoscritto  a promuovere questi incontri ed a stringere questi patti tra le imprese? E' questo il comportamento di chi sostiene di essere stato concusso? O non piuttosto di chi ha trovato una chiave che apre molte porte, a cominciare da Ghigliazza, poi Bogliolo ed altre ancora, attraverso le quali vincere gli appalti della Provincia a "prezzo bloccato".

UN RIFERIMENTO A INTERESSI "ROMANI"

<I ribassi che mediamente andavano dal 12 al 30 per cento venivano, invece, aggiudicati a queste imprese con percentuali di ribassi irrisorie, tipo lo 0,76, massimo 3 per cento. Predisponendo un'idonea programmazione con altre imprese sia di tipo territoriale che di opportunità contingenti, in una visione non solo provinciale, ma interprovinciale e con riferimenti, non soltanto Savonesi, ma anche romani> (sic!)

<CARI GIUDICI, ATTENTI ALLA TESI DEGLI IMPRESARI>

Roberto Siccardi, a questo punto, aggiungeva: <I giudici istruttori non essendo né operatori economici, né tecnici edili, prendono per buone le giustificazioni del teste Ghigliazza, evidentemente preoccupato per le pesanti parole sfuggitegli circa gli accordi tra imprese. Accordi che erano necessari perché trattandosi soprattutto di lavori di bitumazione, questo bitume va necessariamente trasportato caldo, perciò bisognava prendere i lavori dove le imprese avevano gli impianti ed era una garanzia per le amministrazioni.

I MIEI COIMPUTATI SAPEVANO QUASI TUTTO

<I miei coimputati dicevano di non conoscere niente di niente, e qualche imputato penso diceva il vero. Ma qualcun altro negava anche cose di un'evidenza  sorprendente, evidentemente con il preciso intendo di salvaguardare l'immagine del Psi, bersagliato da una campagna stampa, che trova a mio modo di vedere una sua giustificazione....conosco assai bene la geografia imprenditoriale della nostra provincia...dall'età di 17 anni lavoro in questo campo...posso affermare, documentare che l'asserito vittimismo  di Ghigliazza, fatto proprio dai giudici istruttori, non regge ad un'attenta e geografica distribuzione delle imprese nella zona>.

I NOMI DELLE  IMPRESE INTERESSATE AGLI APPALTI

Siccardi scrive ancora di suo pugno: <Erano l'impresa Damonte, Bogliolo, Farinazzo, Fratelli Rossello, poi un'impresa con impianti a Borghetto Santo Spirito-Toirano, fallita per mancanza di lavoro, quindi la Ghigliazza  che da sola, per attrezzatura, produzione di pietrisco avrebbe potuto abbattere i costi dei lavori, ma anche l'altra grande impresa, sempre a nome Ghigliazza..., oltre a quelle che avevano impianti a Savona e in Val Bormida.

CHI ERA IL VERO BURATTINAIO?

Siccardi: <Credo che ora appaia chiaro chi era il "burattinaio" che tirava le fila (e non per persone singole , ma di gruppo economico nel suo complesso). Era aiutato da uno staff dirigenziale di notevole livello e dove i geometri del par mio (ma anche dei testi Piero Nan e Franco) potevano giocare un ruolo assai modesto, sia per esperienza, insufficiente, sia per effettivo livello professionale.

E' da sfatare la leggenda di un Ghigliazza succube di Siccardi, sprovveduto, timoroso, impaurito, circonvenuto da oscure trame truffaldine e ricattatorie. Non è certo un caso che il Ghigliazza ammette, in una delle sue tante deposizioni,  che l'amicizia con il sottoscritto ebbe a cessare con il mio arresto>.

SE IN PROVINCIA NON SI PAGAVA NON PASSAVA NEANCHE UN CHIODO

Il Siccardi-memoriale: <Il Ghigliazza Piersanto afferma nel suo interrogatorio del 20 giugno 1983, seconda pagina, che se non si pagava "in Provincia non passava  neanche un chiodo", e che ciò era pubblico e notorio e lo sapevano anche le pietre. Ma si rivolse a Siccardi affinché si potesse superare l'ostacolo? Aggiunge Siccardi <tutte le imprese erano d'accordo, naturalmente quelle del pool. E non si trattava di imprese artigianali, ma talune erano anche di respiro nazionale. E ciascuna rispettava i patti ed era facile vincere l'appalto, essendoci questo tacito accordo tra colleghi...L'amicizia con

Ghigliazza veniva da lontano. Infine emerge che Ghigliazza si rifiuto di avere rapporti con Dossetti

Considerato rompiscatole e prepotente>.

<QUAL ERA IL MIO VERO RUOLO NELL'AMBITO APPALTI-IMPRESE>.

Siccardi, conclude cosi il memoriale: <Tutto quanto scritto sta a significare che il sottoscritto fece da "trait d'union" tra il Ghigliazza e l'organizzazione politica su richiesta del Ghigliazza stesso che non voleva trattare col Dossetti, ma tale circostanza fa emergere il fatto che tutti i suoi colleghi impresari conoscevano e giudicavano il Dossetti, con cui evidentemente avevano avuto rapporti.

Ciò dimostra che il sottoscritto Siccardi fui un occasionale tramite e forse anche scomodo per l'organizzazione politica, tra due parti. Scelto comunque dal Ghigliazza. Emerge altresì che le imprese costituitesi in trust per l'occasione, perseguivano filoni differenziati, nei quali comunque non si trovava il Siccardi>.

CHI COMANDAVA IN PROVINCIA? DA ABRATE A SANGALLI

Come abbiamo fatto per Siccardi una rapida sintesi di cosa significavano gli appalti provinciali, con i rispettivi presunti ruoli, dell'allora presidente Domenico Abrate e Gianfranco Sangalli.

Ecco il giudizio, sintetico, del relatore della sentenza, in Corte d'appello, dopo la condanna del tribunale di Savona.

Domenico Abrate, classe 1936, nato a Torino, con residenza a Spotorno, arrestato il 29 novembre 1983 scarcerato il 9 agosto 1985 per decorrenza dei termini. E' scritto: <Il suo ruolo partecipativo nell'associazione criminosa non può essere messo in discussione. Il contributo dato dall'Abrate risulta accertato, avendo anche acconsentito la più ampia autonomia al dinamico assessore Sangalli scherzosamente denominato "vecchiaccio maledetto" e "mio padrone". Abrate, come Sangalli, era nel libro paga tenuto da Capello. Ha dimostrato poi cieca fiducia, anziché cautela, come vice presidente dell'Iacp, a persone legate indissolubilmente a chi influenzava negativamente l'attività dell'ente, il più corrotto della provincia>.

Gianfranco Sangalli, classe 1927, nato a Cairo Montenotte, qui residente, arrestato il 14 luglio 1983, scarcerato il 16 agosto 1985 per decorrenza dei termini di carcerazione preventiva. E' scritto, tra l'altro, nella motivazione: <Sangalli è un elemento fondamentale di raccordo nel triste organigramma associativo, il suo collocamento alla guida dell'assessorato alla Viabilità della Provincia, per lunghi anni, permetteva al clan un sicuro e costante controllo degli appalti, la sapiente manovra degli inviti a poche imprese>.

Vale la pena riepilogare che il fulcro dell'appello fu che la "piovra" savonese non "era  di stampo mafioso", come invece sostenevano i giudici istruttori Granero e Del Gaudio, nonché l'ufficio del pubblico ministero, prima Giuseppe Stipo, poi Michele Russo, in udienza.

Aspetto che invece veniva contestato nelle udienze e nelle memorie difensive dagli avvocati  Chiusano, Signorile, Gallo, Salvarezza, Guastavano, Chirò, Calabria, Coniglio, Cavallo, De Luca, Finocchio, Mazzitelli, impegnati con successo a scongiurare che vincesse la tesi della "banda mafiosa", che oltre all'accusa era portava avanti dai legali di parte civile, tra cui Romano Raimondo, Cesare Manzitti, Francesco Di Nitto, Umberto Garaventa.

Ha scritto nella motivazione il giudice Rossini: <Il ricorso da parte degli attuali imputati al metodo dell'attentato dinamitardo ai danni dei cantieri e degli strumenti di lavoro delle imprese, avente l'inequivocabile significato del tipico avvertimento mafioso, non è stato comprovato né riguardo all'esplosione del 29 aprile, al ponte sul Letimbro, ai danni dell'impresa Damonte, a Savona, né alle distruzioni e agli incendi verificatisi ai danni di altre imprese operanti in Liguria ed attribuiti all'azione di ignoti>.

Come ha ricordato l'ex giudice Michele Del Gaudio nell'intervista a Trucioli pubblicata la settimana scorso, tutto alla fine si giocò sui termini "omertà" ed "intimidazione", con un evidente contrasto tra le sentenze d'appello e di Cassazione, ma soprattutto il mancato ricorso finale della procura generale della Repubblica di Genova. Questa è storia, questa è la giustizia italiana. Nel bene e nel male.

Luciano Corrado

 

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